Cina. Cresce il commercio nell’Asia centrale e nel Caucaso

di Giuseppe Gagliano

La Cina continua la sua marcia silenziosa, ma inarrestabile, verso la supremazia economica dell’Asia centrale, superando con decisione la Russia e spingendosi sempre più nel Caucaso. I numeri parlano chiaro: il commercio con la regione ha toccato i 94,8 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente. Un dato che conferma quanto Pechino abbia ormai cementato la sua posizione di partner privilegiato per i Paesi centroasiatici, ai quali fornisce tecnologia, infrastrutture e capitali in cambio di risorse naturali, energia e materie prime strategiche.
La bilancia commerciale pende sempre più a favore della Cina. Le sue esportazioni verso l’Asia centrale hanno superato i 64 miliardi di dollari, due terzi del totale, mentre le importazioni, concentrate su petrolio, gas, terre rare e metalli preziosi, hanno raggiunto i 30,6 miliardi. Una strategia che, più che a un rapporto di reciproco vantaggio, assomiglia sempre più a una dipendenza strutturale delle economie centroasiatiche dal colosso cinese.
Il Kazakistan si conferma il primo partner commerciale, con un interscambio di 43,8 miliardi di dollari e un incremento del 7%. Il Kirghizistan, seppur più piccolo, segna un balzo sorprendente: le esportazioni verso la Cina sono aumentate di oltre il 3.000%, un dato che, più che testimoniare una crescita solida, solleva interrogativi sul reale peso economico di queste transazioni. Il Turkmenistan, con il suo gas, è l’unico a vantare un surplus commerciale con Pechino. Uzbekistan e Tagikistan, invece, vedono un calo degli scambi, pur mantenendo un rapporto economico fortemente squilibrato a favore della Cina.
Ma il vero dato geopolitico sta nell’espansione cinese nel Caucaso. In Azerbaigian il commercio con Pechino è aumentato del 43%, trainato quasi esclusivamente dalle importazioni cinesi, mentre le esportazioni locali sono crollate del 64%. In Georgia, un incremento del 10% è accompagnato da un’impennata delle esportazioni del 142%, sebbene i volumi restino marginali. L’Armenia segue la stessa traiettoria: commercio in crescita del 15%, ma con un crollo delle esportazioni verso la Cina del 22%. Numeri che delineano un quadro chiaro: Pechino entra con decisione in mercati tradizionalmente gravitanti nell’orbita russa, imponendosi come partner dominante.
A livello geopolitico, questa espansione commerciale è una risposta indiretta ma inequivocabile alla politica di contenimento americana. L’amministrazione Trump ha tentato di contrastare l’avanzata economica di Pechino, ma i risultati dicono altro. La Belt and Road Initiative continua a estendere i suoi tentacoli, portando infrastrutture, investimenti e, soprattutto, un’influenza economica che si traduce inevitabilmente in influenza politica.
In sostanza, Pechino sta ridefinendo gli equilibri regionali senza dover ricorrere alla forza o alle minacce. I Paesi centroasiatici e caucasici si trovano davanti a un bivio: da un lato, i vantaggi economici della partnership con la Cina; dall’altro, il rischio di trasformarsi in satelliti economici di Pechino, con sempre meno margine di manovra politica. Un dilemma che, per ora, sembra avere una sola risposta: il mercato, e il denaro, parlano cinese.