Cina. Il piano di Xi Jinping per rilanciare l’economia

di Giuseppe Lai

E’ dello scorso 16 marzo l’annuncio del presidente cinese Xi Jinping di un piano di azione speciale per rilanciare i consumi interni e far fronte a una fase di rallentamento strutturale dell’economia. Le misure del governo prevedono tra l’altro il sostegno ai redditi delle famiglie, la stabilizzazione del mercato immobiliare e il miglioramento dei servizi sanitari e pensionistici. Tra gli obbiettivi più ambiziosi anche la promozione del turismo internazionale e l’introduzione di un sistema di sussidi per l’infanzia, una questione particolarmente rilevante se si considera che la popolazione cinese è in calo da tre anni. L’adozione del pacchetto di incentivi da parte delle autorità governative, pur inserendosi nell’attuale congiuntura che attraversa il Paese, può essere analizzato in riferimento alla sua storia economica.
L’economia della Repubblica Popolare ha come driver di crescita le esportazioni, gli investimenti e i consumi, e la politica economica: nel corso degli anni si è focalizzata sulla gestione di questi tre fattori. A partire dagli anni ’80 e fino al 2008 il motore principale della crescita è stato l’export, che ha reso la Cina la “fabbrica del mondo”, in riferimento all’enorme quantitativo di beni esportati sui mercati internazionali con l’impiego di manodopera a basso costo. Tra i fattori che hanno favorito questo corso virtuoso, in primis la gestione politica del cambio euro/dollaro da parte della Cina, che ha sempre sostenuto la svalutazione dello yuan proprio come incentivo all’export. La tendenza al rialzo dello yuan, legata al grande afflusso di capitali esteri, veniva gestita dalle autorità con l’acquisto di titoli di stato statunitensi, che riducevano al minimo le oscillazioni del cambio preservando in tal modo il vantaggio competitivo della moneta cinese. Questa fase espansiva si è consolidata nel 2001 con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), che ha portato alla definitiva consacrazione della crescita del Dragone.
Con lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 e il crollo della domanda internazionale sorgono le prime difficoltà di un modello economico fondato sulle esportazioni e per compensare la riduzione dell’export il governo dispone una massiccia iniezione di liquidità nel sistema abbassando i tassi di interesse. La riduzione del costo del denaro avrebbe spinto gli investimenti nel settore delle costruzioni e delle infrastrutture, due elementi cardine del sistema economico e avrebbe favorito i consumi privati a scapito del risparmio. Questo stimolo economico si è rivelato corretto nel breve periodo, portando il ritmo di crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) intorno all’8-9% ma ha condotto a un enorme indebitamento negli anni successivi. Nel 2023, infatti, il debito cinese ammontava complessivamente al 282% del PIL, un dato più elevato del debito degli Stati Uniti, pari al 257%. In aggiunta si era creata una sovracapacità produttiva in diversi comparti delle costruzioni e delle infrastrutture come il cemento, l’acciaio e il vetro, fattore che contribuiva ad alimentare l’indebitamento.
A partire dal 2014 prende avvio la fase definita “Nuova normalità” che mette in discussione il modello economico precedente ritenuto non sostenibile, poiché fondato sul continuo ricorso al debito e sulla forte dipendenza dalla domanda internazionale. La strategia adottata dalle autorità è quella di puntare sulla qualità della produzione industriale anziché sulla quantità, senza rincorrere ad ogni costo un tasso di crescita elevato, pianificando uno sviluppo compatibile con le finanze pubbliche e con una bassa esposizione ai cicli della domanda internazionale. Un altro target del progetto era il maggiore sostegno alla domanda interna per assorbire gli eccessi produttivi.
Nel 2015 viene lanciato il piano “Made in China 2025”, che mirava a trasformare la Cina da “fabbrica del mondo” a potenza tecnologica avanzata. Tra i suoi propositi quello di aumentare la produzione domestica di tecnologie strategiche come i semiconduttori, i veicoli elettrici e l’intelligenza artificiale, con l’obbiettivo finale di conquistare la leadership mondiale nei più importanti distretti innovativi del futuro. A dieci anni dal suo avvio si può senz’altro affermare che settori come i veicoli elettrici e l’energia rinnovabile hanno superato le aspettative, nonostante l’attuale dipendenza cinese da tecnologie estere dimostri che il percorso verso l’autosufficienza industriale è ancora in corso.
Un dato interessante è che nell’arco di un decennio l’industria cinese è completamente mutata, raggiungendo anche l’obiettivo di cambiare la percezione del concetto di “Made in China” da prodotto a basso valore aggiunto a prodotto ad elevato contenuto tecnologico. Tuttavia, a fronte di un evidente cambio di rotta per quanto riguarda la qualità della produzione industriale, è tangibile la discordanza tra gli annunci di una politica “new normal” proiettati sui consumi interni e i dati dell’economia reale. Nonostante la reiterata enfasi sulla domanda interna, il tradizionale modello di crescita cinese basato sulle esportazioni non solo non è stato soppiantato ma, al contrario, le scelte politiche adottate ad esempio durante la pandemia lo hanno ulteriormente consolidato. Mentre il mondo intero si preoccupava di dare sostegno ai redditi privati, la Cina supportava lo slancio verso l’export delle aziende cinesi.
I dati parlano chiaro: il valore delle esportazioni è passato dai 2500 miliardi di dollari del 2019 ai 3700 miliardi del 2022. Pertanto, al di là degli annunci ufficiali, la Cina ha destinato ingenti risorse alla produzione mentre i consumi registravano valori inferiori alle aspettative. Occorre considerare tuttavia che l’economia cinese non sembra più in grado di assicurare gli elevati tassi di crescita a due cifre del passato e in un futuro non lontano essi potrebbero attestarsi su un 3-4%, con implicazioni sia economiche che politiche. In ultima istanza, un rilancio effettivo dell’economia cinese deve fare i conti con variabili storicamente consolidate, come l’enorme indebitamento e uno scenario globale che condiziona l’interscambio e l’approvvigionamento di tecnologie innovative. In tal senso è strategico condurre una politica a sostegno dello sviluppo industriale nei settori avanzati al fine di tenere il passo con la tecnologia, inseguire l’autonomia e ridurre l’esposizione alle decisioni geopolitiche oltre confine. Ma date le difficoltà dell’attuale congiuntura economica del Paese è altresì necessario avviare sul fronte interno riforme strutturali effettive, non più rinviabili.