Conflitto israelo-palestinese e conflitto dei media

di Mustafa Abdelkarim

Il conflitto tra Israele e Palestina, caratterizzato da ostilità continue e intense per più di quattro settimane, sta rivelando diverse considerazioni fondamentali. È imperativo unirsi al coro di voci che condannano le azioni di Hamas del 7 ottobre. Anche se può sembrare ovvio farlo, è essenziale dichiararlo in modo inequivocabile. Nell’attuale panorama mediatico europeo, non condannare le azioni di Hamas in anticipo spesso ostacola discussioni costruttive sul conflitto. Questo è anche un passo personale per me, un modo per liberarmi dall’influenza di essere cresciuto in Sudan, sotto una dittatura islamica che costantemente propagandava una narrazione filo-Hamas e filo-Palestina. Tuttavia, condannare le azioni di Hamas del 7 ottobre rimane una posizione fondamentale, e non dovrebbe essere necessario ripeterla in ogni discussione sul conflitto. Con oltre 15 anni di esperienza nell’osservazione attenta dell’informazione, è evidente che i media del Medio Oriente mantengono una narrativa costante sul conflitto. Il termine “Forze dell’Occupazione Sionista” è molto più diffuso rispetto a “Esercito israeliano”, termine quasi inesistene. Questa persistenza nella narrazione mediatica riflette le prospettive radicate nella regione. Mentre i media controllati dai governi sono obbligati a seguire le rispettive autorità, i cosiddetti media “indipendenti”, come al-Jazeera e al-Arabyia, riconoscono apertamente le loro inclinazioni ideologiche. Questa divisione è in molti modi aspettata.
D’altra parte i media europei presentano un contrasto leggermente sorprendente. Spesso enfatizzano la loro indipendenza e imparzialità nella copertura di eventi come il conflitto tra Russia e Ucraina, mettendo in luce il loro sostegno all’Ucraina contro la dittatura di Vladimir Putin. Tuttavia l’elemento sorprendente emerge nella loro copertura dell’attuale escalation tra Palestina e Israele, che ha trasformato gli organi d’informazione in arene di dibattito appassionato tra tifoserie, come se il conflitto fosse iniziato il 7 ottobre.
Avendo regolare accesso ai media in Italia, Belgio e Spagna, ho constatato che le affermazioni sulla libertà di espressione e l’indipendenza dei media sono condizionate. Sembra che si applichino solo a determinati argomenti e siano rapidamente negoziabili quando si tratta di questioni storiche e politiche complesse. Pur riconoscendo le complessità del conflitto tra Palestina e Israele, è essenziale non trascurare il contesto storico, che include anche la condanna delle azioni di Hamas del 7 ottobre. Domande e affermazioni come “Sei a favore dei terroristi o della democrazia?”, “Hamas è paragonabile a ISIS, Boko Haram e al-Qaeda?”, e “Se menzioni implicazioni storiche, stai giustificando Hamas”, sono diventate comuni. Queste domande semplificative sembrano essere distribuite sistematicamente tra politici e giornalisti. Durante trasmissioni televisive, radiofoniche e discussioni, queste domande sono diventate quasi un cliché. Anche se non ho intenzione di allinearmi con un gruppo particolare, mi vedo costretto ad affrontare queste questioni. Non sono qui per affrontare il pregiudizio egocentrico dei media europei, che ho criticato in passato. Ho rimproverato alcuni dei miei amici di sinistra europei di auto-incolparsi e auto-vittimizzarsi, anche se non hanno responsabilità nei confronti dei pregiudizi presenti nel discorso mediatico. Tuttavia, la ferocia con cui è stato attaccato il segretario generale delle Nazioni Unite per aver semplicemente dichiarato che l’attacco del 7 ottobre fa parte di un conflitto di lunga data, piuttosto che di un atto impulsivo di Hamas, solleva preoccupazioni. Non sto mettendo in discussione i politici che spesso esprimono posizioni allineate ai propri interessi. La mia preoccupazione riguarda i giornalisti che sembrano rifiutarsi di riconoscere fatti storici semplici, che sia per ignoranza o intenzione. Ciò solleva questioni ancora più significative sulla loro professionalità e responsabilità
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