di Giuliano Bifolchi –
La recente visita in Armenia del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni richiama l’attenzione su un paese con cui l’Italia ha relazioni stabili e durature per motivi di natura storica, religiosa, culturale e – questo è l’auspicio di entrambi i governi – anche economica. L’Armenia vive fin dalla sua indipendenza una situazione di difficoltà a livello regionale a causa sia del conflitto mai sopito con il vicino Azerbaijan per il Nagorno-Karabakh, sia dei rapporti con lo la Turchia che ne causano quasi un completo isolamento. L’ingresso nell’Unione Economica Euroasiatica e le relazioni con l’Europa potrebbero essere proprio la base per favorire lo sviluppo economico armeno e permettere al paese di uscire da un periodo politico ed economico da molti etichettato come “difficile”.
Ne abbiamo parlato con l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia in Italia Victoria Bagdassarian.
– Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha effettuato una visita ufficiale nel Caucaso meridionale concludendo il suo viaggio proprio in Armenia, dove ha incontrato l’omologo armeno Edward Nalbandian. Quali sono state le tematiche affrontate durante la visita del ministro italiano e verso quale direzione ed in quali settori si evolveranno le relazioni italo-armene?
“Prima di tutto è importante sottolineare che è stata la prima visita di un ministro degli Esteri italiano in Armenia in questi 25 anni di indipendenza. Un’ottima occasione per fare il punto sull’attuale livello dei rapporti armeno-italiani e per discutere insieme delle prospettive future. Le nostre relazioni hanno solide basi, cioè interazioni storiche che si sono rafforzate nel corso dei secoli, e sono il nostro, reciproco, capitale di partenza. Naturalmente continueremo a impegnarci per dare alle nostre relazioni nuovi input, ma senza dimenticare il passato… non solo per valutare quanto è stato fatto ma, soprattutto, quanto ancora dovrà essere fatto. Le relazioni armeno-italiane non si limitano a un solo settore ma si sviluppano in tutti i possibili campi di collaborazione, dal dialogo politico e culturale, ai diversi aspetti nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione, dalle relazioni economico-commerciali a quelli più propriamente umani dell’incontro tra popoli. Questi e non solo, sono i temi affrontati con il ministro Gentiloni durante la sua visita a Yerevan”.
– Per quale motivo, secondo Lei, in questo momento storico l’Italia ha deciso di porre maggiore attenzione diplomatica sulla regione caucasica meridionale cercando di creare una rete di relazioni?
“Non direi che l’Italia ha deciso di puntare sul Caucaso meridionale “in questo momento storico”, poiché la rete di relazioni è sempre esistita. Abbiamo percepito costantemente la presenza italiana nel Caucaso meridionale in generale e in Armenia in particolare. Oltre alla storia comune di cui ho già accennato, i nostri rapporti con l’Italia hanno avuto un’importante evoluzione durante questi ultimi 25 anni. Sono sicura che l’Italia riconosca l’importanza strategica del Caucaso meridionale e, nel suo ruolo fondamentale sullo scacchiere internazionale – sta per diventare membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e successivamente assumerà la presidenza dell’OSCE – desidera dare il suo contributo alla sicurezza e alla stabilità della regione. Questo per quel che riguarda il contesto politico generale della regione. Dal punto di vista pratico, c’è un aspetto collaterale positivo della questione quando si parla dei vantaggi che l’Italia può avere nel rafforzare le sue relazioni con l’Armenia. E qui noi, prima di tutto, ricordiamo i grandi mercati dell’Unione Economica Eurasiatica cui si può accedere attraverso l’Armenia”.
– Il ministro italiano Gentiloni ha esplorato anche le “potenzialità per il rafforzamento la cooperazione economica” tra Italia ed Armenia. Esistono delle perplessità in merito all’attuale situazione economica dello Stato armeno che, secondo alcuni economisti (si vedano anche le recenti dichiarazioni i Vahagn Khachatryan), rischierebbe il “crollo economico”. Gli investitori italiani interessati all’Armenia e gli stessi cittadini armeni devono quindi preoccuparsi dall’andamento dell’economia nazionale? Quali sono le rassicurazioni che il governo di Erevan può dare agli investitori e quali sono i settori target selezionati dallo Stato verso cui indirizzare gli investimenti?
“Il rafforzamento dei legami economici è stato all’ordine del giorno durante la visita del ministro Gentiloni e dei suoi incontri a Yerevan e siamo convinti che ci sia un buon potenziale. Infatti proprio a Yerevan è stato raggiunto l’accordo per la costituzione di un Comitato intergovernativo che rafforzerà le nostre relazioni in tutti quei settori di reciproco interesse, partendo proprio dal commercio e dall’economia. Teniamo conto delle opinioni divergenti ma non ne condividiamo le stime pessimistiche. In base alle classifiche internazionali l’Armenia ha ottenuto dei risultati notevoli. Secondo quanto riportato dalla Banca Mondiale, ad esempio, sulle attività commerciali (Doing Business Report) l’Armenia, in particolare negli ultimi 6 anni, è passata dal 43mo posto nel 2010 al 35mo posto nel 2016 tra 189 paesi in classifica, è al quinto posto per l’avvio di attività imprenditoriali, e al 29mp per scambi transfrontalieri. In base poi all’Indice di Libertà Economica (Index of Economic Freedom) del 2015, l’Armenia si colloca al 54mo posto su 186 paesi. L’Armenia, non diversamente da altri stati, deve affrontare sfide e difficoltà proprie del suo “sistema paese” ma possiede innegabilmente vantaggi e opportunità e noi tutti siamo determinati a lavorare per ottenere i migliori risultati possibili”.
– Le relazioni tra Italia e Armenia non riguardano però soltanto l’aspetto geopolitico ed economico, ma anche quello storico e culturale. Apprendiamo proprio dalla visita di Gentiloni che i due paesi hanno firmato un’intesa per la creazione di un Centro regionale per la preservazione del patrimonio culturale a Erevan. Quali sono i benefici che entrambi i paesi possono avere dalla cooperazione culturale?
“Non basterebbe un’intera giornata solo ad accennare dei duemila anni di interazione culturale con l’Italia! Nel campo della cultura, l’Italia ha un ruolo di primo piano e noi apprezziamo enormemente il continuo e qualificato sostegno che il Governo italiano dà nell’ambito dei programmi per la conservazione e il restauro dei beni culturali. Nel 2011-2014 un progetto finalizzato a sostenere le istituzioni armene a preservare e consolidare il patrimonio culturale armeno locale è stato implementato con successo in collaborazione con la Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo, ovvero è stato supportato dal governo italiano ed è stata un’iniziativa congiunta del ministero della Cultura armeno, del ministero degli Affari Esteri italiano, del Politecnico di Milano e dell’Università Nazionale di Architettura e Costruzioni dell’Armenia. Nel 2015 l’iniziativa, per i risultati eccezionali ottenuti, ha ricevuto il premio “Europa Nostra Award”. Sulla base di questa esperienza positiva, le parti hanno deciso di proseguire e sviluppare la cooperazione nel campo della conservazione e del restauro dei beni culturali. Uno dei capisaldi della visita del ministro Gentiloni è stata infatti la firma di una dichiarazione congiunta sulla costituzione in Armenia, a Yerevan, di un centro regionale di restauro dei beni culturali, che ancora una volta sarà supportato dal governo italiano rappresentato dall’Agenzia italiana per la Cooperazione internazionale. Il centro per il restauro sarà regionale e sarà fondamentale non solo per l’area del Caucaso, ma anche per il Medio Oriente e oltre. È, insomma, un’ulteriore dimostrazione dell’’importanza che l’Armenia e l’Italia danno ai valori culturali e alla conservazione del patrimonio”.
– Quando parliamo di Caucaso meridionale dobbiamo inevitabilmente prendere in esame l’aspetto della sicurezza e della stabilità regionale e quindi considerare il conflitto del Nagorno-Karabakh, definito spesso “conflitto congelato”, il quale ha dimostrato più volte tutta la sua pericolosità. In che modo il governo di Erevan sta lavorando per favorire la stabilità regionale ed il processo di pace? Quali sono i punti fondamentali per l’Armenia che la controparte azerbaigiana deve rispettare per proseguire il dialogo all’interno del Gruppo di Minsk dell’OSCE?
“Noi crediamo che tutti i conflitti in generale e il conflitto del Nagorno Karabakh in particolare dovrebbero essere risolti solo attraverso mezzi pacifici sulla base del risultato dei negoziati all’interno del formato dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, l’unico riconosciuto e autorizzato a livello internazionale e che ha acquisito l’esperienza e la conoscenza sul conflitto dopo il cessate il fuoco trilaterale firmato fra la Repubblica dell’Artsakh / Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian e l’Armenia nel 1994. Con i nostri partner internazionali siamo chiari e onesti, rispettiamo i nostri impegni e, vogliamo ancora una volta mettere in evidenza che il conflitto non è una disputa territoriale ma è in gioco la sopravvivenza di un’intera popolazione che difende i suoi diritti e la sua libertà. Purtroppo l’Azerbaijan viola tutti gli impegni, a partire dal cessate il fuoco. Un esempio lampante è l’aggressione dello scorso aprile condotta dall’Azerbaijan contro la Repubblica dell’Artsakh / Nagorno Karabakh: in quei giorni ci sono state gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, una decisa marcia indietro rispetto agli accordi raggiunti a Vienna e San Pietroburgo. In sintesi, per raggiungere una soluzione pacifica l’Azerbaigian deve rispettare i suoi impegni internazionali e cominciare ad agire responsabilmente”.
– L’Azerbaigian accusa però l’Armenia di occupare il 20 per cento del territorio azerbaigiano il quale comprendere non solo il Nagorno-Karabakh, ma anche sette distretti limitrofi. Alcuni esperti e analisti vedono come unica soluzione pacifica del conflitto quella rappresentata dal ritiro delle truppe dalla regione, la restituzione dei sette distretti all’Azerbaigian, lo status ad interim del Nagorno-Karabakh, il collegamento tra Armenia e Karabakh, la possibilità di ritorno alle proprie case degli IDPs armeni ed azeri ed un’operazione di peacekeeping in grado di mantenere la stabilità regionale. Perché questa soluzione, forse la più equilibrata, sembra così difficile da essere messa in pratica? Quali sono le paure ed i motivi per cui non si riesce a superare questa impasse deleteria?
“Anzitutto è doveroso sottolineare come l’Azerbaijan falsi completamente la storia e le cause alla radice del conflitto. Il Nagorno-Karabkah o Artsakh (come è conosciuto storicamente) non è mai stato parte dell’Azerbaijan indipendente. Nel 1923 furono i bolscevichi a darlo in dono al neonato stato dell’Azerbaigian. Sotto il dominio azero, la popolazione del Nagorno Karabakh è stata umiliata e oppressa, vittima di una politica di pulizia etnica. La gente del Nagorno Karabakh è scesa in campo per i suoi diritti e per esercitare il suo inalienabile diritto all’autodeterminazione in conformità con le leggi dell’epoca dell’URSS. La risposta azera è stata l’uccisione di armeni pacifici nelle città di Sumgait, Baku, Kirovabad e non solo. Poi hanno scatenato una guerra su larga scala contro gli armeni del Nagorno Karabakh, in quel momento cittadini del loro stesso stato. E quella stessa popolazione dovrebbe ora fidarsi dell’Azerbaijan? A meno che l’Azerbaigian non voglia cominciare a negoziare in buona fede, lasciando perdere l’idea di guerra e odio verso gli armeni, la pace non arriverà mai nella regione. L’Armenia, da parte sua, si impegna strenuamente per la risoluzione pacifica del conflitto sulla base dei principi del non uso o minaccia dell’uso della forza, della parità di diritti dei popoli per l’autodeterminazione e l’integrità territoriale. Questa è la formula presentata dai Co-presidenti del Gruppo di Minsk, formula condivisa anche dall’Azerbaijan. Quando finalmente l’Azerbaigian affronterà la realtà, abbandonerà le sue ambizioni e avvierà i negoziati sulla base di compromessi, solo in quel momento si potrà proseguire nel cammino della pace. Al momento però l’Azerbaijan sta imboccando il sentiero di guerra”.
Nella seconda foto: l’ambasciatrice Victoria Bagdassarian.