Cuba. L’Avana – Washington, guerra del rum

di Francesco Giappichini

La «guerra del ron» tra Cuba e Stati Uniti, ovvero la disputa legale sul marchio di rum Havana Club, è una fra le testimonianze più evidenti non solo dell’aggressività commerciale degli Stati Uniti, ma anche dei nefasti effetti extraterritoriali delle sanzioni economiche. Un’assertività evidente anche nella norma che vieta, a chi abbia soggiornato a Cuba dal 12 gennaio 2021, di viaggiare negli Stati Uniti nell’ambito del Programma viaggio senza visto (Visa waiver program): l’aspirante viaggiatore non può richiedere l’autorizzazione digitale di viaggio Esta (Electronic system for travel authorization), che consente ai cittadini di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, di entrare negli Usa senza la necessità del visto ordinario.
E lo spiega nei dettagli il sito del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti d’America. Si cita la decisione, presa dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, di mantenere Cuba nella List of State sponsors of terrorism (Sst), ossia l’Elenco degli Stati sostenitori del terrorismo: «In che modo la designazione di Cuba come Stato finanziatore del terrorismo influisce sui viaggi negli Stati Uniti nell’ambito del Visa Waiver Program? Il 12 gennaio 2021 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha designato Cuba come Stato finanziatore del terrorismo (SST). Con limitate eccezioni, un viaggiatore che risulta aver visitato Cuba in questa data o successivamente non è idoneo a viaggiare nell’ambito del Visa Waiver Program (VWP) utilizzando il sistema elettronico di autorizzazione al viaggio (ESTA) e deve richiedere un visto per viaggiare negli Stati Uniti».
E le conseguenze le descrive lo stesso sito dell’ambasciata statunitense a Roma: «Se siete cittadini di un paese aderente al Programma Viaggio senza Visto (Visa Waiver Program) ma avete ricevuto notifica di non essere più idonei a recarvi negli Stati Uniti nell’ambito di tale programma, dovrete richiedere un visto per non immigranti con largo anticipo rispetto al viaggio desiderato». Con «largo anticipo», appunto. Nello specifico sia il sito ufficiale dell’Esta sia la relativa applicazione contengono la seguente domanda numero nove: «Si è recato/a o si trovava in Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Siria o Yemen a partire dal 1 marzo 2011?».
Torniamo però alla «guerra del rum»: una disputa di cui il “No stolen trademarks honored in America act of 2023” (“Legge sulle marche rubate non riconosciute in America del 2023”), che è stato firmato il 1 dicembre dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, rappresenta solo l’ultimo atto. Una controversia che però va seguita puntualmente, poiché non è rilevante solo dal punto di vista giuridico, commerciale o di marketing, ma ha anche importanza storica e culturale. Il rum Havana Club non è solo il quinto marchio di questo distillato in assoluto: col suo slogan commerciale «El ron de Cuba», è da decenni simbolo dell’isola caraibica nel mondo, ed è uno degli oggetti più comuni riportati dai turisti di ritorno dall’Isla grande.
Come dimostrano gli spot televisivi della bevanda che periodicamente e sin dal 1999 sono trasmessi dalle reti Mediaset, e che con le loro musiche suggestive sono tuttora presenti sul web. Intanto però è necessario un passo indietro, per comprendere la portata della legge. L’invenzione della formula risalirebbe al 1878: tutto merito del leggendario José Arechabala, il fondatore dell’omonimo gruppo. La registrazione originaria di questo distillato di canna da zucchero risale, nei registri cubani, al 1934; tuttavia un’analoga operazione fu effettuata, in epoca pre rivoluzionaria, anche negli Stati Uniti. Gli impianti di distillazione furono poi abbandonati nel 1959, poco dopo il “triunfo” dei barbudos, quando i titolari della società emigrarono in Spagna.
E tuttavia, nel caos post rivoluzionario del 1960, il governo castrista nazionalizzò la distilleria, e continuò la produzione. Epperò nel 1974 la famiglia Arechabala lasciò scadere il proprio brevetto nei registri statunitensi. Così nel 1976 la società statale cubana Cubaexport, quella che produceva e produce tuttora il superalcolico, registrò il relativo marchio: non solo a Cuba, ma anche negli Stati Uniti. Più tardi, nel 1993, Cubaexport fa un passo ulteriore: insieme a un socio europeo, la multinazionale francese Pernod Ricard, costituisce la joint venture (jt) paritetica Havana Club international sociedad anónima (S. A.), con lo scopo di commercializzare il prodotto.
Un altro anno importante è il 1994: la nota azienda Bacardi ottiene i diritti rimanenti della famiglia Arechabala sul marchio, in particolare sui segreti della formula, e inizia a produrre quantità limitate di rum con quel nome, per il mercato a stelle e strisce. Una sorta di rivincita: tutte le aziende di Bacardi furono confiscate dalla Revolución nel 1960, e lo Stato iniziò a fabbricare in quelle distillerie il Ron Caney. Che ancora oggi è prodotto negli stessi edifici. Poi nel 1998 viene approvato il “Bacardi act”, con cui si iniziò a demolire la tutela di quei brand, che fossero legati a società cubane espropriate. E in particolare fu reso più complesso alla controparte cubana costituirsi in giudizio.
Torniamo però al testo della legge, firmata in queste settimane, che porta a compimento quel disegno. Il testo vieta a «qualsiasi agenzia esecutiva, compreso l’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti», di «riconoscere (…) qualsiasi marchio che sia stato utilizzato in relazione a […] una proprietà sequestrata». Secondo la relazione della Commissione Giustizia della Camera, la legge impedirà «a chiunque di utilizzare le agenzie statunitensi per trarre profitto dalla proprietà intellettuale rubata al legittimo proprietario»; e dunque proibirà ai tribunali statunitensi, di riconoscere i diritti su tutti quei marchi, che furono confiscati dal governo cubano dopo la rivoluzione del 1959. Cioè si sancisce la prevalenza, in materia di proprietà intellettuale, alle società che avevano diritti sui marchi cubani prima del 1959, e che abbiano subito confische da parte del regime del líder máximo Fidel Castro. Nel concreto la legge, che alcuni giornalisti hanno non a caso ribattezzato «Ley Bacardi», renderà irrilevanti tutti quegli argomenti legali, che sinora Cubaexport ha usato con successo: l’aspetto dirimente diviene esclusivamente l’eventuale legame tra il marchio e qualche proprietà confiscata dal regime castrista. La vittoria di Bacardi per il possesso del marchio appare dunque assoluta. Così la nuova normativa, pur nascendo forse come legge ad personam, avrà effetti dirompenti sulle future relazioni tra le due nazioni. Il ministro cubano degli Affari esteri, Bruno Rodríguez Parrilla, ha definito la legge come una «misura aggressiva contro Cuba» e una violazione del diritto internazionale; mentre Biden ha difeso il proprio operato: «Abbiamo firmato questa legge per proteggere i diritti dei proprietari originari e garantire che le marche confiscate illegalmente non siano riconosciute».