Ecuador. A un mese dalle importanti elezioni presidenziali

di Paolo Menchi –

Tra circa un mese, il 7 febbraio, si terranno in Ecuador le elezioni presidenziali per scegliere il successore di Lenin Moreno che quattro anni fa, con una coalizione di centro sinistra, vinse di misura contro il banchiere Guillermo Lasso.
Poco dopo essere stato eletto Moreno si era però progressivamente allontanato dallo schieramento con cui si era presentato alle elezioni, spostandosi a destra, riavvicinandosi al Fondo Monetario internazionale, dopo che i governi precedenti se ne erano distaccati, e agli Usa, ed è entrato in forte polemica con Correa, accusandolo di aver distrutto l’economia del paese, nonostante fosse stato il suo vicepresidente per sei anni.
Da parte sua Correa mise in guardia contro questo cambiamento di rotta e nel 2017 si trasferì in Belgio, paese di origine della moglie, dove lo ha raggiunto una condanna a otto anni di carcere per corruzione, secondo lui ben orchestrata dal governo in carica.
Candidato della sinistra sarà così Andres Arauz, classe 1985, già Ministro sotto la presidenza di Correa, economista ed ex direttore generale della Banca Centrale dell’Ecuador, mentre come vicepresidente sarà candidato il giornalista Carlos Rabascall, persona particolarmente sensibile alle questioni legate al sociale e ai diritti dei disabili.
Correa non avrebbe più potuto presentarsi come presidente perché ha già completato due mandati, inoltre la condanna, a causa della quale ha perso i diritti politici, gli ha vietato la candidatura a vicepresidente, come avrebbe voluto.
Il paese è di fronte alla scelta se continuare con una politica che ha dato la precedenza alla crescita sociale o tornare al liberismo che antepone l’economia al progresso civile.
Sono numerosi gli errori dei governi “socialisti “di Correa ma sicuramente sono stati fatti importanti passi avanti nella lotta alla povertà, con l’indice diminuito dal 38,3 del 2006 al 21,5 del 2020, con l’introduzione di un sistema previdenziale obbligatorio e gratuito e con la nazionalizzazione di un’industria fondamentale per il paese come quella degli idrocarburi.
Si calcola che sia stato speso il 15% del pil per finanziare la spesa pubblica, in particolare l’Ecuador si è distinto per iniziative a favore delle persone affette da disabilità come pochi altri paesi al mondo.
Certo se si analizzano i soli dati economici la situazione rimane grave, visto l’alto tasso di disoccupazione, il calo del pil (anche prima del 2020) e un notevole debito estero.
Il problema del debito pubblico nasce nei primi anni duemila, con l’emissione a pioggia di bond governativi, tanto che Correa nel 2007, dopo poco la sua elezione, intervenne minacciando la bancarotta con la conseguenza che i titoli crollarono e furono poi riacquistati dallo stato al 35% del loro valore, salvando il paese dal fallimento ma perdendo la fiducia degli investitori stranieri.
Nel 2000 l’Ecuador aveva anche abbandonato la moneta nazionale (il Sucre) per passare al dollaro Usa, utilizzato anche per gli scambi interni.
Moreno aveva firmato nel 2019 un accordo con il FMI per un finanziamento di 4,2 miliardi di dollari che è poi stato annullato a causa dell’impossibilità da parte dell’Ecuador di attenersi alle richieste del fondo per via della sua situazione economica e delle tensioni sociali sorte con le comunità indigene.
Nell’agosto scorso il presidente ha annunciato un accordo di rinegoziazione con i creditori ottenendo una significativa diminuzione dei tassi e una riduzione di 1,54 miliardi di dollari rispetto ai 17,375 miliardi emessi in obbligazioni.
Oggi il principale creditore è la Cina, che paga anticipatamente royalties per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e minerari, debito poi aggravato dagli aiuti che i cinesi hanno inviato in seguito al terremoto del 2016.
Secondo stime non ufficiali attualmente la cifra avrebbe superato i sei miliardi di dollari.
Il governo aveva cercato di introdurre alla fine del 2019 un pacchetto di misure di austerità che prevedevano l’aumento del prezzo della benzina, un mercato del lavoro molto più flessibile e una serie di tagli al welfare, ma, dopo le violente proteste di piazza, Moreno dovette fare marcia indietro.
Lo scorso mese di maggio, durante il periodo peggiore della pandemia, anche questa molto mal gestita, il governo è tornato alla carica ed ha agganciato il prezzo della benzina al valore internazionale (di fatto aumentandolo), ha tagliato della metà le risorse per l’educazione, ha dato la possibilità ai datori di lavoro di ridurre salari e ferie ed ha chiuso alcune aziende pubbliche.
I candidati alle presidenziali sono ben 16 e, secondo i sondaggi pubblicati dal Centro Estratégico Latino-americano de Geopolítica (Celag), il candidato di sinistra Arauz è saldamente in testa con il 35,3 % seguito con il 22, 9% dall’impresario Alvaro Noboa, dalla rappresentante della lista indigena Yaku Perez al 21, 2 % e dal banchiere Guillermo Lasso con il 13,6%
Clamorosamente negativi i sondaggi per Ximena Peña, la candidata appoggiata dal presidente uscente Moreno, che prenderebbe solo l’1,2% dei voti.