Ecuador. Paese fuori controllo, governo in affanno

di Giuseppe Gagliano

Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha deciso di mescolare le carte nel suo governo, rimpiazzando il ministro degli Interni nel tentativo, forse disperato, di frenare l’escalation di violenza che sta trasformando l’Ecuador in uno degli epicentri della criminalità organizzata in America Latina. Al posto di Monica Palencia, finita nel tritacarne della crisi di sicurezza, Noboa ha nominato Fausto Buenaño, generale in pensione con un curriculum da prima linea nella lotta al narcotraffico.
Buenaño non è un nome qualunque: comandante della polizia a Guayaquil, la città più pericolosa del Paese, è stato anche rapito e torturato nel 1993 dalla guerriglia delle FARC mentre operava al confine con la Colombia. Un passato che lo accredita come un uomo di azione, ma che difficilmente basterà a risolvere il problema strutturale dell’Ecuador: uno Stato che da tempo ha perso il controllo del territorio, lasciando che le bande legate ai cartelli messicani trasformassero le città in zone di guerra.
L’annuncio del rimpasto è arrivato il 15 febbraio, poche ore dopo l’ennesima strage che ha confermato quanto il crimine organizzato non solo sfidi lo Stato, ma ne calpesti impunemente l’autorità. Nel quartiere esclusivo di Samborondón, alle porte di Guayaquil, un commando armato vestito da soldati ha ucciso tre persone a sangue freddo. La tecnica non lascia dubbi: i narcos, spesso in combutta con le forze dell’ordine corrotte, stanno alzando il livello della violenza per lanciare un messaggio chiaro al governo.
Ma se le strade sono diventate il teatro di esecuzioni e regolamenti di conti, le prigioni sono ormai il vero cuore pulsante della criminalità. Le carceri ecuadoriane non servono più a detenere i criminali, ma a coordinarne le attività. In questi luoghi, dove la violenza tra bande ha già causato centinaia di morti negli ultimi anni, lo Stato è praticamente assente: detenuti che prendono in ostaggio guardie, direttori delle prigioni che fuggono sotto minaccia, e gang che controllano il traffico di droga dall’interno.
Un esempio lampante della debolezza delle istituzioni è l’omicidio di Porfirio Cedeño, colonnello dell’Aeronautica Militare Ecuadoriana e comandante delle operazioni antidroga. Il 14 febbraio è stato ucciso con oltre 20 colpi d’arma da fuoco a soli 200 metri dal penitenziario di Guayaquil, un segnale evidente della simbiosi tra bande criminali e carcere. Anche l’autista del colonnello è rimasto ferito, ma il messaggio è chiaro: la mafia locale non teme più né la polizia né i militari.
Il quadro è quello di un Paese dove lo Stato è ormai una comparsa. I numeri lo confermano: 47 omicidi ogni 100mila abitanti nel 2023, un dato da Paese in guerra. Nel 2024 il tasso è sceso a 38 su 100mila, ma resta comunque tra i più alti della regione e nulla indica che la situazione stia realmente migliorando.
Noboa non si è limitato a rimuovere il ministro degli Interni: ha anche silurato il ministro della Salute e il direttore dell’agenzia carceraria (SNAI), segno che il governo sta disperatamente cercando di dare un segnale di forza. Ma è un segnale più di forma che di sostanza: senza un vero piano strutturale per la sicurezza, rimpiazzare uomini non basterà a rimettere ordine.
Tutto questo si inserisce in un contesto politico fragile. Le elezioni presidenziali, inizialmente previste per marzo, sono state rinviate ad aprile, complice un Paese in fibrillazione. Noboa, che al primo turno ha vinto per un misero 0,18%, si prepara a sfidare Luisa Gonzalez, candidata del partito di sinistra. E se fino a ieri l’economia era il tema caldo del dibattito, oggi il voto sarà dominato dalla sicurezza.
Noboa vuole presentarsi come il leader forte in grado di ripristinare l’ordine, ma i fatti raccontano un’altra storia. Fino ad ora, la sua amministrazione ha navigato a vista, oscillando tra misure d’emergenza e rimpasti di governo, senza mai attaccare davvero le cause profonde della crisi: la corruzione nelle forze dell’ordine, la permeabilità dello Stato ai narcos, la carenza di investimenti strutturali nel sistema giudiziario e carcerario.
Il parallelo con la Colombia degli anni ‘90 è ormai inevitabile. Come allora, il narcotraffico ha smesso di essere solo un fenomeno criminale ed è diventato un problema politico e istituzionale. Il governo ecuadoriano rischia di perdere del tutto il controllo del territorio, e se non interviene con una strategia chiara e radicale, il Paese potrebbe trasformarsi in una nuova zona di guerra tra bande, forze di sicurezza e potenze criminali straniere.
Cambiare un ministro può servire a lanciare un segnale, ma il problema non è chi siede in ufficio, bensì il fatto che l’ufficio stesso è ormai irrilevante. Noboa può presentarsi come il presidente dell’ordine, ma senza un piano reale e incisivo, l’Ecuador continuerà ad affondare nel caos. E se la storia insegna qualcosa, è che quando uno Stato perde il controllo non è detto che lo possa riprendere facilmente.