di Giuseppe Gagliano –
L’Ecuador torna a essere protagonista del cosiddetto Debt-for-nature swap, una forma di conversione del debito estero che promette di coniugare la lotta al cambiamento climatico con il sollievo per economie soffocate dal debito. Questa volta si tratta di 1.527 milioni di dollari di debito estero convertiti per investire 460 milioni nella protezione della foresta amazzonica, con un risparmio stimato di 816 milioni di dollari fino al 2035.
Un’operazione che ha visto la partecipazione di Amazon Conservation, The Nature Conservancy e Bank of America, con i fondi destinati al programma Biocorredor Amazónico, un’area cruciale per la biodiversità che include i bacini dei fiumi Napo, Pastaza e Santiago. Tuttavia, questo innovativo strumento finanziario, celebrato come una soluzione alla crisi del debito e a quella climatica, non è privo di critiche, sia per la reale portata dei benefici economici sia per l’effettivo impatto sulla conservazione degli ecosistemi minacciati da deforestazione, attività minerarie ed estrazione petrolifera.
L’operazione non rappresenta un caso isolato. Già nel maggio 2023 l’Ecuador aveva concluso un primo scambio debito-natura, destinando 450 milioni di dollari alla protezione delle isole Galapagos grazie all’intervento di Credit Suisse e della Banca Interamericana di Sviluppo. Con i suoi quasi 200mila km quadrati, l’arcipelago, patrimonio Unesco dal 1978, è una delle più grandi aree marine protette del pianeta. Nonostante il primato dell’iniziativa, essa è stata oggetto di numerose contestazioni, in particolare per l’insufficienza dei fondi mobilitati e l’esclusione delle comunità locali dalle decisioni strategiche.
A suscitare perplessità non è solo l’efficacia delle risorse stanziate, ma anche l’apparente contraddizione nelle politiche governative. Mentre si annunciano progetti per la conservazione ambientale, il presidente Daniel Noboa ha autorizzato l’installazione di una base militare statunitense nelle Galapagos. Una decisione ufficializzata il 10 dicembre scorso, che rischia di compromettere il fragile equilibrio ecologico dell’arcipelago.
La base, giustificata dal governo come un necessario baluardo contro il narcotraffico e la pesca illegale, appare invece a molti come un atto di sottomissione agli Stati Uniti. La storia recente dell’Ecuador ricorda bene i risultati fallimentari della base statunitense di Manta, operativa per un decennio nel contesto del Plan Colombia: un progetto che, invece di migliorare la sicurezza, ha coinciso con un aumento degli omicidi nel paese, saliti dai 13,55 ogni 100mila abitanti nel 1999 ai 17,74 del 2009.
La nuova base delle Galapagos viola inoltre apertamente la Costituzione del 2008, che vieta esplicitamente l’installazione di basi militari straniere sul territorio nazionale. Nonostante il parlamento abbia respinto la proposta di modificare la norma costituzionale, la costruzione è proseguita con l’avallo della Corte costituzionale e senza consultare la popolazione locale, in palese violazione del regime speciale che tutela l’arcipelago.
Le scelte di Noboa, pur giustificate dalla necessità di rispondere a pressioni economiche e di sicurezza, sollevano interrogativi sulla sovranità dell’Ecuador e sulla reale priorità data alla tutela del patrimonio naturale. La contraddizione tra proclami ambientalisti e concessioni strategiche agli Stati Uniti mette in discussione non solo l’efficacia dei programmi di conservazione, ma anche la capacità del paese di difendere i propri interessi in un contesto geopolitico sempre più complesso.
L’ombra della base militare si staglia così sulle Galapagos, simbolo di un patrimonio universale che rischia di essere sacrificato sull’altare di strategie discutibili. Resta da chiedersi se la promessa di protezione ambientale non sia, alla fine, il prezzo da pagare per un debito che continua a pesare sulle spalle di un paese in cerca di riscatto.