Emergenza Centrafrica: intervista a Ombretta Pasotti, di Emergency

di Giacomo Dolzani –

Sul finire dello scorso anno, il 10 dicembre 2012, in Repubblica Centrafricana, stato la cui popolazione già da sempre versa quasi interamente nella miseria, si è assistito all’inizio dell’offensiva militare dei ribelli Seleka, gruppo armato di insorti ostili all’attuale presidente Francois Bozizé.
Le motivazioni che hanno spinto i Seleka alla rivolta sono varie, principalmente la non attuazione, da parte del governo, degli accordi di pace firmati dalle due parti in causa nel 2007 e, a dire dei ribelli, i soprusi perpetrati dall’esercito regolare su chi, a Bangui, sostiene la causa dei guerriglieri.
L’avanzata dei Seleka ha consentito loro di occupare buona parte del paese e molte importanti città, strappandole al controllo delle truppe governative e minacciando di marciare sulla capitale, per destituire Bozizé.
Dopo molti tentativi falliti, con l’aiuto della comunità internazionale, si è infine riusciti, l’11 gennaio di quest’anno, a giungere ad un accordo per un cessate il fuoco immediato che ha consentito, il giorno seguente, di instaurare un nuovo governo di unità nazionale di cui fanno parte rappresentanti di entrambi gli schieramenti, che nei prossimi 12 mesi si impegnerà ad attuare alcune riforme richieste dai Seleka.
Per conoscere meglio la situazione sotto il profilo umanitario viene intervistata Ombretta Pasotti, coordinatrice medica del centro pediatrico di Emergency a Bangui.
– Dottoressa Pasotti, ci può spiegare qual è la situazione in Repubblica Centrafricana e a Bangui per quanto riguarda l’aspetto sanitario, nutrizionale ed economico e se è in corso un’emergenza umanitaria?
Noi siamo a Bangui, nella capitale, mentre la zona interessata dai conflitti è nel nord, est e centro e dista da noi 70km circa. Posso riportare con relativa sicurezza la situazione presente qui a Bangui, mentre per quanto riguarda le altre zone mi baso su quello che sento raccontare non essendo, noi di Emergency, presenti in quelle zone.
Da un punto di vista sanitario, per quel che posso dire del nostro ospedale, abbiamo un’attività costante, c’è stata una riduzione degli accessi al pronto soccorso nei giorni, tesi, subito dopo Natale, quando sono iniziati i problemi con i ribelli e quindi quando la gente aveva più paura di uscire ma, subito dopo capodanno, la situazione è sembrata rientrare nella normalità; attualmente curiamo 80 o 90 pazienti al giorno.
I problemi sanitari e i problemi nutrizionali, essendo una zona poverissima, sono costanti, mentre le patologie più frequenti sono sempre le stesse, come la malaria che è uno dei grandi problemi di questo paese.
La situazione qui però non è ancora degenerata, in quanto la popolazione riesce comunque ad avere accesso ai servizi sanitari, noi ad esempio siamo pediatria e nonostante tutto i bambini riescono lo stesso a raggiungere l’ospedale, ma il problema economico indubbiamente c’è, con le conseguenti difficoltà a poter curare i pazienti; principalmente le persone si rivolgono a noi perché le cure sono appunto gratuite.
Andando verso nord invece, nelle zone di confine o in quelle conquistate dai ribelli Seleka, non c’è quasi nessuna assistenza; infatti, nonostante si stia provando ora ad aprire un corridoio umanitario, gran parte delle associazioni di volontariato sono state evacuate, anche da Bangui stessa, e quindi anche il personale degli ospedali, di conseguenza quelle zone stanno andando incontro ad una crisi che si sta facendo importante.
Emergency è presente solo a Bangui mentre nel nord ci sono alcune associazioni, le poche rimaste, che portano assistenza, e molti stanno cercando di tornare per poter fornire il loro aiuto.
Dal 10 dicembre che è in corso il conflitto le problematiche si stanno accentuando e il materiale a disposizione è ormai al limite. Noi non disponiamo di staff in quelle zone, la nostra massima disponibilità rimane su Bangui che, comunque, come già detto ha costantemente problemi di ordine sanitario, nutrizionale ed economico.
Per fare un esempio, stasera [10 gennaio ndr.] alle 7 è arrivata una mamma, che abita a 30km da qui, con un bambino che credo abbia un anno o un anno e mezzo, perché domani mattina deve fare un vaccino, quindi vengono anche da molto lontano perché sanno che qua possono trovare assistenza gratuita. Arrivano addirittura il giorno prima, sia per la presenza del coprifuoco, per il quale dalle 7 di sera alle 5 di mattina non si possono spostare (anche perché non c’è alcun mezzo di trasporto), sia per prendere il posto in quanto, mentre per i casi di massima urgenza siamo aperti 24 ore su 24, per i codici verdi invece abbiamo fissato un tetto di appunto 80 o 90 visite al giorno e, dato che i bambini che vengono sono sempre moltissimi, alcuni dobbiamo necessariamente rimandarli, di conseguenza per garantirsi le cure si presentano la sera prima e dormono fuori dall’ospedale“.
– Voi siete l’unico ospedale della zona quindi?
No, qui a Bangui vi sono altri ospedali funzionanti, come il Complexe Pédiatrique, che è governativo, ma come tutti gli ospedali qui è a pagamento, nel senso che bisogna pagarsi tutto, dall’iniezione, all’ago, ai guanti, al farmaco; addirittura le medicine bisogna comprarle interamente a proprie spese in farmacia, viene fatta la ricetta e poi si torna in ospedale con il materiale“.
– In parole povere un ospedale per ricchi…
Sicuramente. Credo di poter dire che l’unico ospedale completamente gratuito, tra l’altro anche riconosciuto dal ministero, è appunto quello di Emergency. I pazienti che vengono qua infatti, sempre si meravigliano ad esempio perché mettiamo a disposizione gratuitamente un reparto per il ricovero dei bambini più gravi, o perché offriamo il parto ad una madre, oppure semplicemente perché diamo loro la possibilità di fare una doccia, cose del tutto scontate in Italia ma che qua rappresentano un’anomalia, proprio perché per loro è tutto a pagamento, compresi i servizi all’infanzia, che magari in altri paesi vicini fino ai 5 anni sono gratuiti“.
– Invece, per quanto riguarda i territori conquistati dai Seleka, si sente spesso raccontare di abusi perpetrati dai ribelli ai danni della popolazione civile; in base alle informazioni di cui disponete, ci può raccontare cosa sta accadendo nelle zone occupate dai guerriglieri?
È sicuramente molto difficile, anche sentendo i racconti e leggendo i giornali locali, farsi un’idea di quanto stia succedendo, perché sulla stampa internazionale si legge solo una parte;  vivo tanto di racconti che sento dai locali ma sono spesso molto diversi, tante volte sono addirittura uno l’opposto dell’altro, quindi conoscere la reale situazione risulta problematico…
Alcuni raccontano che all’arrivo dei Seleka gli abitanti di quelle zone si rifugiano nella foresta, quindi molti abbandonano le loro case però, arrivati a Bangui dopo giorni di cammino, parecchi affermano di non aver subito nessun tipo di maltrattamenti.
Dall’altro lato, sentendo racconti di fonti sicure, ma anche leggendo i giornali, c’è chi sostiene invece che ci sono state violenze, si sono verificati saccheggi e quindi si è generata tensione nelle zone occupate. Ma ripeto, farsi un’idea è molto difficile, le informazioni giungono principalmente tramite passaparola, anche perché i contatti con quelle regioni si sono persi già parecchio tempo fa, proprio per il fatto che i collegamenti telefonici sono stati i primi a sparire. Una cosa che posso però affermare con sicurezza è che la situazione in quelle regioni è drammatica“.
– Si sentono però anche notizie di violenze, perpetrate dalle truppe governative, contro chi a Bangui sostiene i Seleka, me lo può confermare?
Mi risulta difficile poterlo garantire, perché il nostro staff vive principalmente tra le mura di questo ospedale; non ho mai visto persone venire qua ferite o accoltellate ma di sicuro, la necessità del coprifuoco qui a Bangui è data anche dalla preoccupazione che ci sia qualche ribelle in città…
La presenza del coprifuoco ci ha obbligato anche a cambiare gli orari dell’ospedale, in modo che i lavoratori locali possano venire a lavorare prima delle 7 di sera, rimanendo qua tutta la notte e comunque raccontano che, nel tragitto che devono percorrere per arrivare alla nostra struttura, vengono fermati parecchie volte dai militari che vogliono sapere dove vanno… hanno un lasciapassare che abbiamo fornito noi e quindi alla fine poi riescono a raggiungere l’ospedale, ma qualcuno racconta si essere stato fermato anche 15 volte mentre veniva al lavoro, quindi i controlli in città sono veramente elevatissimi“.
– C’è paura tra la popolazione per la presenza dei ribelli, che sono appunto a pochi chilometri dalla capitale?
Diciamo che la paura principale della popolazione è quella che si verifichi un altro colpo di stato, con le condizioni di instabilità che questo comporta e che hanno già vissuto altre volte, la situazione è molto confusa e non si riesce a capire bene cosa vogliano le due parti in causa, le richieste continuano a cambiare, a volte sembra che partano dei negoziati che poi non hanno luogo, è insomma tutto un vivere alla giornata, quindi sinceramente non me la sento di esprimere opinioni. Quel che si può dire con certezza è che la tensione nel paese è andata sempre crescendo, anche perché c’era molta attesa nei confronti di questi negoziati che sono iniziati pochi giorni fa e che non si riesce a capire che direzione stiano prendendo [accordo raggiunto il giorno 11 gennaio ed accolto con gioia a Bangui ndr.].
Come dicevo la paura principale è che si guasti questa stabilità che consente loro almeno di vivere alla giornata infatti, nonostante la miseria e gli enormi problemi, la paura di regredire è molto maggiore della speranza di migliorare”.
– Spesso in questi conflitti si assiste all’arruolamento dei cosiddetti bambini-soldato, secondo le informazioni di cui dispone, sa se è il caso anche di questa guerra?
Sì, così ho sentito, faccio fatica ad avere un quadro certo, ma da quanto ho saputo, anche dalle altre organizzazioni internazionali è un problema presente, soprattutto nelle zone occupate dai ribelli“.