Emergenze secondarie

di C. Alessandro Mauceri

Il terremoto in Turchia e Siria.
Il 6 febbraio e poi, di nuovo, il 20 febbraio, diverse scosse sismiche hanno devastato il sud-est della Turchia e la Siria settentrionale. La loro intensità è stata tale da far considerare questo evento tra i primi cinque terremoti a livello globale per numero di morti negli ultimi due decenni.
Le autorità turche hanno chiesto assistenza internazionale. La macchina degli aiuti internazionali si è attivata immediatamente (fornitura immediata di aiuti salvavita sotto forma di personale, macchinari e attrezzature per soccorrere le persone intrappolate nelle macerie del terremoto e altro). Ma gli aiuti sono arrivati in ritardo a chi ne aveva bisogno. Di sicuro non così tempestivamente come sarebbe stato necessario. Sia in Turchia che in Siria, sin da subito sono emerse gravi carenze. Secondo Amnesty International, ad esempio, sarebbe stato possibile salvare molte vite umane se, sin dall’inizio della crisi, si fossero attivati piani di salvataggio coordinati. Mancanza di coordinamento, personale e attrezzature hanno ostacolato in modo significativo gli interventi. Alcune organizzazioni locali hanno riferito ad Amnesty International che non poter disporre di macchinari pesanti e altri strumenti di salvataggio ha gravemente ostacolato gli sforzi di ricerca e soccorso. Ancora una volta, come per altre emergenze in altri momenti, in Turchia e in Siria impreparazione e incompetenza hanno fatto più danni dello stesso terremoto. Subito dopo, ma ancora di più nelle settimane che sono seguite.
Sin da subito sono venute a galla gravi carenze nel sistema di intervento per le emergenze. Come sempre in questi casi si cerca di giustificare questi danni attribuendo la colpa all’intensità dei fenomeni che hanno causato le emergenze. Molti danni sono stati causati dalla disorganizzazione e dall’impreparazione del personale nell’aiutare le vittime del terremoto. Molti hanno notato il ritardo nell’invio dei soldati per aiutare le popolazioni colpite. Eppure alcune basi si trovano non molto lontano dalle città colpite. Alcuni membri del gruppo dell’UNDRR si sono posti una domanda: davvero è stato fatto tutto il possibile per prevenire il disastro e per rendere la fase successiva più resiliente alle emergenze secondarie?
Subito dopo il terremoto, rispondendo alle critiche sugli sforzi per salvare i sopravvissuti sepolti, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che sarebbe stato “impossibile prepararsi per la portata del disastro”. È vero che è difficile prevedere quando e dove si verificherà un terremoto. Così come pure la sua intensità. I tentativi fatti in alcuni paesi geologicamente a rischio, come ad esempio in Giappone e in California, esistono sistemi di allarme che possono dare un brevissimo (qualche decina di secondi) di preavviso, impostando i semafori in rosso e fermando i treni. Ma questi sistemi non bastano per un’evacuazione di qualsiasi tipo. Non servono per evitare i disastri né ad aiutare nella fase dell’emergenza secondaria.
Son numerosi gli studi e le analisi che forniscono ai governi e alle amministrazioni locali indicazioni su cosa fare per ridurre i danni in caso di emergenze climatiche o di terremoti e ridurre le conseguenze delle emergenze secondarie. Ad esempio, il governo turco sapeva bene che il paese si trova su zone di faglia attive nella crosta terrestre, con una lunga storia di attività sismica. (< href="https://www.preventionweb.net/news/turkey-syria-earthquake-scandal-not-being-prepared">Terremoto Turchia-Siria: lo scandalo di non essere preparati – PrevenzioneWeb).
Incuranti di tutto questo, le autorità hanno permesso ai costruttori di farsi beffe delle normative edilizie sulla resilienza ai terremoti. Il presidente è stato più volte accusato di aver concesso al molte grandi imprese una sorta di “esenzione regionale” per costruire in violazione delle normative che prevedono che gli edifici siano in grado di resistere a un terremoto, di avere una certa quantità di spazio tra di loro, di dotarli di sistemi antincendio e di includere lo sviluppo ambientale. I media turchi hanno dichiarato che nell’ultimo periodo, le autorità avrebbero concesso circa sette milioni di esenzioni di questo tipo. E di queste, 5,8 milioni erano destinate all’edilizia residenziale.

Raggiungere le persone.
Come spesso avviene in questi casi, gli effetti più devastanti delle emergenze non si verificano subito. A volte bisogna aspettare settimane, mesi, addirittura anni per fare una stima realistica dei danni sia in termini di cose che di vite umane. A Porto Rico, nel 2017, dopo l’uragano Maria il conteggio ufficiale immediato fu di 64 vittime. Sei mesi dopo venne aggiornato e si parlò di quasi 3mila morti.
In Turchia e in Siria, il terremoto di febbraio scorso ha causato la morte di 54mila persone e provocato distruzioni enormi in un’area abitata da oltre 23 milioni di persone, molte delle quali, durante 12 anni di guerra civile/internazionale in Siria, avevano già cercato di fuggire, sia all’interno della Siria che oltre confine, entrando in Turchia come rifugiati.
Il primo convoglio di aiuti delle Nazioni Unite nel nord-ovest della Siria, in viaggio dalla Turchia attraverso il valico di frontiera di Bab al-Hawa – l’unico valico di frontiera autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – è arrivato tre giorni dopo il terremoto. Ma per distribuire questi aiuti è stato necessario attendere più di una settimana. Il tempo necessario per ottenere dal governo siriano l’autorizzazione a utilizzare (per tre mesi) altri due valichi di frontiera, Bab al Salam e al-Rai, per le consegne di aiuti delle Nazioni Unite nel nord della Siria.
Nel nord-ovest della Siria, già prima del terremoto il 90% dei 4,6 milioni degli abitanti dipendeva dall’assistenza umanitaria per soddisfare i propri bisogni di base. Fino alla fine si temeva che potesse esserci un solo valico di frontiera accessibile per far giungere gli aiuti, a Bab al-Hawa. Il capo degli aiuti delle Nazioni Unite Martin Griffiths ha dovuto riconoscere le carenze nel raggiungere i bisognosi: “Finora abbiamo deluso le persone nel nord-ovest della Siria. Si sentono giustamente abbandonati. Alla ricerca di aiuto internazionale che non è arrivato“.
La Commissione d’inchiesta internazionale indipendente dell’ONU sulla Siria ha denunciato la lentezza degli aiuti umanitari dopo il terremoto e ha chiesto l’apertura di un’inchiesta. Secondo i tre inquirenti delle Nazioni Unite, “La risposta ai recenti massicci terremoti è stata caratterizzata da ulteriori fallimenti che hanno ostacolato la consegna di aiuti urgenti e salvavita alla Siria nordoccidentale. Questi fallimenti hanno coinvolto il governo e le altre parti in conflitto, così come la comunità internazionale e le Nazioni Unite”. La Commissione rimprovera ai vari attori di “non essere riusciti a garantire un cessate il fuoco che avrebbe facilitato l’erogazione degli aiuti durante la prima settimana successiva al disastro. I siriani si sono sentiti abbandonati e trascurati da coloro che avrebbero dovuto proteggerli, nei loro momenti più disperati”. Il presidente della Commissione, Paulo Pinheiro, ha ricordato che “molte voci hanno chiesto che si svolga un’indagine e che i responsabili siano ritenuti responsabili. I siriani hanno ora bisogno di un cessate il fuoco completo e pienamente rispettato, in modo che i civili, inclusi gli operatori umanitari, siano al sicuro”. Intere comunità sono state distrutte. L’ONU stima che nella parte siriana dell’area colpita dal terremoto “circa 5 milioni di persone abbiano bisogno di un riparo di base e di assistenza non alimentare”. “Anche prima dei terremoti del 6 febbraio, più di 15 milioni di siriani – più che mai dall’inizio del conflitto – avevano bisogno di aiuti umanitari”. Secondo Pinheiro, “incomprensibilmente, a causa della crudeltà e del cinismo delle parti in conflitto, stiamo ora indagando su nuovi attacchi, anche in aree devastate dai terremoti. Questi includono l’attacco israeliano segnalato la scorsa settimana all’aeroporto internazionale di Aleppo, un punto di passaggio per gli aiuti umanitari”. Gli investigatori dell’ONU hanno denunciato che “Subito dopo il terremoto, il governo siriano ha impiegato un’intera settimana per consentire l’accesso transfrontaliero di aiuti vitali. Sia il governo che la Syrian National Army (SNA, milizie antigovernative jihadiste filo-turche, ndr) hanno bloccato gli aiuti transfrontalieri alle comunità colpite, mentre Hayat Tahrir al Sham (HTS – al-Qaeda in Siria, ndr) nella Siria nordoccidentale ha rifiutato gli aiuti transfrontalieri provenienti da Damasco”. Una dei commissari, Hanny Megally, ha detto che “Attualmente stiamo indagando su diverse accuse secondo cui le parti in conflitto avrebbero deliberatamente ostacolato l’assistenza umanitaria alle comunità colpite”. La Commissione presenterà la sua relazione al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite il 21 marzo a Ginevra. Situazione non molto diversa in Turchia.
Perchè scappano? Perchè “non c’è niente da mangiare per noi qui”, ha dichiarato un soldato che ha chiesto di non essere identificato perché è ancora un membro attivo dell’esercito turco e teme pesanti punizioni se scoperto a criticare il governo. Fuggito dalla città di Antakya, ora vive in un inferno: “Non c’è gas, nessun sistema di riscaldamento, nessuna elettricità. Non abbiamo soldi e nessuna delle nostre carte di credito è attiva. Molti di coloro che sono sopravvissuti stanno lottando per soddisfare i loro bisogni di base. A cominciare dal riparo e dal cibo. Tantissime famiglie vivono ammassate nelle tende bianche allestite dal braccio turco per i soccorsi in caso di calamità e di emergenza, noto con l’acronimo AFAD. Famiglie di otto o più persone dormono su materassi di gommapiuma gettati per terra, avvolte nei vestiti che indossavano al momento del terremoto, e in coperte colorate ricevute con gli aiuti umanitari. Madri, figlie, fratelli e padri si stringono per scaldarsi. Durante il giorno la vita è quella ormai nota dei campi di accoglienza dei profughi e rifugiati. “Aspettiamo in fila tutta la mattina e a pranzo non c’è più cibo”, dice uno dei terremotati. L’AFAD ha dichiarato di aver schierato decine di camion di cibo e centinaia di migliaia di pasti, ma i politici dell’opposizione e l’opinione pubblica dicono che potrebbe non essere vero.
Non è questo l’unico problema. Dopo il terremoto, sono peggiorati i rapporti tra i vari gruppi etnici. Una questione che la Turchia cerca di risolvere da sempre e con la quale convive da sempre. La regione sud-orientale è un territorio con un’elevata presenza di curdi. Il governo turco è stato coinvolto in un conflitto di quattro decenni con il gruppo separatista armato, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Ciò ha portato alla persecuzione di molti curdi per presunti legami con il gruppo.
Da febbraio, molte persone sono state costrette ad abbandonare la propria terra ormai ridotta ad un ammasso di detriti. Alcune famiglie curde hanno utilizzato le tende nelle quali dormono durante la stagione estiva della semina. Uno di loro, Genco Demir, ha dichiarato che lui e altri agricoltori sono stati abbandonati dal governo. Vivevano nel quartiere povero di Sekiz Subat. Ma nessuno è andato ad aiutarli, a vedere se le loro case erano danneggiate dal terremoto. “Non abbiamo carbone, non abbiamo cibo, non abbiamo niente”, dice. “Dobbiamo nutrire i bambini. Aiutateci”. A confermare le sue parole è Hayat Gezer, una donna di 45 anni con un tatuaggio tradizionale curdo sul mento e un velo nero. Ai problemi legati al terremoto si son aggiunti quelli legali: alcuni membri della loro comunità sono stati imprigionati per crimini che vanno dal furto al favoreggiamento del terrorismo. La fame e la disperazione porta a comportamenti esasperati. È bastato che un giovane cercasse di prendere il pane dalla tenda del suo vicino per scatenare una violenta rissa.

Identificazione dei cadaveri.
Nessuno ne parla mai, ma uno dei problemi che si verificano dopo emergenze come il sisma che ha colpito Siria e Turchia è la ricerca, l’identificazione e la rimozione dei cadaveri. Sono ancora migliaia i corpi rimasti intrappolati sotto le macerie. “Ci sono da 30 a 40 persone lì sotto”, ha detto un soccorritore indicando un edificio di sei piani crollato di fronte a lui. “Ma nessuno di loro ne uscirà vivo”. Quella dell’identificazione dei cadaveri non identificati e dei dispersi è una emergenza secondaria di cui non parla nessuno. Come sempre, gran parte dell’attenzione è stata concentrata sulla perdita di vite umane subito dopo l’evento calamitoso. Eppure problemi di questo tipo non sono una novità. Il terremoto che si è verificato nel 1999, vicino a Istanbul causò più di 18.000 morti. Ancora oggi, 5.840 sono ufficialmente dispersi. La maggior parte di questi potrebbero essere stati sepolti senza essere stati prima identificati. Queste persone non sono incluse nel bilancio delle vittime.
Anche per il terremoto di febbraio 2023 la stima dei morti è solo temporanea. All’appello mancano tantissime persone. C’è chi dice poco più di un migliaio. Ma è una stima approssimata per difetto, resa difficile dal fatto che molti cadaveri sepolti nei cimiteri non sono stati identificati. Le autorità turche hanno fornito scarse informazioni su quante persone sono disperse, rendendo poco chiara la portata dell’evento. E pochi hanno parlato delle procedure adottate dal governo turco per far fronte a questa emergenza secondaria. Come ha confermato Hilal, professore di medicina legale, dopo il terremoto del mese scorso, circa 5mila persone non identificate sono state sepolte in tutta la zona del terremoto (anche nel tentativo di ridurre il rischio di epidemie). Nelle settimane successive, il numero delle persone mancanti all’appello è sceso a circa 1.470: secondo le autorità molti dei corpi sepolti sarebbero stati identificati utilizzando le impronte digitali, cercando correlazioni con il test del DNA o facendo analizzare le loro foto ai parenti più prossimi. A Narlica, una città nella provincia di Hatay, una delle aree più gravemente danneggiate dal terremoto, per scoprire le identità dei cadaveri, agenti di polizia e autorità statali hanno adibito a uffici dei container portati lì come rifugi antisismici. In questi “uffici” si recano le famiglie che non hanno più notizie di persone care scomparse. La polizia registra i nomi dei parenti scomparsi e controlla in un database se i cadaveri sono stati trovati. Alle persone che riconoscono un proprio familiare scomparso viene consegnato un certificato di morte, fotografie scattate prima che il loro parente venisse sepolto e il nome del cimitero o il numero della tomba dove è stato sepolto. Gli altri, quelli i cui nomi dei parenti non risultano inseriti nel sistema, vengono invitati a guardare un grande schermo sul quale la polizia fa scorrere ciclicamente centinaia di fotografie di corpi non identificati, molti dei quali sfigurati, nella speranza di riconoscere uno di loro. Una prassi straziante: molte delle foto mostrano corpi distrutti o irriconoscibili schiacciati dalle macerie. “Ho controllato più di 150 foto. Non ce la facevo più”, ha detto Suheyl Avci. “Mio fratello sta continuando ora”. Alcuni vanno via senza aver trovato il parente o l’amico di cui non hanno più notizie dopo il terremoto. Prima di allontanarsi, molti lasciano un campione di sangue per consentire di effettuare il test del DNA sui campioni prelevati da corpi non identificati prima della sepoltura. Per questi sopravvissuti le ricerche continuano. Ma le difficoltà non finiscono qui: alcuni ospedali si sono rifiutati di mostrare fotografie di pazienti non identificati nelle loro unità di terapia intensiva, citando problemi di privacy.
Sono le conseguenze delle emergenze secondarie. Eventi legati alla prima emergenza che ma dei quali si parla poco. Non fanno notizia. ma i loro effetti sono forse ancora più gravi man mano che le macerie vengono rimosse ed emergono nuove vittime.

Danni alle strutture e alle infrastrutture.
Uno dei problemi più comuni dopo eventi come quello di febbraio è lo stato in cui si trovano le strutture e le infrastrutture colpite dalle scosse. Dopo le prime settimane, nella zona devastata dal sisma si respirava quasi un senso di normalità. Ma era una falsa impressione. Il terremoto che ha colpito Turchia e Siria ha lasciato sul territorio cumuli di cemento e metallo contorto, dai quali spuntano macchie di colore: frammenti di mobili, giocattoli per bambini, vestiti. Molti vedono in questi oggetti semidistrutti un segno che potrebbero esserci ancora dei sopravvissuti. Altri che in quel punto potrebbero trovare il cadavere di una persona cara intrappolata sotto le macerie. Per rimuovere queste montagne di cemento servono attrezzature pesanti (senza è praticamente impossibile rimuovere grandi pezzi di cemento armato). Ma farlo potrebbe uccidere chi si spera essere ancora in vita.
Dopo il primo shock, la politica ha preso il sopravvento sui bisogni umanitari e sui sentimenti. Tutti, dai capi di stato alle agenzie di stampa ai gruppi per i diritti umani hanno inveito e criticato le Nazioni Unite per aver fatto troppo poco. Il capo degli aiuti delle Nazioni Unite Martin Griffiths si è dovuto scusare per i fallimenti della sua organizzazione. Quello che nessuno ha detto è che, in questi casi, il dopo emergenza spesso è molto più pericoloso e difficile da gestire dell’emergenza stessa.
Quello legato alle infrastrutture è uno dei problemi maggiori. Inoltre, anche gli edifici che non sono crollati potrebbero aver riportato danni tali da non essere più sicuri. Molti rischiano di crollare da qui a pochi mesi. Nel 2017, nel nord-ovest della Siria, la Banca Mondiale ha stimato che più di un terzo degli immobili è delle infrastrutture erano stati danneggiati o distrutti nel conflitto. Uno stato di precarietà che ha avuto conseguenze dopo anni: nelle scorse settimane un edificio di cinque piani è crollato, uccidendo 16 persone.
Altri aspetti “secondari” da non trascurare sono il momento (sia in termini di ore del giorno che di periodo dell’anno) e il territorio in cui si è verificata l’emergenza primaria. Il terremoto che ha colpito Turchia e Siria è avvenuto in inverno e di notte. Molti dei sopravvissuti sono scappati dalle proprie case senza portare niente con sé. Nessuno aveva pronta una BOB, una Bug out Bag, una borsa con dentro i beni di prima necessità per far fronte a queste emergenze. I sopravvissuti sono rimasti al buio e al freddo tra le macerie delle case distrutte. In alcune delle zone dove si è verificato il sisma, l’inverno è gelido. A Kahramanmaras – l’epicentro del terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito questa parte del pianeta – non è difficile raggiungere i -5°C di notte. Dopo il terremoto molte famiglie si sono accampate e hanno deciso di passare la notte davanti alle rovine anche per paura che venissero saccheggiate. Per molte di loro, l’unico modo per riscaldarsi è stato bruciare la legna raccolta dalle macerie.
In tutta l’area colpita dal terremoto, la fornitura di energia elettrica è stata a lungo intermittente, con molte parti della Siria settentrionale completamente fuori dalla rete. Questo ha reso quasi inutilizzabili tanti macchinari. Per non parlare dei dispositivi mobili e Internet. Questo ha ritardato la risposta e complicato il coordinamento degli aiuti. Anche le condutture di gas, su cui molti facevano affidamento per riscaldare le proprie case, sono state gravemente colpite. Con elevato rischio di esplosioni e incendi.
In Siria questa situazione non ha fatto che peggiorare una condizione già grave a causa del conflitto in corso: prima del terremoto erano almeno 2 milioni le persone costrette a vivere in alloggi privi di riscaldamenti, inadeguati a far fronte al rigido inverno siriano. Almeno 800mila persone, la maggior parte dei quali bambini, vivono in rifugi di fortuna. Senza riscaldamento, senza elettricità, senza acqua pulita e senza servizi igienico-sanitari. Ora, dopo il terremoto, la situazione è peggiorata. “Le temperature stanno precipitando sotto lo zero, lasciando migliaia di persone esposte”, ha dichiarato Tanya Evans, direttrice nazionale dell’IRC per la Siria.

Danni alla salute.
Un evento come quello che si è verificato e le emergenze secondarie che ne sono derivate non possono non causare danni alla salute. In questi casi gli effetti sulla salute sono tanti e di diverso tipo. Scarso accesso all’acqua e riserve idriche contaminate dal numero di cadaveri non ancora rimossi. Reti fognarie distrutte o seriamente danneggiate con danni alle falde acquifere e alle condotte idriche e ai bacini. Condizioni igieniche scarse per non dire critiche. Carenza o totale mancanza di medicine e farmaci di prima necessità. Difficoltà per le persone che erano in terapia (anche solo farmacologica) già prima del sisma di trovare certi medicinali. E la lista potrebbe essere molto più lunga.
Tra i pericoli maggiori la mancanza di cure mediche adeguate, la difficoltà di reperire acqua pulita e riparo. Con le reti idrica, elettrica e fognaria distrutte spesso le emergenze primarie sono seguite da epidemie. Dopo il terremoto di Haiti del 2010, il paese venne colpito da un’epidemia di colera. Ci volle quasi un decennio per debellarlo. Intanto le persone colpite dalla malattia, da questa emergenza secondaria, furono più di 820mila e quasi 10mila persero la vita.
In Siria, a causa della guerra, il colera stava già colpendo parti del paese, ma a questo problema era stata dedicata poca attenzione. Ora, dopo il terremoto di febbraio, il rischio è che l’epidemia possa diffondersi in tutto il paese. Pochi giorni dopo il terremoto, l’OMS ha lanciato l’allarme e ha parlato di una crisi sanitaria secondaria che minaccia la Turchia e la Siria all’indomani del devastante terremoto. Una crisi che potrebbe essere peggiore del terremoto stesso, come ha sottolineato l’Agenzia France-Presse. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato di una corsa contro il tempo per salvare vite umane e per garantire che i sopravvissuti rimangano in vita in queste terribili circostanze. Robert Holden, responsabile degli incidenti di risposta ai terremoti dell’OMS, ha affermato che l’obiettivo immediato è quello di salvare vite umane, ma ha insistito sul fatto che è “imperativo assicurarsi che coloro che sono sopravvissuti al disastro iniziale… continuino a sopravvivere”. “Abbiamo molte persone che sono sopravvissute e ora [vivono] all’aperto, in condizioni peggiori e orribili”, ha spiegato. Per loro è stato interrotto l’accesso all’acqua, al carburante, all’elettricità e alle comunicazioni. “Siamo in pericolo reale di vedere un disastro secondario che potrebbe causare danni a più persone rispetto al disastro iniziale se non ci muoviamo con lo stesso ritmo e intensità che stiamo facendo nella ricerca e nel salvataggio”, ha detto in una conferenza stampa a Ginevra. “Non è un compito facile… La portata dell’operazione è enorme”. Adelheid Marschang, alto funzionario di emergenza dell’OMS, ha spiegato quali sono i rischi che i sopravvissuti potrebbero dover affrontare. C’è una “chiara preoccupazione” che “i rischi per la salute sottostanti saranno probabilmente esacerbati” dalle conseguenze. In Siria, devastata da anni di guerra civile, questi rischi hanno nomi noti ogni volta che si parla di emergenze secondarie: diarrea, colera, malattie respiratorie, leishmaniosi, disabilità e infezioni secondarie delle ferite. Il terremoto probabilmente peggiorerà anche le malattie croniche e quelle non trasmissibili a causa dell’interruzione dell’assistenza sanitaria, con tali capacità già “gravemente colpite” dalla guerra civile. Un altro funzionario dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus ha detto che il bilancio delle vittime continuerà a salire: “Con le condizioni meteorologiche e le continue scosse di assestamento, siamo in una corsa contro il tempo per salvare vite umane”. “Le persone hanno bisogno di riparo, cibo, acqua pulita e cure mediche, per le ferite causate dal terremoto, ma anche per altri bisogni sanitari”. In Siria la situazione è aggravata da epidemie di morbillo e colera (dalla fine di agosto, la Siria ha riportato circa 85mila casi di colera).
Il problema legato all’igiene è uno di quelli che preoccupano di più anche in Turchia. Nei rifugi di fortuna, c’è una grave carenza di servizi igienici portatili e molte persone sono costrette a fare i propri bisogni vicino alle tende o alle strutture in cui alloggiano. La sporcizia si sta accumulando e gli operatori sanitari locali temono che questo possa causare problemi che potrebbero diffondersi al di fuori dell’area colpita dal sisma. A peggiorare la situazione il fatto che nessuno sa dire per quanto tempo queste persone dovranno vivere in queste terribili condizioni o se saranno in grado di superare il freddo e la pioggia dei prossimi mesi.
Tutti questi problemi non sono una “novità”. Da molti anni si sottolineano i rischi per la salute legati alle emergenze secondarie. Questi effetti possono includere malattie croniche non trasmissibili: i ricercatori dell’Università di Osaka hanno dimostrato la somiglianza di alcuni effetti secondari sulla salute delle persone che hanno vissuto disastri e pandemie. In questo momento. I ricercatori dell’Università di Osaka hanno mostrato un aumento delle principali malattie non trasmissibili dopo il disastro di Fukushima e dopo l’epidemia di COVID-19. Sette anni dopo il disastro di Fukushima, uno studio ha rivelato che la percentuale di casi di diabete era aumentata significativamente, sia negli sfollati che nei non evacuati. Analizzando le percentuali di alcune malattie, tra cui ipertensione, iper-lipidemia, diabete e disturbi mentali, prima e dopo il disastro di Fukushima e la pandemia di COVID-19, divisi per età e sesso, è emerso che tutte e quattro le malattie sono aumentate. “Questo studio ha fatto luce sull’identificazione delle popolazioni vulnerabili coinvolte e sulla valutazione dell’effetto secondario dei disastri sulla salute mentale e fisica di queste persone”, afferma l’autore principale, Michio Murakami.
Non meno importanti dei problemi fisici sono i problemi psicologici correlati al trauma del terremoto e alla perdita di tutto. Il direttore delle emergenze dell’OMS Michael Ryan ha ricordato che sarebbe necessario un supporto duraturo per la salute mentale per aiutare le vittime del terremoto in Siria e in Turchia. “È un problema enorme”, ha detto, “lo stress psicologico che le comunità hanno attraversato nelle ultime 60 ore si ripercuoterà per 60 anni”. Disastri e pandemie possono influire sulla salute fisica e psicologica delle persone coinvolte anche “dopo” che gli eventi si sono verificati. A distanza di oltre un mese dal sisma che ha colpito Turchia e Siria, molte persone si trovano a rivivere uno stress da trauma che potrebbe lasciare ferite non rimarginate. Molti soccorritori hanno segnalato casi di ragazzi provenienti dalle zone colpite dal sisma che non riescono a smettere di piangere. Non per il dolore delle ferite ma per la paura. In loro si è diffusa un’ansia incontrollabile legata all’incertezza sul loro futuro. La scuola, il lavoro, i rapporti sociali, anche il matrimonio che per molti giovani era una meta tanto attesa ma che dopo il terremoto è svanito nel nulla.

Conseguenze politiche.
Gli eventi più recenti hanno messo in luce quanto, dopo le emergenze, può essere difficile superare alcune barriere politiche. La vulnerabilità di certi paesi (la maggior parte) non fa che peggiorare le conseguenze delle emergenze che si verificano. E rendere difficile risolvere rapidamente i problemi.
Al termine della visita di 5 giorni nelle aree devastate dal terremoto, l’Alto commissario ONU per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato: “Il livello di distruzione e devastazione è scioccante e, in molte aree, lo scenario è apocalittico. A causa di quest’evento tragico e terribile, milioni di persone hanno subito perdite, ferite e traumi, e molte altre sono state costrette a fuggire”. In Turchia, l’Alto Commissario ha incontrato le persone che dopo aver perduto tutto a causa del terremoto, ora, vivono nei campi di accoglienza, in tende o altre strutture temporanee. Altre famiglie sono ospitate da famiglie di volontari. In Siria molte famiglie vivono all’interno di alloggi collettivi. Tristi le parole di Grandi: “Torno in Siria regolarmente da quasi 20 anni e, ovunque io sia stato, non ho mai assistito prima d’ora a questi livelli di privazione e disperazione. È inconcepibile che così tante persone siano state lasciate con così poco per così tanto tempo”. L’ONU ha chiesto 1 miliardo di dollari per finanziare le attività di risposta umanitaria agli effetti del terremoto in Turchia e quasi 400 milioni di dollari per la Siria. Somme non indifferenti per il bilancio delle NU. Ma solo una piccolissima parte dei fondi spesi per le guerre da paesi come gli USA o i paesi europei. Attualmente gli aiuti previsti dalle Nazioni Unite sarebbero stati finanziati solo al 12% per la Turchia e al 59% per la Siria. Passata l’emozione, spenti i riflettori delle televisioni, milioni di persone rischiano di andare a ingrossare le folle dei profughi non potranno non aumentare il numero dei migranti che cercano di arrivare in Europa o quelle di chi, di fronte alla disperazione, va a rimpinguare le fila delle milizie estremiste. Ad Aleppo molti degli edifici, delle strade e dei servizi sono distrutti. Qui, come in molte altre città, non si vive: si sopravvive. Senza elettricità, con un costo della vita altissimo che rende difficile sopravvivere per le fasce della popolazione meno abbienti, i giovani non hanno altra scelta che scappare. Ma spesso non sanno come fare. Anche chi è riuscito a sopravvivere alla guerra ora è colpito dal terremoto: “Finalmente ero riuscito a ricostruire la mia casa danneggiata dalla guerra – ha dichiarato un abitante di Aleppo – in un minuto, la fatica di anni, è crollata. Ora vivo in una tenda per strada, ho 65 anni e non ho alcuna idea di come potrò trovare i soldi, il coraggio e la voglia di ricominciare”.
Spesso, dopo un’emergenza primaria, a mancare è proprio l’azione dei governi. Subito dopo il terremoto, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato sul posto e ha promesso di ricostruire le aree colpite entro un anno. Ma nessuno ha creduto alle sue promesse. “Lasciate che il presidente venga qui se osa”, ha detto un abitante di Adiyaman, una delle città colpite dal sisma. “Nessun membro del parlamento o alto funzionario è venuto. Ci hai lasciati soli. Il nostro sangue è sulle tue mani. Dov’è l’Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze? Svegliatevi!”. Quando si verificano delle emergenze, è ormai prassi consolidata per i leader politici farsi fotografare con alcune delle vittime del disastro. Quasi a dimostrare che loro sono presenti e attivi. In Turchia non è stato diverso. Tra le foto di Erdogan subito dopo il terremoto quella con alcuni bambini salvati dalle macerie e avvolti in coperte mentre venivano trasportati a bordo del lussuoso aereo presidenziale in un ospedale di Ankara, la capitale della Turchia. Una mossa che molti hanno definito “marketing”. I numeri, quelli veri, sono altri: secondo l’UNICEF, dei sette milioni di bambini ad aver bisogno di cure immediate in Turchia e Siria, 4,6 milioni provengono dalle zone terremotate più colpite. Altri due milioni e mezzo di bambini sono vittime di “danni collaterali”: soffrono di traumi, carenza di cibo e disorientamento, anche se non sono stati direttamente colpiti dal terremoto.
Una delle parole più abusate degli ultimi anni è “resilienza”. Mai come in questi casi, però, è utile per spiegare la situazione. Una delle emergenze secondarie legate ai fenomeni estremi è la scarsa resilienza ad altri fenomeni che dovessero verificarsi. A circa un mese dalle scosse di terremoto che hanno distrutto intere aree della Siria e della Turchia, in questo paese si sono verificate inondazioni improvvise a causa delle piogge torrenziali. Almeno 10 persone che vivevano in tende e alloggi per container allestiti nel sud-est della Turchia sono morte e centinaia sono state spazzate via dalla marea che ha trasformato le strade in fiumi fangosi. Il governatore di Sanliurfa ha dichiarato che l’inondazione ha raggiunto anche il piano terra di uno dei principali ospedali della regione.

Le fasce più deboli.
Come in molti altri casi, a dover pagare il prezzo più alto della cattiva gestione delle emergenze secondarie sono le fasce più deboli della popolazione. Prima di tutto i bambini. Basti pensare ai traumi che può causare in un minore la distruzione del mondo in cui viveva. Ai danni per la salute, per non avere accesso al cibo necessario alla crescita e allo sviluppo. O alle conseguenze che può avere, a medio e lungo termine, non aver potuto frequentare la scuola. L’istruzione è un diritto innegabile dei bambini, previsto dalla CRC, la Convenzione dei Diritti del Fanciullo. Già prima del terremoto, per quasi 3 milioni di bambini siriani in età scolare in Siria e in Turchia (ma anche quelli portati in Libano, Giordania, Iraq ed Egitto) non c’era nessuna istruzione. Gli sforzi dell’UNICEF e di diverse associazioni umanitarie non erano sufficienti a garantire questo diritto a milioni di bambini. In Siria, già prima del terremoto, la guerra aveva avuto un impatto devastante sull’istruzione. A cominciare dalle infrastrutture: sono oltre 7.000 le scuole danneggiate o distrutte dai bombardamenti. A questi bambini già vulnerabili, ora si sono aggiunti quelli sfollati a causa del terremoto. Complessivamente sono stati quasi 6 mila gli edifici distrutti dal terremoto. E migliaia hanno subito danni che li hanno resi inagibili. In Siria ma anche in Turchia, nella regione di Adiyaman, sono state decine e decine le scuole distrutte. Servizi sociali e gruppi di volontari hanno organizzato delle lezioni per alcuni bambini ma questo non basterà. Un’intera generazione di bambini che non andrà a scuola. Da grandi questi bambini avranno difficoltà ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro. Per i pochi fortunati per i quali esiste ancora un edificio chiamato “scuola” ci sono altri problemi: carenza di personale, qualità inadeguata dell’insegnamento e mancanza di materiali didattici. Fattori che spesso sono il primo passo verso l’abbandono scolastico: non sorprende se quasi un terzo degli iscritti non arriva alla fine della scuola primaria. Secondo le stime delle agenzie delle Nazioni Unite, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni, oltre il 70% dei rifugiati o delle vittime di questi disastri vive in povertà ed è vulnerabile allo sfruttamento e agli abusi, compresi il lavoro minorile e i matrimoni precoci. Il Piano regionale per i rifugiati e la resilienza (3RP) dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) è una piattaforma strategica, di coordinamento, pianificazione, advocacy, raccolta fondi e programmazione per i partner umanitari e di sviluppo per rispondere alla crisi siriana che comprende un piano regionale, con cinque capitoli nazionali autonomi di cui uno in Turchia.
Molti bambini sono rimasti soli, senza genitori o parenti stretti. Le organizzazioni umanitarie e il Ministero del Welfare turco hanno già ricevuto centinaia di migliaia di richieste di adozione, sia dalla Turchia che da altri paesi. Ma in questo paese il processo di adozione non è né semplice né rapido. La legge turca è molto severa per quanto riguarda le adozioni e gli orfani potrebbero trascorrere molti mesi, anni in orfanotrofi e rifugi temporanei prima che le autorità possano trovare una nuova casa per loro. Il ministero del Welfare ha annunciato che avrebbe iniziato a distribuire gli orfani tra le famiglie affidatarie e le famiglie adottive. Anche questo non è semplice. Anzi potrebbe causare un altro problema: un’adozione frettolosa potrebbe causare gravi danni, a volte permanenti, sui bambini affidati ai genitori sbagliati. In alcuni casi, l’entusiasmo iniziale dei genitori adottivi diminuisce e molte famiglie hanno deciso di restituire il bambino alle autorità assistenziali. In altri casi, il minore adottato è diventato un peso per la famiglia adottiva o addirittura una vittima. Tutti effetti secondari estremamente pericolosi.
Identificare e fornire loro cure immediate è solo una parte del problema. Molti genitori hanno perso anche i documenti contenenti la “storia medica” di persone con cronicità serie. Ora lottano per ottenere i farmaci di cui hanno bisogno per se stessi o per i propri familiari. Alcune cliniche dove ricevevano cure sono state distrutte, i medici e gli infermieri che conoscevano e si prendevano cura delle famiglie sono morti o dispersi.

La ricostruzione.
Uno dei problemi connessi alle emergenze secondarie è la ricostruzione. Questo presuppone ripristinare in tempi rapidi strutture, reti e impianti distrutti. Dalla rete elettrica alla rete idrica, dalla rete fognaria alle linee telefoniche fino a strade e infrastrutture di ogni tipo (scuole ospedali uffici pubblici e altro). Solo dopo aver fatto tutto questo sarà possibile ricostruire le abitazioni. Ma prima di tutto, è necessario rimuovere i detriti delle costruzioni crollate. Erdogan si è impegnato a costruire decine di migliaia di nuovi appartamenti entro un anno per le centinaia di migliaia di persone che hanno perso le loro case. Ingegneri e architetti hanno definito questa promessa un discorso a vuoto. Per ricostruire tutto, infatti, è indispensabile rimuovere le case crollate. Poi dovrà essere eseguita un’indagine sugli edifici rimasti in piedi per valutare l’entità dei danni e determinare le modalità di intervento. Ma soprattutto, prima di costruire le case sarà necessario ricostruire le infrastrutture danneggiate dal sisma. Tutto questo ha fatto tornare a galla un problema mai risolto: il rispetto di molte strutture e infrastrutture non solo ai vincoli di legge per zona sismica ma alle più elementari regole per la sicurezza. Per giustificare i danni causati dal terremoto il presidente della Turchia ha detto che “il 98% delle case distrutte” nell’attuale terremoto “erano state costruite prima del 1999”. Ma ancora una volta gli esperti non sono d’accordo: molti di questi edifici si sarebbero sbriciolati perché costruiti male. E certamente non idonei a sopportare eventi sismici come quello che si è verificato a febbraio scorso. Il tema dell’abusivismo e del mancato rispetto dei regolamenti è una polemica che in Turchia va avanti da anni. Il governo avrebbe avviato le procedure per cercare di far emergere i nomi delle persone responsabili di queste costruzioni “difettose”. Finora, però, sarebbe venuta a galla solo la punta dell’iceberg: ad essere stati identificati sarebbero stati solo 221 tra appaltatori, supervisori dei lavori e ingegneri. Ma sono in molti a ritenere che tutto questo servirà a poco. Il sito turco Bianet, che si concentra su questioni relative ai diritti umani ed è finanziato dall’Unione europea, ha pubblicato un rapporto investigativo nel quale sono riportati i risultati dei procedimenti legali dopo altri terremoti o crolli di edifici a più piani in Turchia. Delle 2.100 accuse presentate molte si sono perse nei meandri della giustizia. Il numero si è rapidamente ridotto a 300. Di queste, solo 110 sono state seguite da una condanna. E in molti casi, le condanne sono state sospese. Alcune delle persone accusate di questi reati erano state inizialmente condannate a pene detentive da tre a cinque anni (in un caso anche a 18 anni). Ma nei vari passaggi legali, le sentenze sono state abbreviate o cancellate del tutto. Lo stesso per le multe inflitte ai condannati.
Il modo migliore per prepararsi a un disastro sismico, ovvero quello che chi governa avrebbe dovuto fare, è costruire case e infrastrutture utilizzando tecniche di resilienza ai terremoti note ed efficaci. Questo non solo avrebbe permesso di ridurre il numero dei morti ma avrebbe consentito alla popolazione colpita di affrontare meglio le emergenze secondarie. I modi in cui gli edifici possono essere progettati e costruiti per resistere ai terremoti, in modo che non crollino, sono tanti. In un’area a rischio di grandi terremoti, come quella dove si è verificato il sisma di febbraio scorso, un edificio a più piani dovrebbe essere progettato in modo che quando il terreno inizia a tremare, le sue pareti esterne su entrambi i lati ondeggiano all’unisono nella stessa direzione l’una dell’altra. Se questo non avviene e le pareti opposte vengono lasciate libere di oscillare l’una dall’altra, i piani intermedi diventano momentaneamente non supportati e rischiano di scivolare giù ai piani inferiori. É quello che è successo in molti edifici colpiti dal terremoto in Turchia. Con una spesa maggiore sarebbe stato possibile realizzare fondazioni più in profondità, collegandole al substrato roccioso (che scuote meno del terreno). In alternativa, sarebbe stato possibile montate le fondazioni su cuscinetti flessibili per isolare l’edificio dal movimento del terreno. Secondo alcuni studi costruire edifici e infrastrutture con una maggiore resilienza sismica costerebbe circa il 20% di più.
Questo, in Turchia e in Siria, in molti edifici non è stato fatto. Per chi ha cercato di lucrare il più possibile sui materiali e sulla progettazione la tentazione di ignorare le normative è stata troppo forte. E i controlli non sono riusciti a far emergere queste irregolarità. Secondo alcuni studi, il governo sarebbe stato fin troppo accondiscendente con le violazioni ai codici di costruzione. Anzi avrebbe incoraggiato la non conformità consentendo ai costruttori di pagare una “construction amnesty” in cambio di violazioni ufficiali dei codici. Ora è possibile solo piangere sul latte versato, sulle macerie delle case che si sono sbriciolate.
Tra le emergenze secondarie c’è anche la necessità di ricostruire quanto distrutto. Il ministro dell’ambiente dell’urbanizzazione e dei cambiamenti climatici turco, Murat Kurum, ha detto che, ad una prima indagine condotta da 7.100 ispettori che hanno esaminato più di 300.000 edifici, è emerso che sarà necessario demolire circa 50.000 edifici in condizioni pericolose. Altri 279.000 edifici sono stati parzialmente danneggiati o non danneggiati affatto. Numeri questi che non tengono conto di quelli che sono stati completamente distrutti. Ammesso che il governo mantenga le promesse fatte subito dopo il terremoto, ovvero di approvare un piano di risarcimento, la maggior parte delle vittime potrebbe non ricevere neanche un centesimo: la maggior parte delle abitazioni non erano assicurate. E anche quelle che lo erano dovranno sostenere estenuanti battaglie con le compagnie di assicurazione che, con ogni probabilità, cercheranno di scaricare tutta la colpa sul governo. Tutto questo avrà ricadute non indifferenti sulla popolazione ma anche sull’economia del paese. L’Associazione turca dell’industria e delle imprese, che rappresenta circa 55.000 uomini d’affari, ha stimato che il danno per l’economia dovrebbe essere superiore agli 80 miliardi di dollari, circa il 10% del Prodotto Interno Lordo della Turchia. E la maggior parte di queste perdite, 70 miliardi di dollari, sarà riconducibile ai danni agli edifici (10 miliardi di dollari alla perdita di reddito e 3 miliardi di dollari alla perdita di giornate di lavoro).
Un abitante della città di Adiyaman, la cui famiglia è stata ferita dal terremoto, ha espresso la sua frustrazione per una durezza che riflette il sentimento pubblico prevalente. “Lasciate che il presidente venga qui se osa”, ha detto. “Nessun membro del parlamento o alto funzionario è venuto. Ci hai lasciati soli. Il nostro sangue è sulle tue mani. Dov’è l’Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze? Svegliatevi!”
Forse è il momento che in tutto il mondo ci si svegli e si cominci a pensare a quelli che sono gli effetti delle emergenze secondarie. E cosa fare per essere in grado di fronteggiare queste emergenze. Soprattutto le emergenze secondarie.