Esclusiva. L’appello disperato della moglie di Hannibal Gheddafi, Aline Skaf, ‘Nessuno parla con noi, sono sola con 3 bambini’

a cura di Vanessa Tomassini

L’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”. Non sembrerebbe così ad ascoltare Aline Skaf, la ex modella libanese, moglie di Hannibal Gheddafi, quartogenito figlio dell’ex leader libico, di recente condannato ad un anno e tre mesi di reclusione, in cui si trova da quasi tre anni. Risposte decise che a volte lasciano spazio alla malinconia e ai dispiaceri, così Aline ci racconta il suo calvario dalla Libia alla Siria, passando per la sparizione forzata del marito in Libano.

– Dove si trova in questo momento?
“Sono a Damasco, sono venuta qui dall’Algeria da 4 anni. Nel 2011 siamo scappati in Algeria, ma lì la situazione era veramente brutta, così siamo venuti in Siria per essere un po’ più liberi, ma ci sentiamo molto male, anche se siamo a Damasco nella capitale, non siamo al sicuro. La cosa migliore è che almeno qui i bambini possono andare a scuola”.

– Quanti figli ha con Hannibal Gheddafi?
“Tre bambini: il primo Hannibal Jr ha 13 anni, Alissare ne ha 9 e Ritage che invece ha 6 anni”.

– Lei cosa fa? Lavora?
“No, oggi no, prima lavoravo come modella. Come posso lavorare? Sono da sola, sono responsabile di tutto”.

– Che tipo di uomo è Hannibal? E veramente un uomo violento?
“Assolutamente no! È un uomo forte sicuramente, ma ha un cuore d’oro. Assomiglia molto a suo padre, ha una visione ed è molto serio. I bambini erano molto attaccati a lui e stanno soffrendo tantissimo, non passa un giorno senza che mi chiedono di lui”.

– Ho letto brevemente il suo fascicolo, le va di riassumerlo con me?
“L’11 gennaio 2015, Hannibal è stato rapito in Siria da una banda armata sotto la guida di Hassan Yacoub e poi portato forzatamente in Libano attraverso la valle della Bekaa. È stato detenuto dai rapitori per 7 giorni, durante i quali è stato torturato fisicamente e psicologicamente per costringerlo a rivelare informazioni sulla scomparsa dell’Imam Musa al-Sadr, Sheikh Mohammed ed Abbas Badruddin, la cui scomparsa è avvenuta presumibilmente in Libia nel 1978. L’11 gennaio 2015, la stazione di Al-Jadid ha trasmesso un video che mostra Hannibal con chiari segni di percosse, mutilazioni e lividi visibili sul viso, sugli occhi e sul corpo. I rapitori hanno costretto mio marito a fare appello a chiunque avesse informazioni sul caso dell’Imam Musa Sadr di fornirle alla famiglia del leader religioso. Dopo che i rapitori hanno visto che Hannibal non aveva le informazioni che cercavano, lo hanno consegnato alle forze di sicurezza libanesi sulla strada di Baalbek che lo hanno arrestato senza un mandato trattenendolo per tre giorni fino a quando non è stato ascoltato dal giudice per le indagini preliminari che non aveva più giurisdizione sul caso dal 2008 e che lo ha ascoltato per lo stesso motivo per cui era stato rapito. Nel 2008 le autorità libanesi hanno incolpato della sparizione dell’Imam, il padre di Hannibal, Muammar Gheddafi. Nel 1978 Hannibal aveva solamente due anni. L’arresto e l’interrogatorio di Hannibal è stato fatto senza alcun preavviso o mandato di arresto emesso di alcuna autorità giudiziaria e solamente alcuni giorni fa è stato condannato ad un anno e tre mesi, più una molta di 2 milioni di lire libanesi per oltraggio alla magistratura”.

– Da quanto tempo i bambini non lo vedono? Da quanto non vi sentite?
“L’ultima volta che l’abbiamo visto è stato tre anni fa. Ora noi parliamo spesso, gli hanno dato un telefono cellulare con il quale può chiamarci ogni tanto, ma non è abbastanza perché noi non possiamo andare in Libano…”.

– Lei è una cittadina libanese, perché non può andare in Libano?
“Perché le autorità siriane non ci lasciano passare, non soltanto ora per via della guerra e l’attuale peggioramento della situazione siriana; io non ho mai smesso di domandarlo, ma non ho mai ricevuto risposta. Ho fatto tutto il possibile, ho scritto al presidente libanese, ma nulla! La verità è che nessuno parla con noi, nessuno ci visita, siamo abbandonati da tutti!”.

– Nemmeno la famiglia Gheddafi la aiuta?
“Loro non possono, nessuno può venire qui. La mia famiglia si trova in Libano, è qui vicino, eppure non posso andare. Non c’è nessuna logica, non so perché. Sono tre anni che chiedo di poter visitare mia madre, non c’è alcun motivo per impedirmelo. Davvero non capisco il perché. Spero che almeno lei mi capisca, sa cosa vuol dire per una donna sola come me dover provvedere a tutto, con 3 figli in un paese in guerra?”.

– Lei ha il passaporto? I bambini hanno i documenti?
“Io ho soltanto il passaporto libanese”.

-Lei pensa che le cose sarebbero state più semplici se non aveste avuto il cognome Gheddafi sul passaporto?
“Sicuramente, non c’è dubbio…”.

– Vuole fare un appello alle istituzioni internazionali? Al Governo libanese e a tutti coloro che ci stanno leggendo?
“Chiedo soltanto di poter far visita al mio Paese, a mia madre. I bambini soffrono senza una famiglia, vogliono vedere il loro padre, vogliono sentirsi come tutti i loro amici e condurre una vita normale. Facciamo appello alle organizzazioni umanitarie di fare visita ad Hannibal e di prendere immediate e necessarie misure per il suo incondizionato rilascio”.

Aline e Hannibal sperano che questa intervista possa far luce sul loro caso. Un appello sincero ed accorato per i loro tre adorati figli, che sembrano dimenticati anche dal loro stesso paese, sebbene la Libia in passato abbia fatto pressioni sulle autorità libanesi per il rilascio di Hannibal in quanto cittadino libico. Dimenticato anche da coloro che con striscioni e bandiere verdi non perdono un’istante per adorare altri idoli della famiglia sui social. Nel silenzio delle istituzioni internazionali, che sembrano aver dimenticato perfino quegli ideali espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata il 10 dicembre 1948 che sancisce gli stessi diritti per tutti “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Tuttavia, sembrerebbe esistere un’eccezione, che più che un nome ha sicuramente un cognome, quello dei Gheddafi.