Esclusiva NG. Parla Gianfranco Fini, ‘Sto studiando l’Islam. È ora che l’occidente apra davvero gli occhi’

di Enrico Oliari e Daniele Priori –

L’ex ministro degli Esteri e presidente della Camera: “No a un intervento in Libia. Sarebbe disastroso”. E sull’Ue: “Da uomo di destra dico: servono vere politiche comuni. Gli Stati dovranno cedere ancora sovranità” –

Libia, Russia, Israele, Isis. Ma anche Islam: un “a tu per tu” con Gianfranco Fini, ministro degli Esteri dal 2004 al 2006, per fare una fotografia del mondo in subbuglio che ci circonda.
Lo incontriamo nel suo studio nel palazzo Theodoli Bianchelli, attiguo al Parlamento, dove con la consueta eleganza non si sottrae alle domande su temi, come la politica internazionale e la geopolitica, che continuano a appassionarlo.

– Presidente Fini, parliamo di Isis, del pericolo che rappresenta…
In questo periodo sto studiando e cercando di comprendere l’Islam, perché molti parlano, e lo dico con convincimento e senza presunzione, senza conoscere la materia. La vera novità rappresentata dall’Isis, cioè ciò che lo rende pericoloso, non sono le minacce o il continuo rischio di attentati. È che per la prima volta siamo davanti ad un obiettivo politico che consiste nella fondazione e nello sviluppo del Califfato, ovvero nell’unità politica dei popoli musulmani, la “Umma”“.

– Anche al-Qaeda aveva questo scopo.
No, al-Qaeda aveva un obiettivo ideologico, non politico. Nemmeno Bin Laden pensava al Califfato. L’Isis è un riferimento per coloro che si uniscono nell’odio contro l’occidente e nella volontà di imporre l’Islam agendo sotto un’unica regia. Almeno virtualmente, poiché in realtà l’intelligence ha potuto appurare che viene presentato più di quanto vi è di concreto. Tuttavia la religione non c’entra nulla, è una strumentalizzazione.
Le racconto un aneddoto, che mi è capitato quando da ministro degli Esteri incontrai Muhammad Sayyid Tantawi, uomo molto colto ed imam dell’Università coranica di al-Azhar, la principale del sunnismo: gli chiesi come potevo io spiegare ad un occidentale la realtà del’odio interreligioso nel nome del Profeta; lui si prese qualche istante, sorseggiò il suo tè e mi rigirò la domanda domandandomi come poteva lui spiegare ad un musulmano medio, non la strage degli ugonotti, ma le più recenti tensioni dell’Iralnda del Nord? È evidente che la religione non c’entra niente.
Il nostro approccio è la laicità istituzionale, che segue ad un determinato percorso storico: è un concetto accettato ma non riconosciuto dai musulmani che vivono in occidente, poiché il musulmano non scinde la fede dall’istituzione pubblica. La religione, nella loro ottica, viene quindi ad essere totalizzante, mentre noi abbiamo avuto, tanto per dire, la Rivoluzione francese.
Un altro elemento di distinzione è dovuto al fatto che nella nostra cultura la comunità nazionale è un intersecarsi di culture, di radici storiche e di lingue, mentre nel mondo arabo la Umma è una comunità a base religiosa che va da una parte all’altra del mondo arabo.
Nella concezione di mondo arabo-musulmano non esistono costituzioni laiche, come neppure la forma democratica.
E difatti nel momento in cui si è pensato di esportare sulla punta della sciabola la democrazia, ci si è resi immediatamente conto che il processo non poteva essere automatico, tant’è che ci si è ritrovati davanti crisi come quella della Libia o dell’Egitto dei Fratelli Musulmani
“.

– Tuttavia di musulmani ve ne sono anche in occidente, anche convertiti…
Se lei prende la situazione nordamericana, vede che l’80 per cento dei musulmani sono convertiti, per lo più afroamericani, in quanto essi sono parte di una minoranza che ha conosciuto la discriminazione e che quindi ha trovato nell’Islam il momento identitario. In Europa i convertiti sono invece il 20 per cento dei musulmani.
Di certo quando ci si riferisce agli arabi come ai musulmani si commette un errore, in quanto i musulmani non sono solo arabi
“.

– Vi sono paesi arabi come il Qatar con cui facciamo affari d’oro, tanto per dire l’opa sui grattacieli di Milano o l’acquisizione dell’ex ospedale San Raffaele di Olbia: Doha appoggia politicamente e finanziariamente in modo palese movimenti e formazioni radicali, come i Fratelli Musulmani a cui lei prima si riferiva, o ancora lo stesso Isis, cosa denunciata dall’ex segretario di stato Usa Hillary Clinton, o ancora dal ministro allo Sviluppo tedesco Gerd Mueller. Passi che pecunia non olet, ma non le sembra quantomeno una contraddizione?
Si tratta di stati di necessità inevitabili, ma io voglio sperare che vi sia quanto prima almeno la denuncia della situazione e che tutti possano vedere cosa succede dalle loro parti. Queste contraddizioni destano allarme ed è ora che l’occidente apra gli occhi, che gli occidentali siano messi in condizione di comprendere, di essere coscienti del fatto che in Arabia Saudita, paese alleato di ferro degli Usa, le donne non possono guidare ed i cristiani finiscono in prigione“.

– Parliamo di Libia: l’inviato dell’Onu Bernardino Leon sta facendo i salti mortali per far dialogare il governo “di Tobruk” con quello “di Tripoli”. Che ne pensa?
Purtroppo la sua posizione è quella di un vaso di coccio fra vasi di ferro. Ma quante volte gli inviati speciali dell’Onu si sono presentati con tanta buona volontà per poi ritrovarsi poco o nulla? Io spero che nessuno abbia la sciagurata idea di inviare truppe in Libia: chiunque arrivasse verrebbe percepito come un invasore, contro il quale si coalizzerebbero le tribù e le parti oggi in lotta“.

– Tuttavia i giochi si fanno anche altrove: nel 1987 il presidente tunisino Habib Bourghiba è stato destituito con un piccolo golpe definito “dei camici bianchi”, cioè per “incapacità psicofisica”, ed al suo posto i servizi italiani hanno messo Ben Alì, cosa confermata nel 1999 in audizione dal capo del Sismi Fulvio Martini: lo scopo era quello di strappare alla Francia la zona di influenza, ma proprio la Francia nel 2011, senza aspettare nessuno, ha bombardato Gheddafi, forse per restituire la cortesia.
Non è da escludere che ciò sia accaduto, perchè la Libia non è lo scatolone di sabbia di cui si pensava in tempi andati. Di certo la Francia ha fatto i conti senza l’oste, basti pensare al fatto che il paese in questione è in realtà un insieme di tribù spesso rivali“.

– Se guardiamo la mappa delle basi statunitensi, vediamo una linea orizzontale che va dal Marocco al Kirghizistan, con le sole esclusioni, non a caso, di Iran e di Siria. Se ci rifacciamo a quelle russe, ne troviamo, oltre che nel territorio della Federazione, in Crimea, a Sebastopoli, in Siria, a Tartus, ed in Egitto, ad Alessandria. È possibile ritenere che in questa geometria si riassumano le crisi di questa parte del mondo?
La Russia ha una dimensione continentale, arriva fino a Vladivostok. Privare la Russia del suo ruolo, com’è stato specialmente con il trauma del crollo dell’Unione Sovietica è un errore, anche perchè il popolo russo ha il suo orgoglio. Vi è un peso geopolitico che è nei fatti e che spetta alla Russia, ma questo non significa che il Cremlino possa passare liberamente dallo stato di influenza per ragioni storiche, linguistiche ed economiche, al muovere i carri armati ed annettere la Crimea“.

– Forse la Crimea è stata vista come un risarcimento per il fatto che l’Ucraina ha prima aderito all’Unione doganale euroasiatica e poi si è tirata indietro, aprendo di fatto una falla che permette il passaggio delle merci praticamente senza dazi fra il circuito dell’Unione Europea è quello dell’Unione doganale.
Indubbiamente. ma questo non significa che si possa reagire inviando truppe e spostando avanti l’asticella. Semmai anche noi non abbiamo perso l’occasione di metterci del nostro, anche includendo nell’Unione Europea i Paesi Baltici senza pensare che, ad esempio, in Estonia vi sono 300mila russi di fatto apolidi, un aspetto, questo, che interessa la dignità della persona“.

– Come giudica le sanzioni comminate alla Russia?
Non possiamo tollerare i carri armati in movimento: quale mezzo di pressione abbiamo se non le sanzioni? Poi, sappiamo tutti che funzionano fino a un certo punto“.

– I russi però dicono che è la Nato ad espandersi e che nella crisi ucraina vi sia il disegno di aumentare la presenza dell’Alleanza Atlantica ai loro confini.
Sarebbe un errore se la Nato facesse questa scelta. Tuttavia l’Ucraina, a differenza di paesi come la Bielorussia, è un paese europeo, che guarda naturalmente all’Europa“.

– Un Europa però – e qui cambio argomento – che zoppica…
L’Unione Europea, come progetto, è rimasta a metà del guado: stiamo andando avanti con guide intergovernative, vedi le riunioni dei capi di stato o quelle dei ministri. Ed a metà del guado rischiamo di annegare, perché siamo in pochi a credere nella necessità di una politica comune che non sia solo quella economica. Lo dico da uomo di destra: la difesa dell’interesse nazionale oggi non si fa col protagonismo nazionale, ma mettendo in comune progetti e politiche, cedendo quote di sovranità“.

– Israele: Benjamin Netanyahu ha vinto per la quarta volta le elezioni.
Un mio amico, un ebreo italiano che vive in Israele, mi ha detto testualmente che il problema della casa e il caro vita sono questioni vitali per chi è vivo. Ma si sarà vivi un domani? In questa espressione vi è un popolo che vive nella paura, ed oggi più che in passato vi sono paura e insicurezza: per i jihadisti l’ebreo rappresenta il nemico per antonomasia.
Ricordiamoci inoltre che Israele è l’unica democrazia dell’area, che deve fare incontri con il problema della Striscia di Gaza. Se le ambiguità di Hamas e di Abu Mazen non le risolvono i palestinesi, perchè dovrebbero farlo gli israeliani?
“.

– Il 2 marzo Netanyahu si è presentato al Congresso Usa per intervenire contro le trattative del “5+1″sul programma nucleare iraniano, in piena campagna elettorale, una mossa che non è piaciuta a Barak Obama come neppure a John Kerry, che si sono rifiutati di riceverlo.
Vi sono prima di tutto ragioni interne, basti pensare che negli ultimi tempi l’ebraismo americano si è avvicinato ai Repubblicani. Ma comprendo le paure: contro chi userebbe il nucleare l’Iran, se non contro Israele?“.

– In Iran però oggi governa Rohani, non Ahmadinejad. Non le pare?
Sì, la situazione è molto diversa rispetto al passato. Ma non dimentichi che l’ultima parola la ha sempre chi sta sopra, cioè l’ayatollah Ali Khamenei”.