Estonia. Rottura con Mosca: la religione come nuovo fronte della sicurezza

di Giuseppe Galiano –

La piccola Estonia, divenuta simbolo della resistenza baltica all’espansionismo russo, ha compiuto un passo senza precedenti: il Parlamento ha approvato una legge che taglia ogni legame tra le organizzazioni religiose presenti sul territorio nazionale e i centri di potere stranieri ritenuti una minaccia alla sicurezza dello Stato. Nel mirino: il Patriarcato di Mosca, storicamente legato al Cremlino e oggi accusato apertamente di fiancheggiare l’aggressione all’Ucraina.
La legge, passata il 9 aprile con 60 voti favorevoli e 13 contrari, rappresenta un colpo durissimo per la Chiesa Ortodossa Estone del Patriarcato di Mosca, che avrà due mesi di tempo per adeguarsi, recidendo ogni riferimento giuridico e dottrinale alla leadership del patriarca Kirill. Quest’ultimo, fedele alleato di Vladimir Putin, ha legittimato pubblicamente la guerra russa in Ucraina e più di recente ha persino sostenuto la reintroduzione della pena di morte, alimentando la frattura tra Mosca e il resto del mondo cristiano ortodosso.
La decisione di Tallinn non è solo simbolica. S’inserisce in una strategia di lungo termine per smantellare ogni forma di influenza russa residua, non solo sul piano politico, ma anche spirituale e identitario. Già nel 2024 l’Estonia aveva interrotto i rapporti con la Chiesa ortodossa russa, sostenendo l’autocefalia unilaterale della Chiesa locale e respingendo ogni tentativo di compromesso. Il nuovo statuto, adottato con la guida dell’arcivescovo Daniel, rivendica un’identità religiosa autonoma, pienamente integrata nei valori costituzionali dello Stato estone.
Ma Tallinn non si ferma qui. In un contesto di radicale revisione della propria sovranità culturale, ha appena varato anche un emendamento costituzionale che revoca il diritto di voto ai cittadini russi e bielorussi residenti e agli apolidi, molti dei quali titolari dei cosiddetti “passaporti grigi”. Una misura che, pur presentata come difesa della sicurezza interna, rischia di acuire le tensioni con una minoranza russofona che rappresenta oltre il 20% della popolazione.
Sul piano internazionale, la mossa estone segna un precedente. La guerra in Ucraina ha portato alla militarizzazione del discorso religioso, trasformando la Chiesa ortodossa russa in uno strumento di potere geopolitico. Secondo Kyiv, la stessa Chiesa ha già assorbito 1.600 parrocchie ucraine nei territori occupati, imponendo una russificazione spirituale che va di pari passo con l’occupazione militare.
In questo scenario Tallinn agisce da avamposto ideologico della nuova Europa: quella che non distingue più tra minaccia militare, influenza culturale e manipolazione religiosa. Il messaggio è chiaro: non c’è spazio, nella democrazia estone, per un clero che benedice le armi e legittima il potere imperiale.