di Giuseppe Gagliano –
Il ministro degli Esteri somalo Ahmed Moalim Fiqi ha annunciato la risoluzione della disputa diplomatica tra Etiopia e Somalia circa la questione dell’accesso al mare, per quanto dietro l’apparente intesa raggiunta si continuino a celare dinamiche politiche complesse e fragilità strutturali che potrebbero compromettere la stabilità della regione.
Le tensioni tra Addis Abeba e Mogadiscio erano esplose nel gennaio 2024, quando l’Etiopia aveva stretto un accordo con il Somaliland, la regione separatista che la Somalia considera parte integrante del proprio territorio. La concessione etiope di un accesso al mare attraverso il Somaliland, accompagnata da indiscrezioni sul riconoscimento dell’indipendenza della regione, aveva innescato una crisi diplomatica che rischiava di sfociare in un conflitto aperto.
La mediazione turca, guidata da Recep Tayyip Erdogan, ha permesso di disinnescare la crisi, portando le due parti a un compromesso che garantisce all’Etiopia un accesso marittimo “sotto sovranità somala”. Questa soluzione, sebbene pragmaticamente efficace, lascia aperte molte questioni. La Somalia insiste nel non aver fatto concessioni sui propri principi, mentre l’Etiopia evita commenti sulle rivendicazioni somale, mantenendo un’ambiguità che potrebbe riemergere come fonte di conflitto.
La fragilità dell’intesa rispecchia la complessa situazione del Corno d’Africa. La Somalia, pur avendo formalmente risolto la disputa con l’Etiopia, resta un Paese devastato da quasi due decenni di guerra contro al-Shabaab, il gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda. L’impegno di Addis Abeba nella lotta contro al-Shabaab, con il dispiegamento di circa 10mila soldati sul suolo somalo, è fondamentale per mantenere una parvenza di stabilità, ma rappresenta anche un elemento di tensione tra i due governi.
La nuova missione di peacekeeping dell’Unione Africana (AUSSOM), che sostituirà l’ATMIS, mira a rafforzare il supporto internazionale alla Somalia. Tuttavia la mancata partecipazione del Burundi e il ritiro graduale delle truppe etiopi potrebbero lasciare un vuoto che al-Shabaab potrebbe sfruttare. Inoltre la crescente influenza di attori extra-regionali come l’Egitto, che sostiene Mogadiscio in funzione anti-etiope, aggiunge un ulteriore livello di complessità geopolitica.
La pace raggiunta tra Etiopia e Somalia non è solo il risultato di mediazioni diplomatiche, ma anche di necessità strategiche. Entrambi i Paesi riconoscono che un conflitto aperto sarebbe disastroso per la regione, già segnata da instabilità politica e crisi economiche. Tuttavia, l’accordo resta vulnerabile a fattori esterni, come il riemergere delle rivalità sul Somaliland o le tensioni con l’Egitto per il controllo del Nilo.
In definitiva la “pace” tra Etiopia e Somalia è più una tregua che una vera riconciliazione. Per consolidare questa fragile intesa, sarà necessario non solo risolvere i problemi immediati, ma anche affrontare le radici profonde delle tensioni regionali. La presenza turca come mediatore potrebbe rappresentare un’opportunità per creare una piattaforma di dialogo più solida, ma spetterà ai governi di Addis Abeba e Mogadiscio dimostrare la volontà politica di superare i rispettivi interessi nazionali a favore di una stabilità duratura nel Corno d’Africa.