Ferrari (Agi), ‘Attanasio, senza protezione sulla Strada della morte’

Intervista: ‘Nessuna prova di un legame tra il suo omicidio e l’impegno di pace che portava avanti’.

di Gianluca Vivacqua

Regeni-Zaki-Attanasio: è il nuovo triangolo dei misteri italiani con uno sfondo comune, l’Africa. Tuttavia se si può individuare qualche punto di contatto tra le vicende egiziane di Regeni e di Zaki (entrambi universitari, entrambi caduti nelle grinfie dei servizi segreti di al-Sisi), il tragico tramonto congolese calato, alle dieci del mattino, sull’ambasciatore-benefattore lombardo nel Far West del conflitto Hutu-Tutsi ha tratti di assoluta specificità. Eppure, nonostante le numerose analogie, c’è una sostanziale differenza di fondo tra il caso Regeni e il caso Zaki: quest’ultimo è ancora vivo e può lottare per la sua causa, sentire la solidarietà dei suoi tanti sostenitori a distanza e continuare a protestarsi vittima di un regime dispotico. Di Regeni è rimasta solo la memoria, a partire dalla quale prende forma un dossier sempre più intricato. Ecco un punto in comune tra Regeni e Attanasio. Ma Angelo Ferrari, giornalista africanista in forza all’Agi, mette l’accento prima di tutto su ciò che distingue la storia del dottorando da quella del diplomatico.

– Ferrari, se qualche settimana dopo di lui non fosse stato ucciso, sempre in Congo, anche Hassan Hussein, il magistrato che indagava sulla sua morte, si poteva essere d’accordo sul fatto che l’omicidio Attanasio dovesse essere definito un nuovo caso Calipari, cioè, per così dire, una tragedia accidentale?
”In realtà non c’è la certezza di un collegamento tra l’omicidio di Attanasio e quello del magistrato militare che indagava su di lui, avvenuto mentre questi stava tornando da un summit sulla sicurezza nella regione del Nord Kivu. Anzi, non si è neppure certi che il magistrato stesse effettivamente facendo un’indagine sul caso”.

– Vale la pena di fare un accostamento con Regeni? Per quanto riguarda quest’ultimo è ormai quasi certo che fu ucciso per le sue ricerche scomode in Egitto. In che modo invece l’omicidio di Attanasio si inserisce nel conflitto tra Hutu e Tutsi, escludendo il suo impegno di pace?
”È un paragone avventuroso. Se esaminiamo le circostanze che hanno portato alla scomparsa dei due, vediamo che Regeni in sostanza ha pagato il fatto di essere stato percepito, non sappiamo con quanta fondatezza, come una minaccia dall’Egitto; per Attanasio si deve dire piuttosto che si è si è imbattuto nella situazione peggiore che gli potesse capitare, nelle condizioni peggiori possibili. In particolare per quello che riguarda l’omicidio dell’ambasciatore ci sono due ipotesi in campo: che sia frutto o di una rapina andata male o di un tentativo di sequestro senza fortuna. Ma la vera domanda da porsi è questa: perché Attanasio procedeva privo di scorta, se si esclude il carabiniere che è deceduto con lui, su una strada insicura, lungo la quale frequenti sono i sequestri? E non si tratta di predoni improvvisati, ma di militari di professione costretti a riconvertirsi in “grassatori” per questioni di sopravvivenza. ”Briganti” d’elite, per così dire, che sono esperti dei percorsi dei convogli internazionali. Ovviamente è fuori discussione che il Nord Kivu continui a essere teatro di fortissime tensioni tra Hutu e Tutsi, che s’intrecciano anche con le guerre per il possesso del coltan, ma escluderei che ci sia un nesso immediato tra l’impegno di pace dell’ambasciatore e la sua tragica fine. Anche in questo caso, non disponiamo di sufficienti dati certi”.