Filippine. La strategia imperiale del Dragone cinese

di Giovanni Caruselli

Le onde del Mar Cinese Meridionale continuano a ribollire e a infrangersi contro gli scafi delle navi da guerra cinesi, filippine, giapponesi e americane che battono pericolosamente tutta l’area. Pechino chiede al governo di Manila di rimuovere il sistema missilistico Typhon fornito dagli Usa, ma le autorità filippine contestano la legittimità di questa richiesta. Durante questa settimana si sono verificati veri scontri navali per il conteso arcipelago delle isole Spratly. I cinesi dichiarano che consapevolmente quattro navi della guardia costiera filippina, seguite da altre sei non identificate, hanno violato quelle che Pechino considera acque territoriali proprie intorno alle Spratly. Ci sono state collisioni piuttosto pericolose e potenti getti di idranti da parte delle navi della polizia cinese. Una nave filippina, non è dato da sapere se deliberatamente, ha speronato uno scafo della guardia costiera cinese. Inutile dire che le due parti si incolpano a vicenda. Pechino accusa gli Usa di gettare benzina sul fuoco inviando una task force per dirigere le “azioni aggressive dei filippini”. Inoltre denuncia il preteso diritto alla libertà di navigazione, su cui gli Usa insistono, come un pretesto per violare sistematicamente la sovranità marittima della Cina e le sue Zone Economiche Esclusive (ZEE).
Il conflitto per la sovranità sulle Spratly dura dal 2012, quando i cinesi si scontrarono duramente con i filippini e incominciarono a pattugliare l’area in maniera sempre più aggressiva. Tuttavia è evidente che in questo momento la situazione si presenta come una premessa per una guerra per procura. Manila è sostenuta da Washington sulla base di un trattato sottoscritto dai due Paesi nel 1951, dal Giappone sulla base di un recente trattato di cooperazione e anche dalla Germania che ha di recente offerto il suo aiuto. Nella contesa sulla sovranità sulle Spratly entra anche il Vietnam che avrebbe governato le isole fin dal XVII secolo e la Malesia che rivendica un certo numero di esse. Nella stessa area geopolitica, invece la Cina ha messo a segno un importante obiettivo concludendo con l’Indonesia un accordo di sviluppo congiunto riguardo alle aree contese da gestire tramite un Comitato intergovernativo.
In sintesi l’importante via d’acqua e gli arcipelaghi che essa ospita vede schierati due gruppi di Stati. Da una parte Filippine, Vietnam, Brunei, Malesia e Taiwan, appoggiati da Usa, Giappone e Australia non intendono lasciare spazio a trattative con Pechino, accusando il Dragone di voler porre sotto il suo controllo l’Estremo Oriente. Dall’altra con la Cina si schierano la Corea del Nord, importante per la sua capacità nucleare, e altri piccoli Paesi dell’area che non possono offrire molto al gigante asiatico in caso di conflitto.
Secondo fonti Usa la Cina sta investendo cifre impressionanti per il potenziamento della sua marina. Le tre portaerei già in servizio dovrebbero essere affiancate da una quarta portaerei e da altre navi da guerra in costruzione, per raggiungere la pareggiare il potenziale bellico degli Usa entro il 2027. Il controllo dei mari viene considerato a Pechino come l’ultimo obiettivo da raggiungere per fare della Cina la prima potenza mondiale in tutti gli ambiti. La penetrazione cinese in molti Paesi africani e anche sudamericani richiede il controllo di molte importanti rotte sia dal punto di vista militare che commerciale. Ci troviamo quindi di fronte a una ambiziosissima strategia imperiale di cui le contestate aree del Mar Cinese Meridionale sono un tassello essenziale. C’è da chiedersi come risponderanno gli Usa a questa gara per la supremazia planetaria. Purtroppo quasi tutti gli osservatori sono tutt’altro che ottimisti a riguardo.