di Giuseppe Gagliano –
La decisione della Finlandia di ritirarsi dalla Convenzione di Ottawa segna un punto di svolta simbolico e sostanziale nella sicurezza europea. Non si tratta soltanto della reintroduzione delle mine antiuomo nel proprio arsenale militare, ma dell’adesione consapevole a una nuova logica strategica: quella del ritorno della deterrenza classica lungo il confine orientale dell’Europa. Dopo anni di posture difensive all’interno di un ordine multilaterale basato su norme, trattati e vincoli condivisi, Helsinki sceglie di rompere con un tabù giuridico consolidato e torna ad assumere la postura di uno Stato di prima linea in un contesto continentale sempre più militarizzato.
Il presidente Alexander Stubb ha presentato la scelta come una mossa difensiva, necessaria, ponderata, basata su un’analisi condotta congiuntamente dai Ministeri e dalle forze armate. In apparenza, dunque, un atto sovrano e responsabile. Ma nella sostanza, questo passo equivale a un vero e proprio cambio di paradigma. Tornano le mine, armi a basso costo e ad alta efficacia difensiva, ma anche cariche di implicazioni etiche e giuridiche che negli ultimi vent’anni avevano portato a una mobilitazione internazionale per la loro messa al bando. Non a caso, la Finlandia era tra i Paesi che, pur con esitazioni iniziali, avevano aderito alla Convenzione solo nel 2012, dopo un lungo dibattito interno. Ora ne esce in nome della sicurezza e della “realpolitik”, facendo appello alla sua vulnerabilità geografica: 1.350 chilometri di frontiera diretta con la Federazione Russa.
Il dato più rilevante, tuttavia, è che Helsinki non è sola. Anche Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia hanno annunciato la stessa intenzione. Si profila quindi un blocco regionale che, nel nome della deterrenza, è pronto a sacrificare vincoli giuridici internazionali pur di rafforzare le difese fisiche e psicologiche del fianco est della NATO. E non è difficile intravedere, dietro questo movimento, il disegno più ampio dell’Alleanza atlantica, che negli ultimi due anni ha accelerato il proprio riarmo lungo il fronte orientale e ha ridisegnato le priorità strategiche dei membri più esposti. La logica del multilateralismo normativo – fondata sulla messa al bando delle armi indiscriminate – lascia così il posto alla logica dell’autodifesa preventiva.
Sul piano geopolitico, la mossa finlandese è anche un segnale diretto a Mosca. Nonostante le dichiarazioni del presidente Stubb, che ha auspicato un giorno la ripresa delle relazioni politiche con la Russia, il messaggio è chiaro: la Finlandia si considera in una situazione di confronto potenziale e prepara il terreno, letteralmente, alla guerra. L’ingresso nella NATO, avvenuto nell’aprile 2023, è stato solo il primo passo. Ora, l’adeguamento degli strumenti militari e la crescita della spesa fino al 3% del PIL entro il 2029 mostrano la volontà di trasformare il Paese in un pilastro armato dell’Alleanza in Europa del Nord.
La valutazione giuridica di questo passo non può essere ignorata. La Convenzione di Ottawa non è solo un trattato tecnico, ma un pilastro del diritto umanitario internazionale. Prevede l’eliminazione delle mine antiuomo non solo per la loro natura indiscriminata, ma per il danno permanente che arrecano alle popolazioni civili, spesso ben oltre la fine di un conflitto. Il ritiro dalla Convenzione apre quindi un precedente rischioso, tanto più se legittimato da Paesi che si considerano democrazie avanzate. L’effetto domino, a questo punto, potrebbe mettere in crisi l’intera impalcatura di trattati internazionali sul disarmo, esponendoli a una revisione di tipo opportunistico, basata non più su principi ma su necessità tattiche.
Mosca ha reagito con freddezza, ma ha registrato il segnale. Il portavoce del Cremlino, Peskov, ha ricordato che la Russia osserva da vicino gli sforzi di Finlandia e Svezia per ospitare infrastrutture NATO, lasciando intendere che ogni mossa di Helsinki avrà una risposta speculare da parte russa. Il rischio di una nuova escalation silenziosa ma sistematica è concreto: nuove armi ai confini, nuove misure di ritorsione, nuovi schemi di schieramento. Tutto in un clima di confronto che, giorno dopo giorno, assomiglia sempre meno a una guerra fredda e sempre più a una preparazione per una guerra calda.
La rinuncia finlandese alla Convenzione di Ottawa, insomma, è molto più che un gesto tecnico o un aggiornamento dottrinale. È un atto politico, giuridico e simbolico che definisce un’epoca: quella in cui il diritto internazionale si ritira e avanza la geopolitica armata.