di Francesco Giappichini –
L’influenza francese in Africa ha sinora poggiato su tre pilastri: le relazioni fraterne tra le élite al potere, il franco della Comunità finanziaria africana (Cfa), e la presenza militare. E tuttavia nelle ultime settimane il processo di disimpegno delle Forces armées françaises è in forte accelerazione. Specie dopo le prese di posizione dei governi di Ciad e Senegal, tradizionali alleati di Parigi. Tanto che così sintetizza un mordace reportage del giornale svizzero Le Temps: “Ecco l’esercito che ha l’ordine di chiudere le sue basi nei Paesi vicini: il Senegal a ovest, il Ciad a est. Questa volta, non sono le giunte con un presunto orientamento filo-russo a rompere con l’esercito francese, ma i Paesi considerati alleati”.
Ciò potrebbe preludere a una ritirata precipitosa, a una vera e propria fuga? Di certo la partenza entro il 2025 dalla Costa d’Avorio, ormai confermata, potrebbe suffragare queste previsioni. Si tratta di un fenomeno che va oltre le analisi sulla crisi della “Françafrique” e sull’odio antifrancese, che puntano a studiare più che altro gli espansionismi russi, turchi o cinesi nella regione. Emerge piuttosto un’ulteriore fase del processo di decolonizzazione, che oggi si esprime sia col mai sopito sogno panafricano, sia, più prosaicamente, con quel sovranismo in salsa africana, ben interpretato dall’attuale classe dirigente senegalese. E in questi giorni alcuni osservatori hanno messo a confronto le recenti dichiarazioni del presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye, col testo del famoso brano “Armée française”; che fu pubblicato nel lontano 1998 dal cantante ivoriano Seydou Koné, in arte Alpha Blondy.
Il 28 novembre il capo dello stato del Senegal si è così rivolto a un cronista di una testata francese, che gli chiedeva un parere sul contingente straniero di 350 uomini presente nel Paese: “Come francese, immagini di vederci nel tuo Paese, con carri armati e soldati senegalesi? Invertendo un po’ i ruoli, ti sarà molto difficile immaginare che un altro esercito, di Cina, Russia, Senegal o di qualsiasi altro Paese, possa avere una base militare in Francia”. Ebbene 26 anni prima il noto artista reggae cantava, nel citato brano del suo undicesimo album “Yitzhak Rabin”: “Armée française allez-vous en […]. Nous sommes des États indépendants et souverains. Et vot’ présence militaire entame notre souveraineté”.
Per poi elencare vari Paesi che negli ultimi tempi hanno dato il benservito (o quasi) alle Forze armate francesi: “En Côte d’Ivoire, nous ne voulons plus de vous. Au Sénégal nous ne voulons plus de vous. Au Gabon nous ne voulons plus de vous. En Centrafrique nous ne voulons plus de vous. À Djibouti nous ne voulons plus de vous. À Djamena nous ne voulons plus de vous”. Andiamo però con ordine, per analizzare quanto resterà della presenza militare francese in Africa, e qual è la posizione dei rispettivi governi rispetto alle basi straniere. Tralasceremo quindi il ritiro dal Mali nel 2022, e la smobilitazione da Burkina Faso e Niger l’anno successivo, dopo il perentorio ordine delle giunte militari golpiste al potere.
In questa fase la presenza francese in Africa è limitata a cinque Paesi: Gibuti, Ciad, Costa d’Avorio, Senegal e Gabon. Epperò l’unica operazione che pare indiscussa, oltre ad avere le dimensioni maggiori, è quella che coordina il contingente di Gibuti, forte di 1500 unità. La missione opera sulla base del Libro bianco sulla difesa e la sicurezza nazionale del 2013, che definisce l’area come una delle priorità strategiche della Francia. Sono impegnate forze di fanteria, navali e anche aeronautiche, che dispongono di quattro Mirage 2000. Per dimensioni, la seconda missione dell’Armée française in Africa è quella in Ciad, composta da circa mille effettivi. Tuttavia il 28 novembre l’esecutivo di N’Djamena ha annunciato di «porre fine all’accordo di cooperazione in materia di difesa» con la Francia.
Una decisione giunta come un fulmine a ciel sereno, dopo la visita del ministre de l’Europe et des affaires étrangères francese, Jean-Noël Barrot, nel Paese del Sahel. Il Paese, giova ricordarlo, è l’unico del Sahel a ospitare truppe occidentali, e sino a pochi mesi fa, oltre ai francesi, era presente un piccolo contingente statunitense, di cui è stato chiesto (e ottenuto) il ritiro. Tuttavia in settembre si è avuta notizia di una parziale marcia indietro, da parte del governo Déby Itno: un reparto americano dovrebbe rientrare nel Paese, a supporto delle missioni antiterrorismo. Tornando alle Forces armées françaises, va segnalato che la missione in loco ha sinora avuto il duplice obiettivo di proteggere gli interessi francesi (e i cittadini transalpini ivi residenti), e di fornire supporto logistico e di intelligence all’Armée nationale tchadienne.
Non è chiaro il futuro della presenza francese nella Nazione, ma Parigi punta a conservare un’unità militare di 300 uomini. Il terzo contingente per dimensioni è quello dislocato nella Costa d’Avorio, considerata sinora un partner storico di Parigi. Le “Forces françaises en Côte d’Ivoire”, chiamate anche “Éléments français en Côte d’Ivoire”, operano nell’attuale configurazione dal 2015, in base all’Accord de partenariat de défense del 2012. In sostanza, si tratta di circa 600 effettivi, che sono dislocati in tre siti, ma soprattutto nella nota Base di Port-Bouët; che si trova nella periferia sud di Abidjan, a un chilometro dall’aeroporto di Abidjan – Félix Houphouët Boigny.
Più in generale la missione deve rispondere alle linee guida del citato Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale. Tuttavia, secondo autorevoli fonti di stampa, le Forces armées lasceranno definitivamente il Paese entro il ’25, e consegneranno entro agosto la Base di Port-Bouët alle Forces armées de Côte d’Ivoire (Faci); e nello specifico al “1er Bataillon des Commandos et des parachutistes”, che vi sarà ospitato. I due Paesi hanno comunque programmato un partenariato militare operativo, e Parigi confida che, grazie a questa cooperazione, un contingente francese di 100 soldati possa continuare a operare in loco. E poi vi è il capitolo forse più dolente, quello senegalese, cui si è accennato. I 350 Éléments français au Sénégal (Efs), impegnati soprattutto in compiti di addestramento, potrebbero ridursi a un centinaio, dopo le parole del capo dello stato: «Il Senegal è un Paese indipendente, è un Paese sovrano e la sovranità non si concilia con la presenza di basi militari in un Paese sovrano», tuttavia non è stato ancora stabilito nessun termine per il ritiro. Un analogo processo è in atto in Gabon: trapela che i 350 uomini in loco, inquadrati negli Éléments français au Gabon (Efg), potrebbero ridursi a un centinaio. Queste truppe sono impegnate soprattutto in attività di addestramento, ma anche “pour affirmer la présence française”, come riportano i media. Occupano la Base Camp De Gaulle alla periferia di Libreville, la cui posizione è giudicata molto strategica, nonché un’area dell’Aeroporto di Libreville-Léon M’Ba.