From Criminals to Terrorists and back? Da Bratislava a Milano si cerca di comprendere il fenomeno del terrorismo

di Vanessa Tomassini –

Si è tenuto ieri pomeriggio presso la prestigiosa sede dell’Università Cattolica a Milano, il seminario “From Criminals to Terrorists and back?” magistralmente diretto dal professor Marco Lombardi, uno dei luminari di casa nostra in materia di counter-terrorism, docente alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso la stessa università e direttore dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME). Durante l’evento che ha visto la partecipazione di Marco De Nunzio capo della Squadra Mobile di Milano, Cristina Villa della Digos, Maria Grazia Santini di Forum Security, dei ricercatori di ITSTIME, Giovanni Giacalone e Nicolò Spagna e soprattutto di Stanislav Matějka, ricercatore del Globsec Policy Institute di Bratislava che ha avuto modo di spiegare il progetto internazionale che coinvolge gli esperti di 11 paesi europei con il più alto numero di arresti per reati di terrorismo secondo Europol.
Il team di esperti ha l’obiettivo di raccogliere, confrontare e analizzare i dati sui detenuti per terrorismo di Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito. “Le più famose atrocità terroristiche dell’ISIS in Europa, tra cui gli attacchi di Parigi, di Bruxelles, di Barcellona e Londra sono stati compiuti da individui che in passato erano stati coinvolti nella criminalità organizzata e nel commercio illegale. Quindi investigheremo su tutti gli elementi colpevoli o sospettati di legami col terrorismo in Europa per cercare di capire se esiste davvero una minaccia proveniente dal nesso crimine-terrore”, ha spiegato il ricercatore Matejka, aggiungendo che “Abbiamo analizzato la loro provenienza, i loro collegamenti, il sesso, l’età e i loro trascorsi ed abbiamo cercato di capire se organizzazioni criminali non terroristiche cooperino o gravitino intorno a gruppi terroristici e ai loro network e cercheremo di stabilire se e quanto questo nesso sia forte”.
Il professor Lombardi ha sottolineato che “è interessante questa ricerca perché è la prima volta che si cerca di mettere insieme queste informazioni. Non è detto che questa ipotesi venga confermata perché in realtà stiamo esplorando se esiste e che tipo di connessione c’è tra una biografia di tipo criminale e un percorso di terrorismo prima, dopo e durante”. “Quello che è interessante – ha spiegato Lombardi – è che per la prima volta iniziano ad essere raccolti una serie di dati che prima non avevamo in questi 11 paesi. Avremo 11 file che ci permetteranno di capire le relazioni che esistono con una matrice d’analisi che fa la biografia rispetto ad una serie di flag comuni che vanno dall’analisi della vita sanitaria, gli studi, la carriera nella criminalità e quant’altro”. In questo contesto si pone l’Italia con le sue enormi caratteristiche rispetto al resto del mondo e in particolare all’Europa per la sua specificità nella legge che permette di espellere un individuo per ragioni di sicurezza nazionale legate al terrorismo, per il semplice sospetto.
“Per quanto riguarda il nexus tra crimine e jihad – ha precisato il ricercatore di ITSTIME, Giovanni Giacalone – le informazioni sulle biografie dei casi campione sono ancora in fase di acquisizione. Stiamo lavorando molto sugli espulsi e ci focalizzeremo molto su questi. Per avere un profilo completo è necessario del tempo, per questo abbiamo pensato di dividere i casi tra pending, o in fase di acquisizione, e convinced, ossia finiti, in modo di poterli aggiornare continuamente ed avere un quadro completo su ogni singolo elemento”. Giacalone ha anche illustrato le difficoltà di questa ricerca in particolare riguardo alle variabili della radicalizzazione: “un primo step è quello mediatico. I media sono particolarmente interessati ad alcuni casi piuttosto che altri. Ad esempio, se in Italia parliamo del caso della famiglia Sergio abbiamo avuto informazioni a non finire; se mi trovo di fronte ad un cittadino tunisino espulso, sui giornali trovo a malapena il nome e l’età quindi diventa più complicato capire il percorso di radicalizzazione. A quel punto subentra una strategia più complessa – ha proseguito il ricercatore della Cattolica- che comprende andare sul luogo, rintracciare amici e parenti, ricostruire il contesto in cui viveva e i luoghi che frequentava. Abbiamo poi il problema della sanità e della salute mentale, se uno di questi elementi campione era sotto terapia o con problemi mentali qui incorriamo alle restrizioni della tutela della privacy”. I casi finora analizzati sono stati 14.
Giovanni Giacalone che fa parte del team di Marco Lombardi ha rivelato che “quelli che abbiamo approfondito maggiormente sono il gruppo di pakistani di Olbia e la famiglia Sergio che è interessante perché rappresenta l’unico esempio familiare italiano totalmente radicalizzato ed abbiamo un legame sia con una rete albanese sia un legame clan-familiare, ossia famiglie che si uniscono tra loro e tessono una rete comune, seppur con livelli di radicalizzazione differenti. Per quanto riguarda la rete qaedista pakistana anche qui è emerso un legame familiare tra i membri coinvolti oltre al discorso di traffico di clandestini, inoltre alcuni di questi elementi erano collegati agli attentati al mercato di Pashawar”.
Lombardi ha sottolineato proprio l’utilizzo della parola “rete” specificando l’importanza dello studio dei singoli nodi attraverso una dimensione biografica, questi nodi sono tali perché in connessione con altri. “La dimensione reticolare – ha ribadito il professor Lombardi – diventa centrale a 2 livelli: il primo per formalizzare la rete per definire una dimensione strutturale entro la quale si organizza il potere, o la catena di comando-controllo in termini operativi. Il secondo livello invece è la qualità delle informazioni che passa tra le relazioni e quindi il contenuto dell’informazione”.
Il giovane ricercatore Nicolò Spada di ITSTIME ha dimostrato concretamente i frutti di queste prime ricostruzioni che hanno permesso una mappatura reticolare lunga circa 20 anni che comprende 500 elementi legati al terrorismo di matrice islamica, sotto la voce “siamo tutti terroristi”.
Nella mappatura presentata da Spada sono inclusi gli attentatori e i loro collegamenti autori delle stragi di Parigi, Bruxelles, Charlie Ebdo, per finire con i soggetti legati ad al-Qaeda e gli attentati che sconvolsero gli Stati Uniti nel 2011.
Maria Grazia Santini, presidente dell’associazione Forum Security, ha sottolineato l’importanza del progetto ricerca che “al termine diverrà un importante strumento di prevenzione”. Ha poi aggiunto che “prendiamo atto delle risultanze europee, ma per chi lavora sul campo italiano è necessario analizzare l’intervento anarchico insurrezionalista tricolore”. “Innanzitutto – ha precisato la dott.ssa Santini che vanta anni di esperienza nella polizia di Stato- è necessario fare una distinzione, quale criminalità? – riferendosi al titolo della ricerca- quando parliamo di terrorismo, parliamo di Jihad, ma la criminalità in Italia non è la criminalità in stretto senso”. Nel caso particolare italiano, secondo la Santini, “il fatto che una persona indagata per terrorismo vada a prendersi dei documenti falsi da un’organizzazione criminale, non dimostra certamente che esista un collegamento strutturale tra la criminalità e il jihadista, perché vado a Napoli e li compro in qualsiasi bancarella. Qui stiamo parlando di una criminalità tutta italiana disciplinata dalla nostra legislazione, che si identifica nelle organizzazioni di carattere mafioso. Una criminalità tutta italiana che prende il nome di mafia siciliana, ndrangheta calabrese, sacra corona unita pugliese, che si chiama camorra campana. In Italia esiste un collegamento tra questa criminalità e il terrorismo? Secondo i magistrati che ogni giorno hanno a che fare con questa criminalità, no, seppur nel corso degli anni qualche contatto sporadico c’è stato”.
Cristina Villa, capo di quel settore della Digos che si occupa di anti-terrorismo, ha detto: “riguardo al nesso tra criminalità organizzate e terrorismo, posto che ad oggi nessuna indagine ha dato dimostrazione dell’esistenza di questo legame va detto che fino ad ora tutte le indagini hanno riguardato singoli individui, e non ci sono state indagini riguardanti grossi network. Ho analizzato tutti i casi trattati dal mio ufficio e in generale in Lombardia, ma ho scelto soprattutto di riportare l’attenzione sui soggetti destinatari di ordinanza cautelare o giudicati, escludendo i casi di radicalizzazione all’interno delle carceri perché ritenevo significasse partire da un pregiudizio visto che è ovvio che chi è in carcere abbia un trascorso criminale”. Villa ha specificato di aver guardato dal 2014 a qualche mese fa con l’operazione che ha portato all’arresto di padre e figlio a Roma: “la biografia sulla quale mi sono soffermata riguarda 27 persone di cui posso parlare liberamente perché se ne sono occupati anche i giornali e per cui è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare. Io per prima sono rimasta sorpresa in quanto la maggior parte delle persone che abbiamo arrestato non avevano una storia criminale personale significativa, nessun componente della famiglia di Sergio Maria Giulia degli 11 arrestati, né dal lato italiano né da quello albanese, aveva nessun precedente penale”. “La seconda operazione che abbiamo fatto qui a Milano – ha aggiunto la d.ssa Villa- ha riguardato un pakistano e un magrebino, arrestati perché diffondevano attraverso Facebook dei messaggi inneggianti allo Stato Islamico, anche in questo caso nessuno dei due aveva un passato criminale.
La rappresentante della Digos ha poi passato in rassegna tutti i casi di terrorismo avvenuti tra Milano e il nord-Italia, dimostrando che nessuno degli elementi coinvolti ha in realtà un “significativo passato criminale” spiegando che nessuno degli indagati “trovava sostentamento da attività illecite o criminali”. Malgrado alcuni come nel caso di Monsef El Mkhayar di Vimodrone, presunto foreign fighter marocchino di 21 anni partito per la Siria nel 2015, avesse piccoli precedenti o come Benchorfi Nadir arrestato nel dicembre 2016 a San Siro per il sostegno e i legami con l’Isis in Siria.
Marco De Nunzio, dirigente della sezione criminalità della Polizia di Milano, ha confermato che “non esistono rapporti tra criminalità organizzata e terrorismo, ma dobbiamo scindere i piani, distinguere cioè il singolo terrorista dai gruppi terroristici”. Infine, De Nunzio ha sottolineato che “è necessario contrastare nella stessa maniera sia la criminalità organizzata che il terrorismo. L’Italia lo ha capito da pochi anni, nonostante un passato di mafia, con un procuratore nazionale che non è solo antimafia, ma anche antiterrorismo”. De Nunzio ha concluso affermando: “La sfida vincente sarà porre sullo stesso piano sistemi di indagine non convenzionali per strutture che di fatto non sono convenzionali, come criminalità organizzata e terrorismo”.