di Daniela Binello –
Con un appello pubblicato domenica scorsa 25 maggio su di una intera pagina a pagamento del quotidiano La Repubblica, 175 giornalisti italiani hanno chiesto a giornali, tv e radio italiane di rompere la “congiura del silenzio” sullo sterminio del popolo palestinese, sulla mattanza dei giornalisti palestinesi a Gaza e sulle censure alla libertà d’informazione che avvengono in tante (troppe) realtà editoriali del nostro piccolo mondo giornalistico italiano. I 175 giornalisti che hanno firmato l’appello (fra cui ci siamo anche noi) rappresentano solo un umile passo avanti per rompere il muro del silenzio che avvolge determinati temi caldi, come quello di quanto sta succedendo a Gaza da circa 18 mesi e, a ritmo crescente, anche in Cisgiordania.
Sappiamo bene che i giornalisti che coprono le notizie scomode vengono bollati come antisemiti dall’occhiuto sistema di controllo dei media mentre, al contrario, questi giornalisti stanno semplicemente facendo il loro mestiere che è quello di informare dopo avere verificato la veridicità delle notizie. L’antisemitismo non c’entra proprio niente e va fortemente contrastato: nessun giornalista che svolga bene il proprio mestiere intende mettersi al servizio dell’antisemitismo.
Pubblicare le veline dei regimi, riportare la voce dei potenti di turno tout court, senza alcun senso critico, non è l’atteggiamento che si addice a un vero giornalista, ma i lettori, i telespettatori e gli ascoltatori delle radio hanno certamente avuto modo di constatare come oggi l’informazione sia condizionata da pressioni assai dannose e del tutto contrarie al dovere di raccontare i fatti per come sono andati veramente. Di tutto questo ne fa le spese la credibilità del giornalismo italiano e forse qualcuno, da tempo, se ne è accorto.
L’appello dei giornalisti firmatari, perciò, ha aperto una breccia nel mondo dell’informazione italiana e le reazioni, infatti, da ieri si stanno rincorrendo, con i partiti dell’opposizione e alcune sigle sindacali che adesso vogliono anche loro cavalcare il momento e passare attraverso la breccia, indicendo manifestazioni “oceaniche” a giugno. Si vedrà. La reazione, da questo punto di vista, era fin troppo scontata. L’occasione è ghiotta e il metodo dell’armiamoci e partite lo conosciamo fin troppo bene. Quello che conta, però, è che i giornalisti firmatari dell’appello del 25 maggio abbiano alzato la testa, e a loro si aggiungeranno tanti altri colleghi, anche per salvare il giornalismo italiano, che è davvero un morto che cammina, con solo pochissimi e lodevoli esempi che costituiscono ciò che dovrebbe fare concretamente il giornalismo.
Pubblichiamo il testo dell’appello, su iniziativa promossa da Massimo Amato (docente alla Bocconi di Milano) e da Gianni Giovannetti (giornalista romano), così come è apparso ieri (domenica) sulla pagina a pagamento di La Repubblica, una testata giornalistica che non sempre si è comportata all’insegna dell’obiettività dei fatti, ma tant’è, era in buona compagnia insieme a tante altre realtà mediatiche. Stiamo assistendo, del resto, a un graduale riposizionamento delle linee editoriali. Dopo circa 18 mesi da quell’orribile attacco di Hamas del 7 ottobre del 2023, alcune testate, che prima cincischiavano, cominciano invece a denunciare con inedita fermezza i crimini israeliani a Gaza e in Cisgiordania. Il monopolio della narrazione sta cambiando, non essendo evidentemente più sostenibile, e quindi si adeguano le linee editoriali. Se troverà più spazio sui media italiani un giornalismo più onesto lo vedremo prossimamente. Noi di Notizie Geopolitiche nel nostro piccolo ci siamo sempre sentiti liberi d’informare su tutti i temi della politica estera, per raccontare quotidianamente senza censure cosa succede nel mondo e aprire spazi di riflessione obiettiva sui fatti. Chi ci legge lo sa.

















