di Giuseppe Gagliano –
Nella giornata di ieri la Striscia di Gaza è stata scossa da un’ennesima ondata di violenza, quando attacchi aerei israeliani hanno preso di mira due ospedali nel sud dell’enclave, uccidendo almeno 18 persone e ferendone decine. Questi raid, avvenuti dopo una breve pausa nei combattimenti, segnano un’escalation drammatica in un conflitto che, dall’ottobre 2023, ha ridotto Gaza a un cumulo di macerie e disperazione. Le immagini di crateri fumanti, autobus sventrati e pazienti in fuga nel panico raccontano una realtà in cui persino i luoghi di cura diventano bersagli. Questa offensiva, condotta con gelida determinazione, solleva interrogativi urgenti sulla moralità e la legalità delle azioni di Israele, in un contesto in cui il diritto umanitario internazionale appare svuotato di significato.
I raid israeliani hanno colpito il complesso dell’ospedale Europeo vicino a Khan Younis, lasciando dietro di sé scene di caos. Crateri hanno squarciato il terreno, crepe hanno segnato i muri e un autobus danneggiato giaceva incastrato in una voragine. La Protezione Civile di Gaza ha riferito che i team medici stanno ancora cercando di recuperare altre vittime, con alcuni corpi “sparsi nell’area ospedaliera” a causa dell’intensità del bombardamento. “Tutti, pazienti e feriti, correvano terrorizzati: alcuni con le stampelle, altri gridando per i loro figli, altri ancora trascinati sui letti”, ha raccontato Amro Tabash, un fotoreporter locale, descrivendo un inferno in terra.
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno giustificato l’attacco sostenendo di aver colpito un “centro di comando di Hamas” situato sotto l’ospedale, senza però fornire prove concrete a sostegno di questa affermazione. Hamas ha sempre negato di utilizzare ospedali o strutture civili per scopi militari, ma tali accuse sono diventate un ritornello ricorrente per legittimare attacchi contro obiettivi protetti dal diritto internazionale. Un secondo raid ha colpito l’ospedale Nasser, sempre a Khan Younis, uccidendo, tra gli altri, il giornalista palestinese Hassan Aslih, accusato da Israele di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre 2023. Aslih, direttore dell’agenzia di notizie Alam24 e collaboratore freelance di testate internazionali, era un simbolo del giornalismo sotto assedio a Gaza.
Secondo Medici Senza Frontiere (MSF), l’attacco all’ospedale Nasser è stato il secondo in sette settimane contro la stessa struttura. “Dopo il primo attacco, abbiamo dovuto trasferire la nostra unità per ustionati in un edificio vicino, dove trattiamo traumi gravi e gestiamo due sale operatorie”, ha dichiarato MSF. “Ora, dopo questo nuovo raid, le consultazioni ambulatoriali sono sospese e il nostro personale è drasticamente ridotto”. Gli ospedali di Gaza, già al collasso per la mancanza di medicinali, carburante ed elettricità, sono diventati teatri di morte, con pazienti e personale medico intrappolati tra le bombe e l’impossibilità di fornire cure adeguate.
Dal ottobre 2023, secondo le autorità di Gaza, Israele ha bombardato o incendiato almeno 36 ospedali, un’azione che viola apertamente le Convenzioni di Ginevra del 1949, che proteggono le strutture sanitarie, il personale medico e i pazienti. Il Ministero della Salute di Gaza ha denunciato “la persecuzione e l’uccisione di feriti nelle sale di trattamento”, accusando Israele di perseguire un disegno deliberato per distruggere il sistema sanitario palestinese. Ogni attacco non solo miete vittime, ma priva la popolazione di un diritto fondamentale: quello alla salute.n
L’attacco è arrivato subito dopo una breve pausa nei combattimenti, legata alla liberazione di Edan Alexander, un ostaggio israelo-statunitense di 21 anni catturato da Hamas il 7 ottobre 2023. Il rilascio, avvenuto il 12 maggio, è stato attribuito dal premier israeliano Benjamin Netanyahu a una combinazione di “pressione militare e politica esercitata dal presidente Trump”. Hamas, tuttavia, ha smentito, sostenendo di aver avviato negoziati diretti con Washington per un cessate il fuoco. Ma la tregua è durata lo spazio di un respiro. “Nei prossimi giorni entreremo con piena forza per completare l’operazione”, ha dichiarato Netanyahu il 13 maggio, ribadendo che l’obiettivo è la distruzione totale di Hamas. “Non ci fermeremo. Un cessate il fuoco temporaneo è possibile, ma andremo fino in fondo”.
Questa retorica intransigente si scontra con il prezzo umano del conflitto. L’attacco di Hamas del 2023 ha causato 1.218 morti, prevalentemente civili, e il rapimento di 251 persone, di cui 57 ancora detenute a Gaza. In risposta, l’offensiva israeliana ha ucciso almeno 52.908 persone, in gran parte civili, secondo il Ministero della Salute di Gaza, dati considerati attendibili dall’ONU. Tra le vittime, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti conta almeno 178 reporter e operatori dei media, un tributo di sangue che fa di Gaza uno dei luoghi più letali al mondo per la stampa.
Di fronte a questa carneficina, la comunità internazionale appare paralizzata. Tom Fletcher, sottosegretario generale dell’ONU per gli Affari umanitari, ha implorato il Consiglio di Sicurezza di intervenire per “prevenire il genocidio” a Gaza, denunciando la brutalità delle azioni israeliane. “Agirete in modo decisivo per garantire il rispetto del diritto umanitario?”, ha chiesto, senza nascondere la frustrazione per l’inazione globale. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “vergognosa” la politica di Netanyahu, invocando sanzioni europee contro Israele, una proposta che, però, fatica a trovare consenso in un’Europa divisa.
Le accuse di genocidio e crimini di guerra si accumulano, ma le risposte concrete latitano. Gli ospedali distrutti, i bambini sepolti sotto le macerie, i medici costretti a operare senza anestesia: tutto questo sembra svanire nel vortice della realpolitik, dove gli interessi geopolitici prevalgono sul dovere morale. Israele, forte del sostegno incondizionato di alcune potenze occidentali, agisce con un senso di impunità che sconvolge le coscienze. Ogni bomba che cade su Gaza non distrugge solo vite, ma erode la credibilità di un ordine internazionale che si proclama difensore dei diritti umani.
La tragedia di Gaza è più di un conflitto: è un monito sulla fragilità della civiltà quando la forza prevale sulla giustizia. Gli ospedali, simboli universali di cura e speranza, sono diventati tombe per chi cercava rifugio. I pazienti, i medici, i bambini: tutti sono bersagli in una guerra che non conosce limiti. E mentre Netanyahu promette di “andare fino in fondo”, il mondo osserva, diviso tra chi tace per convenienza e chi grida senza essere ascoltato.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha documentato un “livello senza precedenti di distruzione” a Gaza, ma le parole non fermano le bombe. La comunità internazionale, che si riunirà presto in vertici e conferenze, ha il dovere di rompere questo silenzio complice. Ogni giorno di ritardo è una condanna per migliaia di innocenti intrappolati in un incubo senza fine. Gaza non è solo una striscia di terra: è lo specchio di ciò che l’umanità rischia di diventare se abbandona la propria coscienza.