Gaza. Tregua violata, crescono le tensioni tra Israele e Hamas

di Giuseppe Gagliano –

A pochi giorni dalla firma dell’accordo di cessate-il-fuoco, la fragile tregua tra Forze di Difesa Israeliane e Hamas è stata infranta da nuovi attacchi nella Striscia di Gaza. Il 14 ottobre, sette palestinesi sono stati uccisi in due operazioni israeliane: sei persone nel quartiere di Shujaiya e un’altra nella città di al-Fukhari. Secondo la Protezione Civile palestinese, le vittime stavano ispezionando le proprie abitazioni danneggiate. L’esercito israeliano ha confermato il raid a Shujaiya, sostenendo di aver colpito “sospetti armati” che avevano attraversato le linee concordate, ma non ha commentato l’attacco con drone a Khan Younis.
Il cessate-il-fuoco, entrato in vigore il 10 ottobre, prevedeva la sospensione di tutte le operazioni militari, inclusi bombardamenti aerei, artiglieria e operazioni mirate. L’attacco israeliano rappresenta una chiara violazione di questi termini, secondo il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, che ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire per garantire il rispetto degli impegni presi. Israele, invece, accusa Hamas di aver violato la tregua non consegnando tutti i corpi degli ostaggi israeliani deceduti, come previsto dall’accordo.
Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha accusato Hamas di non aver rispettato le scadenze concordate per la restituzione dei resti di 24 ostaggi, consegnandone solo 4. Tel Aviv considera questa mossa una violazione grave e ha minacciato “una risposta adeguata”. In cambio, Israele deve rilasciare i corpi di decine di palestinesi detenuti e garantire il proseguimento degli aiuti umanitari verso Gaza. Queste dinamiche dimostrano quanto la tregua sia strutturalmente debole: più che un vero cessate il fuoco, è una finestra negoziale condizionata da scambi calcolati e tensioni permanenti.
L’episodio si inserisce in un contesto politico e militare estremamente delicato. Per Israele, mantenere alta la pressione militare serve a contenere Hamas e altre fazioni armate, preservando al contempo la possibilità di agire unilateralmente in caso di violazioni. Per Hamas, invece, la tregua è uno strumento tattico per consolidare la propria posizione interna e negoziare da una posizione di forza. Entrambi gli attori considerano l’accordo non come fine ma come mezzo per ottenere vantaggi strategici.
La ripresa degli attacchi, anche se limitata, rischia di minare il già fragile equilibrio diplomatico costruito con la mediazione di Donald Trump, Egitto e Qatar. Se la tregua dovesse crollare del tutto, l’effetto immediato sarebbe un ritorno alle ostilità su larga scala, con conseguenze drammatiche per i due milioni di abitanti di Gaza. Sullo sfondo, la questione degli ostaggi e dei prigionieri alimenta una guerra psicologica parallela a quella militare.
Ogni rottura della tregua implica anche un blocco o un rallentamento dei flussi umanitari, aggravando la crisi economica e sanitaria a Gaza. Israele controlla la maggior parte dei valichi e, di fatto, può decidere se e quanto accelerare o rallentare l’arrivo di aiuti e carburante. Questa leva economica è uno strumento di pressione tanto efficace quanto i raid militari, e consente a Tel Aviv di influenzare il contesto politico senza un’escalation immediata.
La dinamica degli eventi mostra come la tregua non sia mai stata realmente stabile. Le due parti mantengono posture belliche pronte a essere riattivate e usano la retorica della “violazione” per legittimare mosse militari e diplomatiche. Questo scenario lascia presagire una possibile escalation “controllata”, in cui le operazioni militari riprendono gradualmente mentre le diplomazie cercano di gestire i danni senza dichiarare apertamente il fallimento dell’accordo.