Geopolitica mafiosa: un nuovo pericolo per il mondo

Vincenzo Musacchio, 'Sarà questo il prossimo grande pericolo di cui il mondo non ancora si rende conto'.

a cura di Valentina Vergani Gavoni * –

Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA).
Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80. È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.

– Professore, quali sono le maggiori organizzazioni criminali di stampo mafioso nell’epoca della globalizzazione?
“Per semplificare, ed essere più chiari, dividerei il mondo in cinque grandi aree: Europa, Asia, Africa, Americhe e Oceania. In Europa ci sono: la ‘ndrangheta, la mafia albanese, la camorra (quella dei Casalesi), la mafia siciliana, la mafia balcanica. In Asia abbiamo: la mafia russa, la mafia cinese (triadi), la mafia giapponese (yakuza), la mafia israeliana, la mafia turca. In Africa: la mafia nigeriana, la mafia marocchina, la mafia tunisina. Nelle Americhe ci sono: cosa nostra americana, la mafia messicana, la mafia colombiana, la mafia giamaicana. In Oceania abbiamo: la ‘ndrangheta, con presenza di mafia russa, albanese e nigeriana. Tutte queste mafie testé elencate hanno una dimensione transnazionale e si sono perfettamente adeguate alla globalizzazione su scala mondiale”.

– Le mafie da lei appena catalogate in che affari illegali sono coinvolte?
“Le mafie che ho appena elencato si sono globalizzate per cui hanno abbandonato gli affari meno redditizi (prostituzione, gioco d’azzardo, estorsioni) a cosche minori. Le nuove mafie sono mercatistiche e transnazionali e si concentrano su affari molto remunerativi che vanno dal traffico di droga e di armi a quello di organi ed esseri umani, dall’emigrazione al traffico delle scorie radioattive, dai rifiuti pericolosi e non alle nuove fonti energetiche. Si sono alleate tra di loro dando origine a un “sistema criminale mondiale”, con le sue regole e i suoi riconosciuti rapporti di forza (non basati solo sulla violenza ma anche sulla potenza economica e finanziaria). Grazie alla loro diplomazia le mafie non si fanno più la guerra ma si spartiscono in silenzio gli affari in tutto il globo. Esiste oggi una “geopolitica mafiosa” ed è bene prenderne presto coscienza a livello intercontinentale. Criminalità organizzata transnazionale, politica, economia e finanza sono tra loro integrate e domineranno il nuovo mondo globalizzato se non saranno fermate in tempo”.

– Come possono queste mafie influenzare gli equilibri geopolitici nel mondo?
“In alcune nazioni del pianeta non è più possibile vincere le elezioni senza considerare l’appoggio delle grandi organizzazioni mafiose che rappresentano le vere forze politiche ed economiche in grado di influenzare alcune istituzioni di uno Stato e settori dell’economia. Le mafie in precedenza tracciate hanno avuto grande influenza politica, economica e geografica nel mondo e si sono oggi sviluppate in modo preoccupante. Sono un fenomeno criminale geopolitico che a mio parere è più pericoloso del terrorismo internazionale poiché a differenza di quest’ultimo che trova la sua forza nell’apparire, le mafie invece preferiscono restare invisibili”.

– È possibile che le politiche interne dei singoli Stati possano riprodurre un sistema di tipo mafioso al proprio interno e in ambito internazionale?
È possibile ed è già accaduto. Jean Bertrand Aristide permise il passaggio da Haiti di oltre ottanta tonnellate di coca provenienti dalla Colombia, durante i suoi tre anni di governo. L’isola era utilizzata per il transito di droga verso le coste statunitensi. I narcotrafficanti colombiani subivano una sorta di “tassa di transito” di circa 1.500 dollari per ciascun chilo di cocaina. In tutto le autorità haitiane avrebbero “intascato” circa 200 milioni di dollari. Più di recente anche in Honduras il suo presidente è stato accusato di narcotraffico. Hernández avrebbe ricevuto “milioni di dollari” in tangenti da diversi trafficanti di droga. Nel processo contro El Chapo era già stato provato come il cartello pagasse politici di diversi Stati per operare liberamente. Il denaro, secondo l’accusa, sarebbe stato destinato a finanziare la campagna presidenziale del 2013. La tangente serviva a garantire la protezione del cartello e di eliminare una legge honduregna che consentiva l’estradizione dei trafficanti di droga negli Stati Uniti”.

– Secondo lei è possibile che alcuni Stati possano amministrare il potere utilizzando una gestione familistica sul modello delle organizzazioni mafiose?
È possibile. Lo schema familistico mafioso e politico per alcuni aspetti è affine. Mafia e politica sono entrambi associazioni che legano un gruppo di persone di rango inferiore a un capo. In cambio di tutela e di assistenza, lavoro, i sottoposti eseguono gli ordini del capo, rendendogli numerosi servigi. Tra capo e sottoposto esiste un legame così forte che spesso il tradimento si paga a caro prezzo. Stiamo parlando della corruzione come strumento di dominio usato indifferentemente dalle mafie e dalla politica. Questo schema criminoso vale a livello locale, nazionale e internazionale”.

– Le alleanze geopolitiche mondiali hanno qualcosa in comune con quelle della criminalità organizzata transnazionale?
L’unica affinità che mi viene in mente riguarda la spartizione degli affari. Le superpotenze si spartiscono le risorse del pianeta e le mafie, gli affari lucrativi. Usano la diplomazia e quando questa non funziona, si fanno la guerra”.

– Perché le Nazioni del mondo non si occupano di questi problemi?
“I cambiamenti geopolitici mondiali comportano come conseguenza l’adeguamento di strutture e organizzazioni politiche ai nuovi paradigmi economici e finanziari. L’attenzione delle forze di governo e della società civile è sempre più rivolta verso ciò che appare e sempre meno verso ciò che non si vede. La comprensione delle nuove metamorfosi globali del crimine organizzato rappresenta la base iniziale per operare poi nella lotta dello stesso. Le nuove mafie vanno studiate durante le loro continue evoluzioni, di conseguenza, per analizzare qualcosa che non si vede, occorrono strumenti e persone idonee a farlo. Per studiare un tumore occorre un oncologo non un ortopedico”.

– Intende dire che occorre ripensare la lotta al crimine organizzato a livello globale? In che modo? Occorrono leggi in grado di adattarsi al nuovo scenario geopolitico?
La Comunità Internazionale non può più ignorare le nuove sfide poste dal crimine globale che provengono soprattutto dalle infiltrazioni nel sistema economico e finanziario. Le Nazioni, dunque, dovrebbero elaborare efficaci strategie di controllo dell’economia illegale che ruota intorno alla criminalità organizzata transnazionale. Le principali mafie mondiali (italiana, russa, cinese, giapponese e sudamericana) costituiscono la terza potenza economica mondiale e sono capaci di stravolgere le regole del mercato, di condizionare l’economia legale e la democrazia. Se la situazione è questa, senza nuovi interventi normativi in ambito europeo e internazionale sulle economie occulte e sui paradisi fiscali, a cominciare dalla rottura delle relazioni economiche e dagli embarghi finanziari, non si va da nessuna parte poiché si combatte la “guerra” con armi spuntate. Le vere minacce sono quelle non ancora percepite dagli organi di sicurezza dei singoli Stati. Credo sia arrivato il tempo di svegliarsi prima che sia troppo tardi”.

* Giornalista.