
di Simone Chiusa –
Sedici anni fa, il 7 agosto 2008, la truppe della Federazione Russa hanno violato il confine con la Georgia, dando inizio alla prima guerra in territorio europeo del XXI secolo. Il conflitto in sé è durato pochi giorni, ma le sue conseguenze continuano a generare tensioni, sia a livello locale che internazionale. La Georgia aveva ottenuto l’indipendenza nel 1991, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma portava con sé profonde divisioni politiche ed etniche. Le tensioni principali riguardavano i territori separatisti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. La guerra portò 30mila persone ad abbandonare le proprie case, e ancora oggi è impedito loro di tornare. Le truppe russe avanzarono nella regione di Tskhinvali, in Ossezia del Sud, e nella Georgia occidentale. Durante i combattimenti persero la vita 170 militari georgiani, 14 dipendenti del ministero degli Affari interni e 228 civili. Secondo le stime, il numero totale dei feriti è stato di 2.232. Nel 2021 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accusato la Federazione Russa di violazione dei diritti umani nelle regioni occupate.
L’ascesa di Mikheil Saakashvili e l’avvicinamento alla Nato.
Nel 2004 prese il potere il nazionalista Mikheil Saakashvili, ottenendo oltre il 90% dei voti alle elezioni. Il suo governo impresse un cambio di rotta radicale per la Georgia, orientando il paese verso una stretta integrazione con l’Europa e gli Stati Uniti, allontanandolo dall’orbita russa. Le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea iniziarono a sventolare una accanto all’altra, e continuano a farlo tuttora. Su questa nuova linea atlantista, Tbilisi si avvicinò anche alla NATO, arrivando a chiederne l’adesione. Tuttavia questa politica di avvicinamento all’occidente provocò la reazione di Mosca, preoccupata dalla possibilità di un’ulteriore espansione della NATO verso oriente.
Le tensioni con la Russia.
Nel contesto di questa nuova linea filo-occidentale, Saakashvili cercò anche di reintegrare completamente l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia sotto l’autorità georgiana, acuendo gli attriti con la Russia. A partire dall’aprile 2008 le provocazioni tra i separatisti filorussi e l’esercito georgiano aumentarono significativamente, portando al ferimento di uomini di entrambi gli schieramenti. Il 1 agosto un ordigno esplosivo fece saltare in aria una camionetta della polizia georgiana, ferendo cinque agenti; in risposta, l’esercito di Tbilisi uccise quattro miliziani osseti. A far scoppiare la scintilla furono gli attacchi di artiglieria scagliati dalle truppe separatiste contro i villaggi georgiani. Nonostante un tentativo di cessate-il-fuoco promosso dal presidente Saakashvili, gli osseti continuarono gli attacchi sui centri abitati georgiani. Per ristabilire l’ordine, vennero inviate le Forze di difesa georgiane nella regione, che in poche ore presero il controllo di Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del Sud.
L’intervento russo e la guerra.
Il ministro della Difesa russo Pankov incontrò in segreto le autorità dell’autoproclamata Repubblica dell’Ossezia del Sud. L’azione delle forze georgiane a Tskhinvali provocò la reazione militare russa, che giustificò l’invasione come un’operazione di protezione della popolazione osseta. La Russia lanciò un’invasione su larga scala, avanzando in profondità nel territorio georgiano, occupando le città di Zugdidi, Senaki e Poti. Nonostante la tenacia delle difese georgiane, l’esercito russo riuscì a ottenere il controllo di gran parte dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, consolidando la separazione de facto di queste regioni dalla Georgia.
Epilogo del conflitto.
Il 12 agosto 2008, sotto la mediazione del presidente francese Nicolas Sarkozy, fu raggiunto un cessate-il-fuoco attraverso un accordo in sei punti. L’accordo prevedeva il ritiro delle truppe russe e georgiane dalle aree di conflitto e il libero accesso per gli aiuti umanitari. Tuttavia non venne mai applicato totalmente e le truppe russe rimasero stanziate nelle regioni separatiste, che Mosca riconobbe ufficialmente come repubbliche indipendenti. Questo riconoscimento fu condannato dalla comunità internazionale, che continua a considerare l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud come parte del territorio nazionale della Georgia.
Gli antefatti: Ossezia del Sud e Abcasia, le regioni separatiste.
L’Ossezia del Sud, già ai tempi dell’URSS, godeva di uno stato di oblast autonomo all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Georgiana. La popolazione era composta principalmente da osseti, mentre solo una minoranza era georgiana. All’alba dell’indipendenza dall’Unione Sovietica la tensione tra georgiani e osseti crebbe. Nel 1990 il Consiglio supremo della Georgia dichiarò l’annullamento dello status autonomo dell’Ossezia del Sud, provocando il malcontento della popolazione osseta, che dichiarò l’indipendenza da Tbilisi l’anno successivo. Quelle che fino ad allora erano state sporadiche provocazioni, nel 1991 esplosero in un conflitto tra i militari georgiani e i ribelli osseti, supportati ed equipaggiati dalla Russia. Molti villaggi nella regione furono dati alle fiamme, così come case e scuole georgiane a Tskhinvali, capoluogo e capitale de facto dell’Ossezia del Sud. Il conflitto raggiunse un punto di stallo nel 1992, quando il presidente della Georgia, Shevardnadze (ex leader sovietico) accettò un cessate-il-fuoco, istituendo una forza di peacekeeping composta da militari russi, georgiani e osseti. L’Ossezia del Sud continuò a operare come uno stato de facto indipendente, appoggiato da Mosca, seppur non riconosciuto da Tbilisi né dalla comunità internazionale.
Parallelamente sul Mar Nero, nella Georgia occidentale, un’altra regione chiedeva l’indipendenza: l’Abcasia. Durante i tumulti in Ossezia del Sud, anche i separatisti abcasi si mobilitarono contro Tbilisi, sostenuti anch’essi dalla Russia. I ribelli presero il controllo di Sukhumi, proclamata poi capitale della Repubblica Autonoma. Le Forze di Difesa georgiane ripresero rapidamente il controllo della città. Nel settembre 1992, sotto la mediazione russa, venne firmato un cessate-il-fuoco. Tuttavia, insieme a legioni di paramilitari filorussi, gli abcasi violarono la tregua e attaccarono Gagra, uccidendo 1.000-1.500 civili inermi e seppellendoli in una fossa comune. Con il supporto della marina russa i miliziani separatisti sbarcarono a Tkvarcheli, per poi riconquistare la città di Sukhumi. Oltre mille furono le vittime civili solo a Sukhumi. Il conflitto terminò con la consolidazione del controllo abcaso sulla regione, che continua a essere sostenuta dalla Russia nonostante la mancanza di riconoscimento internazionale.
La nota dell’Unione Europea.
In un momento di raffreddamento dei rapporti tra Tbilisi e Bruxelles, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea Josep Borrell ha espresso in un comunicato la ferma condanna dell’UE verso l’aggressione russa. “Ribadiamo la condanna per la continua presenza militare russa nelle regioni separatiste occupate di Abcasia e Ossezia del Sud. (…) I diritti umani delle comunità colpite in Georgia continuano a essere violati”, e ha affermato che “l’Unione Europea ribadisce il suo incrollabile sostegno alla sovranità e integrità territoriale della Georgia”.