Georgia. L’Europa negata

di Simone Chiusa

La Georgia è al centro di una grave crisi politica, segnata da un conflitto istituzionale tra governo e presidenza, accuse di brogli elettorali e una profonda polarizzazione. Il recente annuncio del governo di sospendere i negoziati con l’Unione Europea fino al 2028 ha scatenato un’ondata di proteste che ha coinvolto tutto il Paese.
Le elezioni parlamentari del 26 ottobre hanno visto trionfare il partito di governo Sogno Georgiano, al termine di una campagna elettorale fortemente polarizzata. Il partito, fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, è stato accusato dall’opposizione di inclinazioni filo-russe e di compromettere il percorso di integrazione europea. La retorica anti-occidentale di Sogno Georgiano, caratterizzata da attacchi alla presunta ingerenza delle ONG nella politica interna e dichiarazioni contro il cosiddetto “partito globale della guerra” (di cui farebbero parte UE e Stati Uniti), ha ulteriormente allontanato il Paese caucasico da Bruxelles.
Con oltre il 54% dei voti Sogno Georgiano si è confermato alla guida del governo. Sebbene la Commissione elettorale centrale abbia validato il risultato delle elezioni, l’opposizione ha rifiutato di riconoscerlo, denunciando irregolarità. La presidente Salome Zourabichvili ha accusato il governo di brogli elettorali, sostenendo che la Russia abbia interferito nel processo. Il 25 novembre, i membri dell’opposizione hanno boicottato l’apertura della nuova legislatura e la cerimonia di insediamento del nuovo governo in Parlamento. Anche la presidente Zourabichvili non ha partecipato alla sessione parlamentare, ribadendo l’illegittimità delle elezioni. Nei giorni successivi al voto, l’opposizione ha organizzato manifestazioni contro i presunti brogli, accusando Sogno Georgiano di essere sotto l’influenza di Mosca.
La scintilla che ha acceso le attuali proteste è stata la dichiarazione del Primo Ministro Irakli Kobakhidze del 28 novembre. Il premier ha annunciato la sospensione dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea fino al 2028, accusando Bruxelles di pressioni e ricatti. Inoltre ha respinto i fondi di bilancio offerti dall’UE, che per anni hanno sostenuto le riforme nel settore pubblico e giudiziario.
Le dichiarazioni del primo ministro hanno suscitato profonda indignazione nella popolazione. Durante una conferenza la presidente Zourabishvili ha dichiarato che la decisione del governo equivale a una dichiarazione di guerra contro il proprio popolo. La Presidente si è successivamente rivolta alla comunità internazionale, chiedendo supporto per organizzare nuove e libere elezioni.
La decisione di Kobakhidze è in netto contrasto con la Costituzione georgiana, che impegna il Paese a perseguire attivamente l’integrazione euro-atlantica. L’Articolo 78 stabilisce che le autorità statali devono compiere ogni sforzo per integrare la Georgia nell’UE e nella NATO, rispecchiando chiaramente la volontà popolare.
Le proteste in Georgia rappresentano l’apice di una crescente frustrazione popolare, alimentata dalla percezione di una sovranità nazionale costantemente minacciata dalla pressione russa. La sospensione dei negoziati con l’Ue ha acceso una miccia già pronta a esplodere. Le manifestazioni si sono diffuse in tutto il Paese, con una mobilitazione di massa soprattutto tra i giovani. I manifestanti hanno affrontato una dura repressione da parte delle forze dell’ordine, che hanno utilizzato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere la folla, provocando centinaia di feriti. L’emittente indipendente Pirveli ha trasmesso filmati che mostrano manifestanti e giornalisti brutalmente picchiati e arrestati dalla polizia. L’epicentro delle proteste è Rustaveli Street, dove i manifestanti si radunano sventolando bandiere georgiane ed europee, rivendicando un futuro europeo per la Georgia.
Non è una forza politica di opposizione a guidare le proteste, ma il desiderio di preservare l’indipendenza e la democrazia del Paese, evitando un ritorno nell’orbita della Federazione Russa. Queste manifestazioni rappresentano non solo una lotta per il futuro della Georgia, ma anche un’opposizione ad un passato autoritario e subordinato a Mosca.
In un comunicato, il primo ministro Kobakhidze ha difeso la decisione di sospendere i negoziati con l’Unione Europea, affermando che il processo di adesione all’UE non è stato compromesso. Ha ribadito che l’ingresso nell’Unione rimane una priorità del governo e che avverrà “con orgoglio e dignità”. Il premier ha anche accusato l’ambasciatore Ue in Georgia, Pawel Herczyski, di ricatto e di promuovere una campagna di disinformazione per conto dell’opposizione e delle ONG. Durante la conferenza stampa, Kobakhidze ha condannato le proteste, sostenendo che siano guidate da gruppi violenti istigati da agenti stranieri, affermando che il governo farà tutto il necessario per proteggere la Georgia dalla minaccia del fascismo liberale. Infine, il Primo Ministro ha elogiato le forze dell’ordine per aver difeso l’ordine costituzionale, affermando che hanno agito con “standard più elevati rispetto a quelli europei e americani”.
La storia della Georgia è profondamente segnata da lotte per la difesa della sovranità e indipendenza. Nel 1921, l’occupazione sovietica pose fine ai tre anni di indipendenza della Repubblica Democratica di Georgia, inaugurando un periodo di oppressione politica e culturale. Negli anni ’90, il Paese affrontò una drammatica crisi interna. Durante la guerra in Abkhazia, i ribelli sostenuti dalla Russia attuarono una pulizia etnica contro i georgiani, causando oltre 5mila vittime civili e 250mila sfollati. Successivamente, nel 2008, le truppe russe invasero la Georgia con il pretesto di proteggere i separatisti dell’Ossezia del Sud, consolidando il controllo sulle regioni separatiste.
Oggi la Georgia si trova a un nuovo bivio storico. La decisione del governo di sospendere i negoziati con l’UE e il ricorso a metodi autoritari per reprimere le proteste rischiano di allontanare il Paese dal panorama occidentale, avvicinandolo a un modello simile a quello della Bielorussia. Quest’ultima è, di fatto, un satellite russo, caratterizzato da una dipendenza politica ed economica da Mosca. Le attuali proteste non rappresentano solo un rifiuto della svolta filo-russa, ma anche un grido di resistenza contro il rischio di perdere ulteriormente sovranità e democrazia. Tuttavia se il governo insisterà sulla via autoritaria e l’occidente non eserciterà pressioni adeguate, la Georgia rischia di scivolare in un limbo geopolitico, allontanandosi sempre più dal suo obiettivo di diventare una nazione pienamente democratica e integrata nell’occidente.