Germania. Riarmo in Lituania: Merz rispolvera l’ombrello NATO sotto pressione Usa

di Giuseppe Gagliano

Sventolano bandiere di carta, sfilano carri armati, si intonano inni e si pronunciano frasi solenni. Ma dietro la parata simbolica per il varo della brigata tedesca in Lituania, c’è una mutazione ben più profonda che riguarda la postura militare di Berlino, la strategia dell’Alleanza Atlantica e la progressiva militarizzazione dell’Europa orientale in funzione anti-russa. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, in visita ufficiale nella capitale lituana, ha affermato che la Germania e i suoi alleati NATO “difenderanno ogni centimetro del territorio dell’Alleanza”. Una dichiarazione altisonante che sancisce la svolta della Repubblica Federale verso un protagonismo militare che per decenni era stato represso dalla memoria della storia.
Dietro le parole però c’è la geopolitica. La brigata tedesca, con quartier generale a Rudninkai e una forza prevista di quasi 5mila soldati e 2mila mezzi blindati, non è solo un gesto di solidarietà con i baltici. È la risposta di Berlino alla pressione, più ideologica che diplomatica, esercitata da Washington, e in particolare da Donald Trump, per “responsabilizzare” gli alleati europei in materia di difesa. Non è un caso che Merz abbia fatto propria la dottrina trumpiana: più spesa, più armi, più uomini.
La Lituania è il tassello perfetto in questo mosaico. Un piccolo Paese confinante con Russia e Bielorussia, incuneato nel famigerato “Corridoio di Suwalki”, un tratto di 65 km che rappresenta, secondo i piani NATO, l’imbuto potenzialmente più pericoloso in caso di escalation con Mosca. È lì che si addensa il nuovo fronte simbolico della Guerra Fredda 2.0, dove ogni esercitazione congiunta, ogni rafforzamento militare, ogni dichiarazione come quella di Merz, è al tempo stesso rassicurazione per gli alleati baltici e provocazione per il Cremlino.
Ecco dunque che si rispolvera la Bundeswehr. Non più l’esercito spento e dimezzato degli anni post-riunificazione, ma una forza destinata a diventare nelle parole di Merz “il più forte esercito convenzionale d’Europa”. Per farlo, la Germania ha sospeso il freno costituzionale sul debito e aumentato la spesa militare fino al 2,12% del PIL (era all’1,19% nel 2014). L’obiettivo è arrivare al 5%, come chiesto da Trump e ora sostenuto da membri del governo tedesco.
Ma il paradosso resta. La Germania arma se stessa e i suoi alleati, ma lo fa dentro una logica di escalation che produce instabilità invece che sicurezza. La NATO si espande a Est, Mosca rafforza la sua retorica bellica, i Paesi baltici diventano avamposti carichi di tensioni, e la diplomazia si riduce a cornice simbolica per esercitazioni e schieramenti.
Nel frattempo la Lituania annuncia che dal prossimo anno spenderà oltre il 5% del proprio PIL per finanziare la base tedesca: oltre un miliardo di euro. Un dato che dovrebbe far riflettere su chi paga davvero il prezzo della deterrenza.
Alla fine, la scena di Vilnius somiglia a un déjà vu: un’Europa orientale trasformata in trincea, una Germania che abbandona la retorica pacifista, un’America che guida l’alleanza da lontano. Ma nel mezzo resta la domanda fondamentale: questa rincorsa agli armamenti rafforza davvero la sicurezza europea o rischia solo di avvicinare il prossimo conflitto?