Germania. Spesa militare in netto aumento (+28%), ma restano molte lacune

di Giuseppe Gagliano

Il decimo anno consecutivo di crescita della spesa militare mondiale chiude ogni dubbio: il mondo, invece di dirigersi verso forme di cooperazione e stabilità, sta rapidamente tornando a una logica di riarmo generalizzato. Secondo l’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nel 2024 gli Stati hanno investito circa 2.720 miliardi di dollari nelle forze armate, segnando un aumento reale del 9,4% rispetto al 2023: la crescita più rapida dal crollo dell’Unione Sovietica.
Se gli Stati Uniti restano in cima alla classifica mondiale, seguiti da Cina e Russia, il dato che sorprende maggiormente è il balzo della Germania al quarto posto. Berlino ha superato, per spesa, tutte le altre nazioni europee, investendo circa 88,5 miliardi di dollari nelle proprie forze armate. Ma dietro i numeri si cela una domanda più insidiosa: dov’è la forza militare corrispondente?
Nonostante l’imponente aumento del 28% nella spesa militare tedesca rispetto all’anno precedente, frutto soprattutto del fondo straordinario per la Bundeswehr approvato nel 2022, il risultato operativo è sconcertante.
La Germania resta priva di capacità essenziali: possiede una sola divisione corazzata quasi operativa; non dispone di portaerei; non ha ancora schierato i caccia F-35; è carente di satelliti militari propri; la difesa aerea resta, secondo numerosi analisti, largamente insufficiente.
Dietro l’imponente cifra si cela quindi un esercito incompleto, frammentato, più simbolico che realmente efficiente. I miliardi investiti sembrano dissolversi nei meandri di una burocrazia inefficace, in programmi di acquisto disordinati, in una visione strategica che fatica a emergere. Un monito sull’inefficienza europea, più che un motivo di orgoglio nazionale.
Mentre Berlino spreca risorse senza consolidare una reale capacità di difesa, gli Stati Uniti confermano la loro egemonia, sostenendo il 37% della spesa militare mondiale con un budget da 997 miliardi di dollari. Washington reinveste in tecnologie d’avanguardia, nel rinnovo del proprio arsenale nucleare, nella superiorità cibernetica: una macchina bellica che evolve mentre il resto del mondo arranca.
Anche la Cina, seconda potenza per investimenti militari, continua la sua ascesa inesorabile, alimentando una crescita della spesa del 7% annuo da oltre trent’anni.
La guerra in Ucraina e l’instabilità in Medio Oriente hanno scosso l’Europa dal suo torpore. Ben 18 Paesi NATO su 32 nel 2024 hanno superato la soglia simbolica del 2% del PIL destinato alla difesa. Una risposta emotiva più che razionale: paura della Russia, timore del possibile disimpegno americano dall’Alleanza Atlantica, necessità di mostrarsi pronti sulla carta.
Ma, come avverte il SIPRI, spendere di più non significa necessariamente rafforzarsi. Costruire vere capacità autonome richiede strategia, coesione politica, investimenti in uomini prima che in materiali. Un salto culturale che l’Europa, e in particolare la Germania, non ha ancora compiuto.
Mentre l’Europa si agita, il Medio Oriente precipita nel riarmo. Israele, impegnato su più fronti, ha aumentato la propria spesa del 65%, il maggiore incremento annuale dal 1967. La cifra, 46,5 miliardi di dollari, riflette un’escalation alimentata dal conflitto a Gaza e dalle tensioni con Hezbollah.
Il contrasto è netto con l’Iran, dove le sanzioni e le difficoltà economiche hanno provocato un calo del 10% delle spese militari. Ma la regione tutta resta una polveriera, dove i numeri della spesa sono solo un pallido riflesso dei rischi reali.
Il quadro che emerge è drammatico: si spendono somme colossali senza ottenere un corrispettivo in forza reale. La Germania, emblema di questa contraddizione, investe più che mai senza costruire un vero potere autonomo.
Una fotografia perfetta del paradosso europeo: riarmarsi sotto l’ombrello americano, alimentare spese militari per gestire insicurezze politiche interne, rincorrere il mito della potenza senza affrontare i nodi della sovranità strategica.
Mentre il mondo si riarma, l’Europa rischia di trovarsi più vulnerabile che mai: ricca di bilanci, povera di visione.