Giappone. La nuova triangolazione con Cina e Corea del Sud

di Giuseppe Gagliano

Dopo due anni di stallo, Cina, Giappone e Corea del Sud tornano a parlarsi in un incontro trilaterale a Tokyo, un evento che si carica di un peso geopolitico e strategico ben superiore a quello che appare in superficie. Se la diplomazia dell’Asia orientale si muove spesso in equilibri sottili, questa riunione segna un momento cruciale per il futuro degli assetti regionali, in un contesto sempre più definito dalla rivalità tra Stati Uniti e Cina, dalle tensioni commerciali e dall’inesorabile ridefinizione degli equilibri di potere globali.
L’evento, che vedrà la partecipazione del ministro degli Esteri sudcoreano Cho Tae-yul, del cinese Wang Yi e del giapponese Takeshi Iwaya, non è solo un rituale diplomatico, ma un tentativo di ricostruire un canale di comunicazione tra tre economie che, pur essendo interdipendenti, negli ultimi anni hanno visto crescere le tensioni reciproche. Le ragioni di questo distanziamento sono molteplici e vanno dalla storica diffidenza tra Seul e Tokyo fino alla crescente assertività cinese nel Mar Cinese Orientale e Meridionale.
Dietro questa diplomazia della cortesia si cela una partita ben più ampia, che coinvolge gli Stati Uniti in modo diretto. Giappone e Corea del Sud sono i pilastri del sistema di alleanze americane nell’Asia-Pacifico, due economie avanzate che Washington considera essenziali nel suo progetto di contenimento della Cina. Proprio per questo, l’amministrazione Trump ha recentemente rilanciato il suo progetto di un gasdotto dall’Alaska, coinvolgendo Giappone, Corea del Sud e Taiwan in un’operazione energetica che, nei piani statunitensi, dovrebbe rafforzare la loro dipendenza dagli Stati Uniti e ridurre l’influenza di Pechino sulla loro sicurezza energetica.
Il tema dell’energia si intreccia così con le dinamiche della sicurezza. La strategia di Washington è chiara: rafforzare la cooperazione tra i suoi alleati asiatici e al tempo stesso mantenere alta la pressione sulla Cina, limitando il suo accesso alle risorse chiave e creando una rete commerciale alternativa a quella che Pechino ha costruito con la Belt and Road Initiative. Ma il gioco è più complesso di quanto sembri.
Per Pechino, il ritorno del dialogo trilaterale è un’opportunità e una necessità. L’economia cinese, dopo anni di crescita inarrestabile, sta vivendo una fase di rallentamento, con un settore immobiliare in crisi e un calo della fiducia degli investitori internazionali. La necessità di stabilizzare i rapporti con Tokyo e Seul è quindi più pressante che mai. La Cina rimane il principale partner commerciale sia del Giappone che della Corea del Sud, e nessuna delle due nazioni può permettersi un deterioramento eccessivo dei rapporti con Pechino, nonostante le pressioni americane.
Wang Yi, uomo di fiducia di Xi Jinping per la diplomazia, arriverà a Tokyo con una missione chiara: rassicurare i partner regionali sulla stabilità economica della Cina e, allo stesso tempo, evitare che si consolidino accordi energetici e strategici troppo vincolanti con Washington.
Non è un caso che, negli ultimi mesi, Pechino abbia accelerato la sua campagna per ridurre la dipendenza dal dollaro nelle transazioni commerciali, proponendo scambi in yuan sia con il Giappone che con la Corea del Sud. È un segnale forte: la Cina vuole offrire ai suoi vicini un’alternativa concreta al modello di interdipendenza economica costruito dagli Stati Uniti.
Se la posizione di Pechino è chiara, quella di Tokyo e Seul è ben più complicata. Il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba è consapevole che il Giappone non può fare a meno della Cina sul piano economico, ma allo stesso tempo sa che la sicurezza del suo Paese è indissolubilmente legata all’ombrello difensivo americano. L’amministrazione giapponese ha quindi adottato una strategia di equilibrio, cercando di mantenere aperti i canali con la Cina senza però compromettere l’alleanza con Washington.
Lo stesso vale per la Corea del Sud, che si trova in una posizione ancora più delicata. Seul dipende militarmente dagli Stati Uniti, soprattutto per la questione nordcoreana, ma il suo principale partner commerciale resta la Cina. Non è un caso che il ministro dell’Industria sudcoreano Ahn Duk-geun abbia recentemente discusso con gli Stati Uniti del progetto del gasdotto in Alaska, ma senza prendere impegni definitivi. Seul sa che una mossa troppo netta verso Washington potrebbe scatenare ritorsioni economiche da parte di Pechino.
L’incontro di Tokyo si inserisce in questo quadro di tensioni e incognite. Non ci si aspetta che dalla riunione emergano soluzioni immediate, ma piuttosto un tentativo di ricucire i rapporti, evitare un’escalation delle tensioni e lasciare aperta la possibilità di future collaborazioni economiche e strategiche.
Quello che è certo è che la partita in corso nell’Asia orientale non riguarda solo questi tre Paesi, ma riflette la più ampia competizione globale tra Stati Uniti e Cina. Washington preme affinché Tokyo e Seul rafforzino il coordinamento tra loro e riducano la loro dipendenza dalla Cina, mentre Pechino tenta di mantenere i legami economici e di evitare che i due vicini si schierino in modo troppo netto nel fronte anti-cinese.
In questo scenario, la diplomazia continua a essere un gioco di equilibri precari. Nessuno può permettersi di rompere del tutto i rapporti con l’altra parte, ma tutti sono costretti a muoversi con attenzione per evitare di rimanere schiacciati nella competizione tra le due superpotenze. L’incontro di Tokyo è solo un tassello di un mosaico più grande, ma potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo nelle relazioni dell’Asia orientale. E in un mondo sempre più frammentato, mantenere aperti i canali di comunicazione è già, di per sé, un risultato significativo.