Gli Accordi di Abramo: interessi in gioco e possibili ripercussioni

di Tiziana Della Ragione

I cosiddetti “Accordi di Abramo”, firmati lo scorso 15 Settembre 2020 per normalizzare i rapporti tra Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Bahrein con Israele, stanno già dando i loro frutti. La società di gasdotti israeliana Europe Asia Pipeline Co (EAPC) ha infatti dichiarato di aver firmato un accordo preliminare per facilitare il trasporto di petrolio dagli Emirati Arabi Uniti all’Europa attraverso un oleodotto che collega la città di Eilat sul Mar Rosso e il porto mediterraneo di Ashkelon (1). Questa è solo una delle possibili “alleanze” di natura economica-finanziaria che vedranno la luce nei prossimi mesi, come d’altronde già ne esistono tante da circa un decennio. Ma al di là della cooperazione in diversi settori, dalla salute al turismo, dall’innovazione tecnologica al settore energetico e ambientale, questi gli obiettivi che si leggono nel testo integrale degli accordi di Abramo, le ripercussioni di quest’ultimi sono molteplici e non si può escludere un’ondata di violenza e di terrore che rischia di abbattersi sulla regione mediorientale.
Cerchiamo quindi di capire come gli accordi di Abramo stanno riconfigurando la scacchiera geopolitica del Medio Oriente e quali potrebbero essere le implicazioni.
Dopo l’Egitto (1979) e la Giordania (1994), l’avvicinamento tra Israele ed altri due paesi arabi, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, segnala un indebolimento che rischia di ampliarsi se l’ondata di normalizzazione con Israele da parte dei paesi arabi continuasse all’attuale ritmo. In meno di sei settimane dalla firma degli accordi di Abramo, Israele ha infatti normalizzato le sue relazioni con un altro paese, il Sudan; probabilmente ancor prima delle elezioni americane del 3 novembre, Israele sembrerebbe capace di aprire i negoziati con altri due stati, l’Oman (2) e l’Arabia Saudita (3). Quest’ultima è dietro la firma del Bahrein, che considera suo stato vassallo da tempo e, mostrandosi favorevole al riavvicinamento con Israele, ha già concesso l’apertura del suo spazio aereo ai collegamenti aerei tra Abu Dhabi e Tel Aviv (4).
L’indebolimento della questione palestinese non piace evidentemente all’Autorità Nazionale Palestinese, che si oppone agli accordi di Abramo e con cui gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando di dialogare per mitigarne l’opposizione, promettendo aiuti finanziari alla regione ed offrendo lavoro ai giovani palestinesi accademici e ingegneri (5). Tuttavia questo tipo di “incentivo”, se così possiamo definirlo, funziona meno con Hamas, la forza politica militante che controlla la striscia di Gaza dal 2007, le cui tensioni verso Israele si acuiscono. Il movimento di resistenza Islamico sta cercando infatti di rafforzare la cooperazione con Hezbollah in Libano al fine di neutralizzare questa ondata di normalizzazione con Israele.
In questo nuovo scenario geopolitico che sta prendendo forma in seguito agli accordi di Abramo è chiaro che il conflitto Israelo-Palestinese non rappresenta più il fulcro della regione ma sta diventando uno strumento a disposizione delle diverse potenze mondiali per configurare nuovi equilibri strategici nell’area.
Così mentre la triplice alleanza composta da Turchia-Qatar-Iran potrebbe sfruttare la questione palestinese per mobilizzare l’appoggio dei popoli della regione in chiave anti-israeliana e anti-americana (6), gli stati islamici sunniti vedrebbero nella normalizzazione dei rapporti con Israele, la formazione di una coalizione per contrastare l’espansione dell’Iran. Inoltre Israele rappresenta per i nuovi aderenti al “patto” un’opportunità economica ma anche un modo per poter contare sul sostegno diplomatico, e militare, degli Stati Uniti.
L’amministrazione Trump, dal canto suo, è interessata a promuovere la coalizione dei paesi arabi sunniti per ostacolare l’influenza russa e cinese nella regione mediorientale.
Chiariti gli interessi in gioco e gli schieramenti attuali rimane però da non sottovalutare la posizione dell’Iran. La potenza sciita infatti non ha intenzione di mollare la presa e l’intensificazione dei suoi legami con alcuni dei nemici dello schieramento sostenuto dagli Stati Uniti, quali la Turchia (già in palese opposizione con Israele, Cipro, Grecia e altri paesi europei per le questioni legate al commercio del Gas nel Mediterraneo orientale) lo dimostra.
L’Iran rimane una grande potenza, basti pensare alla sua sfera d’influenza nel Mediterraneo e in questo momento che vede minacciata la sua influenza su più fronti potrebbe intensificare il suo sostegno militare alle organizzazioni terroristiche come Hezbollah ed Hamas, generando così un’ondata di violenza e di terrore dai confini difficilmente prevedibili.
La speranza è che questi accordi portino ciò che promettono, pace e sicurezza nella regione, invece di terrore e scontri armati e che il perenne stato di instabilità che affligge il Medio Oriente non si tramuti in un ulteriore conflitto in una regione già sufficientemente martoriata.

Note:
1 – 1 “Israeli Pipeline Company Signs Deal to Bring UAE Oil to Europe”, 20 Ottobre 2020, Pipeline e Gas Journal;
2 – Report: Oman could be next to announce normalization with Israel, 26 Ottobre 2020, Israel Hayom;
3 – Mossad head: Saudi normalization ties close; post US election could see progress.
4 – Lorenzo Trombetta, 17 Settembre 2020, “Gli accordi di Abramo e la caduta del tabù palestinese”, Limes;
5 – Behind the Scenes of the Abraham Accords: Insights from an INSS Cabinet, 24 settembre 2020, INSS;
6 – 6 Mo, Kepel: 15 Settembre 2020, “Accordi di Abramo hanno ridisegnato regione, scontro tra due Alleanze”, Adnkronos.