Gli interrogativi dell’Ue in tema di riesame della politica commerciale

di Massimo Ortolani

Il quadro d’insieme.
Fino al 15 settembre prossimo sarà possibile rispondere alla Consultazione pubblica della Commissione per un riesame della politica commerciale e d’investimento.
Significative talune espressioni con le quali la Ue vi traccia il quadro dei propri intendimenti in materia: “Negli ultimi decenni l’Ue è stata uno dei principali beneficiari dell’economia globale interconnessa e il commercio estero ha rappresentato quasi il 35 % del nostro prodotto interno lordo (PIL)”. (….) “Esternamente il commercio è sempre più esposto alla volatilità delle relazioni internazionali. Le tensioni tra le principali economie globali, l’aumento dell’unilateralismo e del nazionalismo economico, un maggiore coinvolgimento dello Stato nell’economia, l’uso della politica commerciale come arma per conseguire obiettivi economici o geopolitici sono tutti fattori che hanno portato a un indebolimento delle strutture di governance globale in generale e dell’ordine multilaterale basato su norme in particolare”.
E ancora: “Vogliamo continuare a cogliere i benefici del commercio internazionale basato su norme e ad esercitare la leadership nella sfera internazionale, pur disponendo degli strumenti giusti per proteggerci da pratiche sleali. Vogliamo trovare il giusto equilibrio tra un’Europa aperta e in attività e un’Europa che protegga la sua popolazione, le sue imprese e le sue norme. (….) Aumentare la resilienza significa comprendere le nostre dipendenze e ridurre le vulnerabilità attraverso la giusta combinazione di politiche”.
Da notare come su tali tematiche la Cina venga presentata ad un tempo come “partner importante per la cooperazione quanto un rivale sistemico”.
Mentre, in relazione alle catene di approvvigionamento, la Commissione ritiene che le misure da adottare “possono comprendere elementi diversi, quali la diversificazione dell’offerta a livello nazionale e aziendale, le riserve strategiche e la costituzione di scorte, come anche l’accorciamento delle catene di approvvigionamento o l’aumento della produzione interna”.
Sul piano esterno si sottolinea come “la politica commerciale può svolgere un ruolo guida in questo contesto, ad esempio, sostenendo un commercio basato su norme, sviluppando partenariati reciprocamente vantaggiosi e promuovendo accordi commerciali multilaterali, plurilaterali e bilaterali con importanti effetti di ricaduta in altri settori politici oppure promuovendo il ruolo internazionale dell’euro”. Tutto ciò premesso, di rilievo appare la domanda n. 2, posta in consultazione: “quali iniziative dovrebbe intraprendere l’Ue, autonomamente o con altri partner commerciali, per aiutare le imprese, comprese le PMI, a valutare i rischi, nonché a rafforzare e diversificare le catene di approvvigionamento?” .
Dopo avere segnalato come, stanti le modalità con le quali “i paesi affrontano le conseguenze della crisi, vi è il rischio che la combinazione di interventi prescelta abbia una natura maggiormente protezionista, a scapito delle loro economie e dei consumatori, circostanza questa che metterebbe a rischio la ripresa globale…”. E come “di conseguenza, occorre compiere ogni sforzo per riformare l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ripristinarla come un forum efficace per sviluppare norme commerciali nuove e appropriate, garantirne l’attuazione e contribuire a risolvere le controversie”.
In tema di accordi commerciali, nel sottolineare come sia necessario “compiere maggiori sforzi per aiutare i nostri esportatori, in particolare le nostre PMI, a godere di tutti i vantaggi di tali accordi”, il documento propone due intriganti quesiti. Il n. 4, relativo a come potere utilizzare la nostra ampia rete di accordi di libero scambio (ALS) esistenti o accordi di libero scambio nuovi per migliorare l’accesso al mercato per gli esportatori, ed in particolare il n. 6, “in che modo la politica commerciale può sostenere la politica industriale europea rinnovata?”
Nel riconoscere poi che “le PMI tendono ad affrontare costi maggiori per prendere parte al commercio internazionale, principalmente in ragione delle difficoltà di accesso a informazioni su potenziali fornitori e partner commerciali in paesi terzi, nonché delle difficoltà di accesso ai finanziamenti”, con il quesito n. 7 si chiede in quali ambiti le PMI “hanno esigenze specifiche o incontrano sfide particolari cui si potrebbe rispondere con misure e sostegno in materia di politica commerciale e di investimento?”.
La Commissione infine, dopo avere ribadito che la crisi della COVID-19 ha “accelerato la rivoluzione digitale: il commercio elettronico, l’apprendimento online, il telelavoro e i servizi elettronici sono diventati elementi fondamentali della nostra società”, solleva anche una vibrante preoccupazione relativamente al “rafforzamento di politiche industriali assertive da parte di paesi terzi, in particolare nei settori ad alta tecnologia, di solito attraverso un massiccio sostegno da parte dello Stato”. Tematica cui si collegano sia l’esigenza di “procedere di pari passo con gli sforzi destinati a garantire che la nostra apertura non sia soggetta ad abusi da parte di pratiche commerciali sleali, ostili o non competitive”, sia la domanda n. 12, “oltre agli strumenti esistenti, quali la difesa commerciale, in che modo l’Ue dovrebbe affrontare pratiche commerciali coercitive, distorsive e sleali da parte di paesi terzi? Gli strumenti esistenti dovrebbero essere ulteriormente migliorati oppure si dovrebbero prendere in considerazione strumenti supplementari?”.

Limitazioni operative ed aspetti problematici ed istituzionali nella gestione del commercio Ue.
Un primo eclatante esempio di come la competenze della Commissione soffrano ancora di limitazioni ai fini di una gestione geopolitica penetrante ed ad ampio spettro del commercio, promana dal recente caso di non applicazione di nuovi dazi USA su vino, olio e pasta italiani. Intanto risulta che, ancora a seguito di apposita consultazione da parte dell’Ustr statunitense, tale non applicazione non sia necessariamente da ritenersi definitiva, mentre restano i dazi aggiuntivi del 25% su salumi, formaggi e liquori tradizionali. Secondariamente, è emerso che nuovi dazi sono previsti invece per le importazioni di prodotti alimentari da due altri paesi membri Ue: Francia e Germania.
Trattasi del frutto di una lodevole collaborazione politico-diplomatica da parte italiana, che avrà a tal fine operato anche sul canale della consultazione dell’Ustr negli USA, ma che dimostra come sulla tematica dei paventati aumenti di queste tariffe doganali l’Ue non possa intervenire per ragioni di natura politico-istituzionale. Si trattava , infatti, di nuove tariffe autorizzate dal WTO nell’ambito della disputa Boeing-Airbus, alla quale il settore agroalimentare italiano è completamente estraneo.
Tuttavia tale circostanza segnala l’esigenza di interventi di natura geopolitica relativi , ad un tempo, sia ad una rimodellazione della mission operativa del WTO, che alla inevitabilità di un collegamento funzionale (WTO-USA,Ue o altra nazione), ai fini di una compatibilità prospettica tra l’applicabilità delle norme sugli aiuti di stato e quella delle norme del WTO.
Infine rimane da delineare il tratto più delicato della materia in questione. Quello delle concessioni di natura geopolitica che i singoli stati membri Ue (e non la Commissione) sono disposti ad accettare per scongiurare ritorsioni da parte USA sull’applicazione delle digital tax. Già la Francia aveva fatto dietro front in presenza di paventati dazi su Champagne, formaggi e borse, sostenendo di volersi affidare in merito al risultato delle negoziazioni in sede OCSE. Negoziazioni che, però, sono state sospese a Giugno scorso dopo il ritiro della delegazione USA, perché avevano raggiunto un “punto morto”.
Forse, agendo in una ottica comunitaria, si potrebbero probabilmente raggiungere migliori risultati, poichè la proposta di una digital tax Ue dovrebbe rivelarsi più difficilmente ostacolabile mediante ritorsioni o penalizzazioni dei dazi verso singoli paesi. Ma la rilevanza geoeconomica della materia ha nel frattempo indotto a porla all’esame sia del G7 che del G20.