Gli uomini tunisini hanno bisogno della Costituzione per farsi amare dalle loro mogli?

di Enrico Oliari –

Ennesimo punto interrogativo sulla conduzione della Tunisia da parte del partito filo-islamico di Ennahda: in un turbinio che da mesi vede manifestazioni di disoccupati, di cittadini furibondi per il costo della vita, dei laici, delle sinistre, dei salafiti (con centinaia di arresti) e di chi è contro questo o contro quello, il governo guidato da Hamadi Jebali riesce in soli due giorni a negoziare un prestito di un miliardo di dollari, a sparare i lacrimogeni per disperdere le manifestazioni di protesta e a declassare le donne, che da cittadine “uguali” agli uomini diventano cittadine “complementari” degli uomini.
Ma andiamo con ordine: a dare la notizia della ricerca disperata di un miliardo di dollari è stato il ministro tunisino per la Cooperazione internazionale e gli investimenti, Riadh Bettaieb, il quale ha spiegato che gli aiuti chiesti all’Unione europea, alla Banca mondiale ed alla Banca africana serviranno a ripianare il bilancio dello Stato, dopo che il deficit ha raggiunto nel primo semestre del 2012 il 4,8 per cento del Pil e che le previsioni del governo sull’anno intero (il 6,6 per cento del Pil) saranno molto probabilmente superate.
Le manifestazioni di protesta, le ultime di una serie infinita che sta interessando ogni strato sociale del paese, sono oggi scoppiate a Sidi Bouzid, dove vi sono stati scontri con la polizia, a Kasserine, dove non vi sono stati incidenti di rilievo e dove i manifestanti pretendevano il pagamento dell’indennità ai familiari delle vittime della rivoluzione del 2011 e a Thina (nei pressi di Sfax) dove le proteste erano per l’assenza dell’acqua potabile e dove le Forze dell’ordine sono intervenute con i lacrimogeni.
In un quadro così allarmante, Ennahda è riuscito a gettare benzina sul fuoco, portando in strada anche le donne, non necessariamente femministe: il casus belli sta nell’incredibile aggettivo che vuole nella Costituzione del paese le donne non più “uguali”, ma “complementari” all’uomo.
Al di là dei timori più o meno giustificati di chi paventa una società patriarcale o di chi addirittura parla di un nuovo “Iran nordafricano” o di “Tunisia saudita”, sembrano deboli le spiegazioni addotte dalla vicepresidente dell’Assemblea costituente e deputato di Ennhada Meherzia Labidi-Maiza, la quale ha parlato di “voci o letture erronee del testo dell’articolo che fanno temere per i diritti delle donne, ma questi non verranno toccati e sarà assicurata l’uguaglianza tra i sessi”: l’aggettivo “complementare” non implica infatti il concetto di egalité ed a chi adduce astruse spiegazioni, andrebbe chiesto perché in Tunisia, visto che, come spiega Meherzia Labidi-Maiza, i diritti sono garantiti, gli uomini non sono complementari delle donne?
Non agli occhi dell’occidentale, ma a chi crede nella democrazia e nella libertà (e, si spera non a parole, ci credevano anche coloro che hanno lottato per deporre Ben Alì), tutti i cittadini sono uguali, senza distinzione di razza, di credo politico e religioso, di lingua e di sesso per cui quel complementare” stona ed è antistorico!
Si teme cioè che alle donne tunisine, tutelate già dal Codice del 1956 che proibisce la poligamia e stabilisce il diritto di divorziare, tocchi un futuro di dipendenza dal volere dei mariti, dei padri o dei fratelli; ironicamente ci si potrebbe chiedere se davvero gli uomini tunisini debbano ricorrere alla Costituzione per farsi amare dalle proprie mogli…
Le donne tunisine oggi protestano e si spera che quanto approvato oggi venga cassato dal voto finale dell’Assemblea plenaria.