Gli Usa e i minori, tra diritti violati e convenzioni non rispettate

di C. Alessandro Mauceri

Il Dipartimento di Sicurezza Interna degli Stati Uniti ha riferito che, nell’arco temporale che copre il periodo 19 aprile e 31 maggio 2018, circa 2mila bambini sono stati separati dalle proprie famiglie alla frontiera statunitense. Secondo alcuni gruppi di attivisti, questo numero potrebbe essere sottostimato. Possibile che cose simili siano accadute proprio nel paese paladino dei diritti umani fondamentali (al punto da scatenare per questo guerre in diversi continenti)? A ben guardare però la situazione potrebbe essere ben più peggiore.
Per capirlo è necessario fare un passo indietro nel tempo, fino al 20 novembre 1989. Quel giorno presso la sede delle Nazioni Unite venne messa ai voti la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Il documento, frutto di un lavoro lungo quasi un decennio, venne approvato senza alcun voto contrario da parte dei presenti. L’origine di questo documento era ancora più “antica”: risale, infatti, alla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, nota anche come Dichiarazione di Ginevra, redatta nel 1924 dalla Società delle Nazioni per tentare di limitare in futuro i danni causati dalla Prima Guerra Mondiale a molti bambini. In occasione dell’istituzione delle Nazioni Unite la Dichiarazione era stata poi riapprovata il 20 novembre 1959, anche in questo caso all’unanimità e senza astensioni. Ma aspetto tutt’altro che secondario, si trattava di un documento privo di obbligatorietà e non vincolante per i firmatari.
Al contrario il documento firmato nel 1989, proprio in quanto “Convenzione”, vincola gli stati firmatari a ratificarlo, ovvero a convertirlo in legge e a rispettarlo per non violare il diritto internazionale. Diventata operativa in meno di un anno, un tempo record, la Convenzione di New York divenne fondamentale e vincolante per tutti i paesi firmatari. Quale sia il modo in cui sono trattati i minori in molti paesi non è un segreto. Molti di quelli che hanno firmato e poi ratificato il documento non rispettano affatto quanto previsto.
Ma quello che sorprende forse ancora di più è un’altra cosa. Ad oggi sono 196 gli stati che hanno firmato questa Convenzione, ultima la Somalia, nel 2015. Per questo pare che questo sia il trattato di diritti umani con il maggior numero di ratifiche: tutti gli stati del mondo hanno accettato di rispettarne i dictat. Tranne due: la Somalia (appunto ultima firmataria) e, sorpresa delle sorprese, proprio i paladini dei diritti umani in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America. Eppure proprio gli USA erano stati parte attiva nella stesura del documento finale, che pure avevano firmato nel 1995.
Nessuno dei presidenti che da allora si sono succeduti alla Casa Bianca, da Clinton a Bush fino a Obama e, ovviamente, a Trump, ha provveduto a ratificare la Convenzione dei diritti del Fanciullo. Nel 1995, Clinton promise di farlo, ma senza successo. Lo stesso Obama, paladino dell’ambiente e tanto sensibile al sociale al punto di aver definito imbarazzante la mancata ratifica, non ci riuscì nonostante il doppio mandato.
Si tratta di una mancanza che torna scomoda. Specie dopo aver visto il trattamento riservato a migliaia di bambini provenienti dai paesi centro e sudamericani. La Convenzione, infatti, ribadisce che “Gli stati parte (della Convenzione) vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”. Separare migliaia di bambini dai propri genitori solo perché avevano cercato di entrare in un paese straniero in cerca di un futuro migliore per i propri figli non sembra proprio giustificabile. Tanto più che la stessa Convenzione di New York prevede “l’obbligo che incombe agli Stati parti in virtù del paragrafo 1 dell’art. 9, ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare sarà considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza”.
La verità è che, come dimostra quanto avviene proprio in questi giorni a proposito dell’accordo sul nucleare, da sempre gli Stati Uniti d’America si guardano bene dal sottoscrivere e ratificare qualsiasi cosa che possa in qualsiasi modo vincolare i propri interessi economici, sociali e di ogni genere (gli Stati Uniti non hanno ratificato molti accordi internazionali per i diritti umani. http://indicators.ohchr.org/).
A questo si aggiunge che al di là delle decisioni, sbagliate, tanto da essere state impugnate anche dalla magistratura americana, a proposito dei figli dei migranti, le leggi vigenti negli Stati Uniti d’America in molti casi non sarebbero del tutto in linea con quanto prevede la Convenzione di New York. Ad esempio, recentemente alcuni istituti del Texas hanno reintrodotto le punizioni corporali per gli alunni indisciplinati – sebbene subordinato ad una preventiva “liberatoria” da parte dei genitori. E questo è in palese violazione dell’articolo 37 della Convenzione di New York.
È per questo che i “paladini dei diritti umani” in tutto il pianeta si guardano bene dal ratificare la Convenzione dei diritti del fanciullo. Ma naturalmente di questo non parla mai nessuno, né le Nazioni Unite né le maggiori organizzazioni mondiali per la tutela dei diritti dei minori né anto meno i media.