di Giuseppe Gagliano –
La Grecia volta pagina. Dopo più di un decennio segnato da austerità, tagli, commissariamenti e proteste di piazza, il governo di Kyriakos Mitsotakis annuncia un investimento senza precedenti: 25 miliardi di euro per ristrutturare in profondità l’apparato militare nazionale nell’arco dei prossimi dodici anni. Non è solo un piano di spesa. È una dichiarazione di principio. È un atto politico. È una presa di posizione nel contesto di un’Europa che si scopre fragile, di una NATO in ridefinizione, e di un Mediterraneo sempre più instabile.
Atene non è una potenza regionale, ma è geograficamente collocata nel cuore delle turbolenze. Balcani a Nord, conflitti latenti e guerre dimenticate; Medio Oriente a Est, con le incognite di Siria, Libano, Israele, Iran. E la Turchia sempre lì, ingombrante, ambiziosa, imprevedibile. Non è un caso che Mitsotakis parli di “scudo di Achille” e di minacce nuove, ibride, tecnologiche, asimmetriche. La Grecia guarda oltre l’artiglieria e i carri armati: parla di droni, cyber-difesa, intelligenza artificiale. Parla di deterrenza moderna. E lo fa richiamando l’orgoglio nazionale e la necessità di non essere il vaso di coccio nella giungla della geopolitica contemporanea.
Nel suo discorso, il premier greco ha lanciato una stoccata chiara a Bruxelles: l’Europa, ha detto, è stata “geograficamente ingenua”. Tradotto: mentre l’UE si perdeva tra regole fiscali e politiche energetiche, altri, USA, Russia, Cina, Turchia, ridefinivano gli equilibri globali. Ora tocca recuperare. Ma Mitsotakis non vuole solo spendere: vuole industrializzare la difesa. Una parte importante del piano, infatti, prevede il coinvolgimento diretto delle industrie greche nei programmi d’armamento. Non un dettaglio, ma un ritorno al concetto strategico di “autonomia militare”, oggi rilanciato anche da Francia e Germania. L’idea è semplice: rafforzare la sicurezza nazionale e allo stesso tempo rilanciare l’economia, creare occupazione, attrarre investimenti. La difesa come motore industriale, come volano per la crescita. Un’impostazione che ricorda le parole di Emmanuel Macron sulla “sovranità europea”.
C’è poi il fattore atlantico. L’alleanza NATO resta il perno della sicurezza europea, ma l’ombra lunga di Donald Trump, tornato protagonista della politica statunitense, agita gli alleati. Washington chiede da anni una maggiore partecipazione finanziaria europea, e Atene, in proporzione al PIL, è già il primo contributore tra i Paesi UE. Il piano greco può essere letto anche come un segnale verso gli USA: “siamo affidabili, siamo presenti, siamo pronti a fare la nostra parte”. In cambio, Atene si aspetta garanzie, partnership tecnologiche, e un rafforzamento della cooperazione bilaterale.
Tutto questo accade mentre sul dossier di Cipro si registrano segnali di distensione, ma nessuna svolta. I contatti tra i leader delle due comunità sono ripresi, ma restano inconciliabili le posizioni di fondo: la Turchia e la Repubblica Turca di Cipro del Nord chiedono una soluzione a due Stati, mentre Nicosia e l’UE insistono sulla federazione. Nel mezzo la Grecia osserva e si prepara. Il rafforzamento militare annunciato da Mitsotakis serve anche a questo: mandare un messaggio ad Ankara. La politica estera turca sotto Erdoğan si è fatta sempre più assertiva: Libia, Siria, Mediterraneo orientale, relazioni con la Russia. Atene non può permettersi di restare indietro, né di subire.
Il rischio ora è quello di alimentare una nuova corsa agli armamenti nel Mediterraneo orientale. Anche la Turchia, da anni, investe massicciamente nel settore militare, con progetti nazionali che spaziano dai droni all’industria navale. La presenza navale turca è già una realtà nel quadrante libico e nel Mar Egeo. La Grecia risponde rilanciando, ma il pericolo è che la tensione tra i due Paesi, ciclica e mai risolta, si incanali su un binario più pericoloso. Anche perché il contesto è mutato: alla rivalità storica si sommano oggi le nuove dinamiche energetiche (gas nel Mediterraneo), i cambiamenti nelle alleanze regionali e l’attivismo di attori esterni come Russia e Cina.