di Giuseppe Gagliano –
Il recente terremoto politico in Groenlandia, con la vittoria del partito Demokraatit e del suo leader Jens Frederik Nielsen, non è solo un evento locale, ma un tassello di una più ampia partita geopolitica che coinvolge Stati Uniti, Danimarca e l’intera regione artica. Dietro la retorica dell’indipendenza e del pragmatismo economico, si intravede uno scontro di interessi che riguarda risorse naturali, rotte commerciali e nuove strategie di potenza nel nord del mondo.
Quando nel 2019 Donald Trump lanciò l’idea di comprare la Groenlandia, l’ipotesi fu accolta tra il sarcastico e il surreale. Eppure, dietro la boutade presidenziale c’era una logica strategica. La Groenlandia, con la sua posizione chiave tra l’Atlantico e l’Artico, le sue immense riserve minerarie e la crescente importanza delle rotte marittime settentrionali, è un obiettivo primario per chiunque voglia rafforzare il proprio peso nella regione.
Trump voleva escludere la Danimarca dalla gestione groenlandese e instaurare un rapporto diretto con Nuuk, sperando di trasformare l’isola in una sorta di avamposto americano nel Nord. L’idea non era nuova: già durante la Seconda guerra mondiale, Washington aveva preso il controllo della base aerea di Thule e non ha mai smesso di monitorare la situazione locale.
La vittoria di Nielsen e del suo partito rappresenta, però, un rifiuto di quella visione americana. Non tanto perché Demokraatit escluda un giorno l’indipendenza dalla Danimarca, quanto perché rifiuta di accelerare il processo in un modo che potrebbe lasciare la Groenlandia vulnerabile agli appetiti esterni. Il messaggio è chiaro: Nuuk non vuole passare da una dipendenza (quella da Copenaghen) a un’altra (quella da Washington).
Il risultato elettorale rappresenta una sconfitta per il governo uscente, guidato dal premier indipendentista Mute Egede, il quale sperava di imprimere una svolta più netta verso la piena autonomia groenlandese. Il suo partito, Inuit Ataqatigiit, e i socialdemocratici di Siumut hanno perso consensi a favore di una linea più prudente, che vede l’indipendenza come un traguardo lontano e da costruire senza azzardi.
La Danimarca dal canto suo osserva con sollievo. Se Nuuk avesse scelto di forzare la mano verso l’indipendenza, il governo di Copenaghen si sarebbe trovato di fronte a un dilemma: come mantenere un’influenza su un territorio che sta cercando di sganciarsi senza però voltargli completamente le spalle?
I rapporti tra Danimarca e Groenlandia restano complessi. Nuuk gode di un’autonomia ampia, ma dipende ancora economicamente da Copenaghen, che garantisce circa mezzo miliardo di euro l’anno in sussidi e mantiene il controllo su difesa e politica estera. Un taglio improvviso di questi legami potrebbe destabilizzare la fragile economia groenlandese, come dimostra la controversia sulla legge sulla pesca che ha scatenato il voto di protesta a favore dei Demokraatit.
Oltre agli equilibri politici, il vero tema in gioco è l’accesso alle risorse groenlandesi. L’isola è ricca di terre rare, uranio e minerali strategici fondamentali per le tecnologie avanzate e la transizione energetica globale. Negli ultimi anni, la Cina ha tentato di entrare nel settore minerario locale, finanziando progetti e cercando di stabilire una presenza diretta, incontrando però resistenze sia da parte della Danimarca che degli Stati Uniti.
Se da un lato gli Stati Uniti vogliono evitare che Pechino guadagni influenza nella regione, dall’altro è evidente che anche Washington ha i suoi piani: il Dipartimento di Stato americano ha già avviato programmi di investimento nel settore minerario groenlandese per contrastare la penetrazione cinese. Il nuovo governo di Nielsen dovrà quindi muoversi con cautela, bilanciando le pressioni esterne e cercando di evitare che la Groenlandia diventi il nuovo terreno di scontro tra le superpotenze.
Oltre alla questione delle risorse, la Groenlandia è strategica per le rotte commerciali artiche. Con il progressivo scioglimento dei ghiacci, il Passaggio a Nord-Ovest e la Rotta del Mare del Nord stanno diventando alternative sempre più concrete per il trasporto marittimo internazionale. Questo significa che Nuuk, oltre a essere una riserva mineraria di importanza globale, si trova al centro di una nuova mappa dei commerci internazionali.
La Russia, che ha già potenziato la sua presenza militare nell’Artico, osserva con attenzione. Mosca ha da tempo sviluppato una strategia per dominare le rotte artiche e vedere gli Stati Uniti rafforzare la loro posizione in Groenlandia non fa che accrescere le tensioni nella regione. La NATO, dal canto suo, ha recentemente intensificato le esercitazioni militari nel Nord Atlantico, segnale di una crescente competizione geopolitica in un’area finora considerata marginale.
Il nuovo governo groenlandese dovrà rispondere a una serie di domande cruciali:
Quanto velocemente spingersi verso l’indipendenza? Se la Groenlandia si affretta a staccarsi dalla Danimarca, rischia di trovarsi vulnerabile agli interessi di USA, Cina e altre potenze.
Come gestire le risorse naturali? Evitare di diventare una colonia mineraria di qualcun altro sarà una delle sfide più delicate.
Quale ruolo giocare nell’Artico? Essere al centro di uno scacchiere geopolitico in trasformazione significa dover definire una strategia chiara e coerente.
Jens Frederik Nielsen avrà il difficile compito di navigare tra questi problemi senza compromettere la stabilità dell’isola. Per ora ha vinto il voto, ma il vero test sarà la capacità di mantenere la Groenlandia padrona del proprio destino senza finire schiacciata tra le ambizioni delle grandi potenze.
L’indipendenza potrebbe arrivare, un giorno. Ma il messaggio di queste elezioni è chiaro: la Groenlandia non vuole essere un semplice pedone nella partita geopolitica dell’Artico. E, soprattutto, non intende essere la prossima scommessa di Donald Trump.