Groenlandia. La partita dell’Artico: Trump rilancia, Putin osserva, l’Europa tace

di Giuseppe Galiano

Mentre il mondo guarda all’Ucraina e al Mar Rosso, un altro fronte geostrategico si riaccende ai confini del silenzio polare. La Groenlandia, isola immensa e scarsamente popolata ma ricca di risorse e strategicamente cruciale per l’Artico, torna nel mirino di Washington. E se Trump ripropone apertamente l’idea dell’annessione — travestita da “interesse nazionale” — Putin evita lo scontro diretto, ma lancia messaggi inequivocabili.
Donald Trump non ha mai nascosto la sua ossessione per la Groenlandia. Già nel 2019 propose di acquistarla dalla Danimarca, provocando un gelo diplomatico. Oggi, da presidente rieletto, torna alla carica. Stavolta non con offerte economiche, ma con pressioni indirette: dichiarazioni ambigue, visite semi-ufficiali, e la costruzione di una narrativa strategica incentrata sulla sicurezza artica e sullo sfruttamento delle terre rare.
La visita del vicepresidente Vance alla base militare di Pituffik non è un semplice atto simbolico. È un messaggio: gli Stati Uniti vogliono restare e dominare l’Artico. Il fatto che abbiano evitato di incontrare i residenti groenlandesi ostili all’annessione non cambia il senso profondo dell’operazione: consolidare la presenza americana e testare la reazione internazionale.
Il Cremlino, con la consueta maestria nella diplomazia indiretta, sceglie un tono freddamente analitico. “La questione non ci riguarda direttamente”, dice Putin. Ma nel dirlo ricorda che l’interesse americano per la Groenlandia non è una follia del presente, bensì una strategia coerente, risalente al XIX secolo e rafforzata dopo la Seconda guerra mondiale.
Il vero messaggio di Mosca, però, arriva poco dopo: la Russia rafforzerà la sua postura militare nell’Artico, modernizzerà le infrastrutture e non tollererà intrusioni. Perché, anche se non lo dice apertamente, Putin sa benissimo che, se Washington mette le mani sulla Groenlandia, l’intero equilibrio dell’Artico cambia. E non in favore di Mosca.
E l’Europa? Assente, come spesso accade quando la posta in gioco non riguarda direttamente Bruxelles ma coinvolge territori di uno Stato membro (la Danimarca) che l’UE preferisce non contraddire apertamente. Eppure, l’Artico riguarda anche l’Europa. Non solo per la vicinanza geografica, ma per le rotte commerciali, il riscaldamento globale e la crescente militarizzazione.
L’inerzia europea diventa ancora più evidente se paragonata all’attivismo delle grandi potenze. Mentre USA e Russia consolidano la loro influenza, l’UE continua a ripiegarsi su iniziative burocratiche e dichiarazioni di principio. La Groenlandia rischia di diventare un altro dossier in cui l’Europa subisce le decisioni altrui senza sedersi al tavolo da protagonista.
Ciò che si gioca in Groenlandia è molto più di una disputa territoriale. È un banco di prova per il futuro dell’Artico, per le nuove catene industriali legate alle terre rare, per il posizionamento militare delle superpotenze. L’atteggiamento di Trump è aggressivo ma coerente. Quello di Putin è prudente ma determinato. Quello dell’Europa è evanescente.
E intanto, la Groenlandia stessa si ritrova al centro di pressioni incrociate: gli Stati Uniti che offrono protezione (a caro prezzo), la Danimarca che cerca di mantenere un equilibrio sempre più fragile, la Russia che monitora e prepara contromisure, e la popolazione locale che rifiuta apertamente l’idea di essere “in vendita”.
È qui che la diplomazia dovrebbe intervenire. Perché se davvero si vuole evitare che l’Artico diventi il prossimo teatro di conflitto, serve una visione di lungo periodo. Ma finché le cancellerie europee continueranno a ignorare questi segnali, i destini del nord estremo verranno decisi altrove.