Guatemala. Dal voto presidenziale pericoli per la democrazia?

di Francesco Giappichini –

La comunità internazionale attende con ansia le elezioni presidenziali in Guatemala del 25 giugno. Non solo perché varie istituzioni, cioè il Dipartimento di Stato statunitense, le Nazioni Unite e l’Unione Europea, hanno condannato l’esclusione di alcuni candidati; ma anche perché autorevoli analisti segnalano il pericolo di una deriva autoritaria, di una nuova autocrazia, o “democracia de fachada”, nell’area. Il voto si svolgerà in due turni (il secondo è previsto per il 20 agosto), e il successore del capo di stato conservatore, Alejandro Giammattei, s’insedierà il 14 gennaio. Secondo i sondaggi, dovrebbero accedere al ballottaggio la conservatrice Zury Ríos (in testa) e la riformista Sandra Torres; ma va segnalata la costante crescita dell’imprenditore e tiktoker, Carlos Pineda, collocabile nel fronte moderato.
Ríos è figlia dell’ex presidente-dittatore Efraín Ríos Montt, che dopo un golpe militare guidò il Paese tra il 1982 e il 1983. Il generale, nei suoi 16 mesi al potere, attuò una feroce repressione contro gli avversari politici, e la popolazione maya che supponeva connivente. Nel ’13 fu condannato a 80 anni di reclusione per genocidio e lesa umanità, ma la sentenza fu poi annullata per motivi formali. De facto però i magistrati subirono pressioni da gruppi fedeli a Ríos Montt, che minacciarono l’intervento di paramilitari. Il principale cavallo di battaglia della figlia, favorita per la vittoria, è l’ordine pubblico: si propone l’adozione di metodi repressivi sul modello salvadoregno.
Torres, moglie del defunto presidente Álvaro Colom, è al terzo tentativo: alcuni analisti fanno notare che sebbene la sua formazione (Unidad nacional de la esperanza) faccia parte dell’Internazionale socialista, di recente starebbero prevalendo i toni populisti. Comunque la proposta-cardine dell’ex primera dama è il forte investimento nell’istruzione. Come accennato, le sentenze emesse dal Tribunal supremo electoral, che hanno definito il novero dei candidati, sono state molto criticate. In primis si è puntato il dito contro l’ammissione di Ríos: la Costituzione proibisce ai familiari di golpisti l’accesso a cariche nell’Esecutivo, tanto che la sua candidatura fu cassata sia nel ’15 sia nel ’19.
Poi è finita sotto accusa l’esclusione del Movimiento para la liberación de los pueblos (Mpl), quarto nei sondaggi. Tra l’altro l’Mpl, ascrivibile alla sinistra movimentista, era guidato dall’unica candidata indigena, Thelma Cabrera. A stupire sono state però le ragioni pretestuose del provvedimento. Il candidato vicepresidente, l’ex Procurador de los derechos humanos, non sarebbe apparso in regola con adempimenti amministrativi, dopo una denuncia presentata dal suo stesso successore come Procurador: va da sé, una personalità vicina all’alleanza di Governo. A essere escluso è stato poi il liberale Roberto Arzú, per aver iniziato anzitempo la campagna elettorale. Gli eventi hanno rinvigorito gli attacchi all’Esecutivo: vari settori della società civile lo accusano di esser garante del cosiddetto “pacto de corruptos”, ossia un tacito accordo tra politica e imprenditori per frenare le iniziative della Cicig (Comisión contra la impunidad en Guatemala) ora estinta, e per preservare criminalità organizzata, impunità e corruzione. Un obiettivo che si perseguirebbe appunto eliminando i candidati più scomodi, e creando disillusione nell’opinione pubblica, ma soprattutto aggredendo l’indipendenza di magistratura e istituzioni di garanzia e controllo.