di Giuseppe Gagliano –
Un capo banda di Port-au-Prince ha accusato la comunità vudù di aver fatto un incantesimo per aver causato una malattia al figlio, il quale è poi morto. Il boss si è voluto così vendicare, e nella giornata di ieri nella capitale haitiana si è svolta una vera e propria mattanza, con almeno 184 persone appartenenti alla comunità vudù, di cui buona parte anziane, trucidate dai suoi sgherri.
Immediata la condanna dell'”orribile violenza” da parte del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ma il dato di fatto è che la comunità internazionale non riesce ad intervenire in modo fattivo nel paese per riportare ordine e dare forza alle autorità civili.
Haiti, lacerata da decenni di instabilità politica e miseria, sprofonda ogni giorno di più nell’abisso di una violenza incontrollabile. Il massacro di Cite Soleil è solo l’ultimo orrore in un paese che sembra condannato a essere teatro di tragedie senza fine. L’uccisione di anziani, accusati di stregoneria dal capo della banda Jean Monel Felix, alias “King Micanor”, non è solo un atto di brutale follia, ma un simbolo di come l’assenza di un’autorità statale abbia lasciato spazio a una regressione sociale e politica devastante.
Il crollo delle istituzioni ha trasformato Haiti in un terreno fertile per le bande criminali, che non si limitano a controllare interi quartieri, ma dettano legge su chi vive e chi muore. La coalizione Viv Ansanm, guidata dall’ex poliziotto Jimmy “Barbecue” Cherizier, non è solo un aggregato di criminali: è l’espressione di una struttura paramilitare che sfida apertamente qualsiasi autorità residua. Il coinvolgimento di ex membri delle forze dell’ordine, unito alla complicità o all’inazione dello Stato, dimostra quanto la corruzione e l’impunità abbiano minato ogni possibilità di ripresa.
Di fronte a una crisi umanitaria e di sicurezza senza precedenti, la risposta della comunità internazionale è stata debole e frammentata. La missione internazionale guidata dal Kenya, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si è rivelata finora inefficace. Con solo 400 agenti sul campo e una cronica mancanza di risorse, l’intervento non ha fatto nulla per arginare l’escalation della violenza.
Il traffico di armi dagli Stati Uniti verso Haiti, nonostante l’embargo internazionale, aggrava ulteriormente la situazione, mostrando come gli interessi economici e politici prevalgano sul dovere morale di porre fine al massacro. Le Nazioni Unite, da parte loro, sembrano incapaci di trovare una strategia efficace per fermare il caos, limitandosi a denunce che non hanno alcun impatto sul terreno.
Le bande non si limitano a spargere sangue: bloccano il flusso di beni essenziali, estorcono denaro, rapiscono, violentano. Le conseguenze per la popolazione sono catastrofiche. Quasi 5 milioni di haitiani affrontano la fame, le strutture sanitarie sono paralizzate e il sistema giudiziario è inesistente. L’impunità è la norma, con oltre l’80% dei detenuti che non ha mai avuto un processo.
Le immagini delle prigioni sovraffollate e insalubri, dove i detenuti muoiono di fame e malattie, sono uno specchio di un paese abbandonato a se stesso. Ma anche al di fuori delle mura carcerarie, la vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile e senza legge.
Il caso di Haiti è emblematico di come il mondo lasci andare alla deriva i paesi più vulnerabili, considerandoli irrilevanti nello scacchiere geopolitico. Eppure, l’instabilità ad Haiti ha implicazioni che vanno ben oltre i Caraibi. La crisi alimenta il traffico di armi, droga e persone, con effetti a catena che colpiscono anche gli Stati Uniti e l’America Latina.
Ma finché l’interesse internazionale sarà dettato da calcoli economici e strategici, anziché da un’autentica volontà di ricostruzione, Haiti rimarrà intrappolata in un circolo vizioso di violenza e povertà. La comunità internazionale deve agire con urgenza, non con interventi simbolici o a metà, ma con una strategia complessiva che includa il disarmo delle bande, la ricostruzione delle istituzioni e il supporto economico alla popolazione.
Haiti non ha bisogno di promesse vuote, ma di un’azione concreta che le restituisca dignità e speranza. Senza una svolta radicale, il massacro di Cite Soleil sarà solo uno dei tanti capitoli di una tragedia infinita.