I cambiamenti climatici mutano gli equilibri del mondo

di Marco Corno

I cambiamenti climatici di questi ultimi decenni stanno modificando gli equilibri mondiali in modo irreversibile. Il problema sorge proprio perché l’ordinale internazionale fondato sugli stati è un sistema diventato progressivamente chiuso durante la fase imperiale in Europa (1878-1914) quando la solidità del Secondo Reich di Bismarck permise alle potenze coloniali europee di conquistare gli ultimi territori extraeuropei, completando la “conoscenza geografica” come teorizzò Mackinder:” La nostra conoscenza geografica è ormai completa (…) il libro dei pionieri è finito (…). Per di più, la mappa del mondo era stata appena tracciata e già il possesso di tutta la terra emersa era stato rivendicato. In riferimento alla interconnessione delle cose sulla superficie del globo in senso politico, militare, economico o fisico. Siamo di fronte ora per la prima volta a un sistema chiuso (closed system)” (1).
La consapevolezza di un mondo chiuso con risorse finite ha dato il via ad un accaparramento scellerato per tutto il XX secolo di cui noi oggi paghiamo le conseguenze.
Tuttavia i cambiamenti climatici “sciolgono” i limes geopolitici del mondo post- coloniale aprendo nuovi spazi da esplorare come il Polo Nord e il Polo Sud.
Le regioni polari artiche sono in gran parte mari ghiacciati, le poche terre emerse non sono nullius ma soggette alla sovranità di diversi stati, per esempio la Norvegia sull’arcipelago delle Svalbard.
Nel 1996 fu istituito il Consiglio Artico allo scopo di favorire la cooperazione tra i paesi che si affacciavano su di essi (in materia di ricerca, salvataggio e inquinamento marino) ma è chiaro che lo scioglimento dei ghiacciai avvia una corsa alla conquista di nuove acque territoriali e gli stati affacciati sul circolo polare articolo (Russia, Canada, USA, Norvegia, Finlandia, Islanda, Svezia, e Danimarca (Groelandia) vorranno sicuramente garantirsi una propria area di influenza cambiando, mutatis mutandis, l’ordine regionale. Inoltre il Polo Nord è un’area geografica sui generis la cui peculiarità annulla la distanza geografica tra le grandi potenze (USA, Russia, Cina) che si ritrovano quasi face to face, aumentando il pericolo di un’escalation diretta dalle conseguenze mondiali. Damien Degeorges, esperto geopolitico francese dei paesi del Nord Europa, parla di una guerra “fredda” (2) tra Cina e USA per l’accaparramento delle risorse della Groenlandia. La Cina nell’ultimo anno è riuscita a penetrare sempre di più nel business energetico comprando diverse quote azionarie di grandi industrie estrattive come reazione agli investimenti infrastrutturali americani in aeroporti. Chiaramente i grandi interessi affacciano anche la Russia nella regione che occupa il 50% del Circolo Polare Artico. L’aumento delle temperature crea nuove rotte commerciali marittime alternative, molto più veloci in determinate stagioni dell’anno, contigue alle coste artiche russe che potrebbero fare di Mosca il principale hub mondiale del commercio nella regione. Di conseguenza il potere marittimo russo sarà destinato ad aumentare come condicio sine qua non per l’annessione di nuove acque territoriali, accrescendo la propria influenza nella regione.
Le nuove conquiste però rischiano di creare tensioni molto pericolose tra gli stati qualora si verificassero incidenti tra navi commerciali o militari oppure controversie riguardo le nuove acque territoriali a causa dell’apodittico riarmo per il dominus dell’Artico non solo navale ma anche missilistico. Non è sconsiderato credere alla costruzione di basi militari nell’artico da parte dei cinesi, tipo isolotti artificiali come è in corso nel Mar Cinese Meridionale, in grado di dispiegare missili a medio raggio antinave o di veri e propri porti militari in grado di garantire un dispiegamento di forze immediato ed efficiente.
Le tensioni nel Polo Nord mutano i rapporti anche all’interno dell’Alleanza Atlantica costretta forse ad una radicale trasformazione. Infatti molti paesi come l’Islanda, il Canada, la Danimarca e la Norvegia otterranno sempre più prestigio ed importanza nelle contese artiche e il rischio di una scissione interna è molto elevata.
Il cliché artico si ripercuote non solo regionalmente ma a livello mondiale. Il distacco degli iceberg sta provocando un aumento del livello del mare considerevole: nel 2030 il mar Glaciale artico rischia di essere in gran parte privo di ghiacci nella stagione estiva causando un aumento considerevole del livello dei mari entro il 2100. Intere zone costiere e città del mondo rischiano di finire sott’acqua come la città di New York, le zone costiere della Cina, la città di Alessandria in Egitto e il Qatar costringendo ad un ricollocamento nazionale della popolazione. Addirittura, le isole Fiji, coordinatrici della COP-23 sul clima del 2017 a Bonn, scompariranno dalle cartine geografiche così come il Bangladesh (un paese di all’incirca 160 milioni di abitanti) generando un grandissimo flusso di migranti nei paesi limitrofi.
Ma i mutamenti climatici oltre a “modellare” la morfologia del mondo generano anche problemi di distribuzione idrica. Il cardinale Bertone, ex segretario di Stato della Santa Sede, mise in guardia in occasione della giornata mondiale dell’acqua del 2007 su tale fenomeno:” E’ una responsabilità inoltre che deve essere condivisa ed assurge ad imperativo morale e politico in un mondo che dispone di livelli di conoscenza e di tecnologie capaci di porre termine alle situazioni di penuria di acqua e alle loro drammatiche conseguenze, che interessano soprattutto le regioni a più basso reddito, nelle quali l’accesso all’acqua può spesso scatenare veri e propri conflitti (…)” (3). In effetti nel corso del XX secolo si sono combattute diverse guerra per l’acqua dolce in particolare nel 1962 scoppiò un conflitto tra Cina e India per l’accaparramento dei ghiacciai sull’Himalaya, il cui impatto diede il colpo di grazia al movimento dei non allineati. Al giorno d’oggi l’esondazione dei fiumi Koshi e Gandaki, a causa delle alluvioni sempre più intense, hanno inasprito tensioni tra la Cina, l’India, il Nepal e il Bangladesh con queste ultime che accusano l’India di aver costruito dighe abusive con lo scopo esplicito di provocare esondazioni nei paesi confinanti. Il collasso idrico dell’India, accentuato dal rapido aumento della popolazione, spinge la nazione ad un rapace approvvigionamento idrico creando tensioni anche con il vicino Pakistan per il controllo dell’Indo.
Anche la Cina a causa del grande processo di desertificazione delle sue regioni interne, determinato anche in gran parte dalla deforestazione degli anni’80, si trova costretta a ricercare acqua dolce all’estero stringendo rapporti proficui con la vicina Russia al fine di cooperare nella gestione dei grandi bacini idrici della Siberia.
In Africa la situazione è sempre più complessa perché i conflitti non solo aumentano a causa del processo di desertificazione ma le stesse “migrazioni ambientali” diventano più frequenti, minando ulteriormente la già fragile struttura degli stati africani. Nella zona del Corno d’Africa (negli stati dell’Eritrea, Somalia e Etiopia) la scarsità di acqua acuisce la diatriba tra organizzazione terroristiche e i governi dittatoriali scatenando guerre civili tra terroristi e governi corrotti. La guerra civile in Yemen, considerata la crisi umanitaria più grave dopo quella della seconda guerra mondiale, ha fatto proliferare Al-Qaeda nella parte sud-est del paese tra i contadini che lamentano forti scarsità d’acqua per i propri raccolti.
A livello mondiale la decisione del presidente degli USA Donald Trump di uscire dall’accordo sul clima di Parigi mette a dura prova la sostenibilità dell’America sempre più martoriata dai mutamenti climatici. In California la grande siccità ha causato incendi devastanti danneggiando irreparabilmente l’ambiente, così come gli uragani degli ultimi due anni, sempre più frequenti e sempre più violenti, mettono a dura prova non solo il benessere delle persone ma anche la stessa economia americana.
Considerando che sul nostro pianeta il 97,5% dell’acqua è salata mentre solo il 2,5% è dolce, in gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari, e di questo 2,5% soltanto lo 0,5% è a disposizione delle persone, il rischio di grandi conflitti per l’acqua sono altissimi, senza contare che quest’ultima viene utilizzata come mezzo di pressione geopolitico nelle contese internazionale, il che rende la situazione sempre più rischiosa. Ne scaturisce una nuova campagna di accaparramento dell’oro blu definita da Emanuel Bompan e Marirosa Ianelli water grabbing (4) dei bacini idrici più ricchi, come la Patagonia argentina, rischiando di distruggere non solo interi stati ma soprattutto interi ecosistemi.
E’ fondamentale quindi promuovere, più che la cosiddetta human security, una water security che metta al centro ancor prima che l’uomo l’ambiente perché è solo la promozione di una cooperazione mondiale sull’acqua che garantirà un futuro prospero al nostro pianeta, sempre che non sia già troppo tardi.
Papa Francesco lo spiega molto bene: ”Mi chiedo se in questa terza guerra mondiale a pezzi siamo in cammino verso la terza guerra mondiale per l’acqua”.

Note:
1 – Paolo A. Dossena, Lo scienziato e lo sciamano: Mackinder, Hitler e l’isola del mondo, 2011, Lindau s.r.l., p.138.
2 – Damien Degeorges, Guerra fredda al polo nord (Internazionale n. 1284, Guerra fredda al polo nord), 2018.
3 – Tarcisio Bertone, La diplomazia pontificia in un mondo globalizzato, 2013, Libreria Editrice Vaticana, p.433.
4 – Emanuele Bompan è un giornalista ambientale e geografo mentre Marirosa Iannelli è specializzata in cooperazione internazionale e water management ed è anche ricercatrice presso la London School of Economics. Insieme hanno scritto un libro dal titolo: “WATER GRABBING: Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo”.