Il delitto Matteotti: l’interpretazione “socioeconomica” di Gramsci

di Yari Lepre Marrani

Il delitto Matteotti ossia il rapimento e l’assassinio di Giacomo Matteotti, deputato socialista del Regno d’Italia, commesso il 10 giugno 1924 a Roma, ha avuto molteplici interpretazioni storico – politiche e costituisce un passo decisivo in quella che è stata la lenta e graduale instaurazione del regime fascista in Italia. Considerati i singoli passaggi politici e legislativi compiuti da Mussolini a seguito della Marcia su Roma, l’instaurazione del regime fascista appare più come una lenta evoluzione che come una rivoluzione classica; un’evoluzione che, ancora nel 1931 – anno in cui furono definitivamente sancite le corporazioni per la creazione dello Stato sindacale corporativo fascista – pareva in essere e non ancora terminata.
L’assassinio di Matteotti è diventato un simbolo della violenza fascista che, una volta raggiunto il potere, usò ogni mezzo perché i fascisti e Mussolini non venissero liquidati. Le elezioni del 6 aprile 1924, svolte con la legge maggioritaria Acerbo, vide in Matteotti un fiero querelatore delle violenze fasciste contemporanee, precedenti e successive a quelle elezioni politiche così simboliche. Matteotti faceva parte del gruppo socialista riformista, ma egli apparteneva alla nuova generazione dei Gobetti, dei Gramsci, dei Rosselli e si differenziava nettamente dalla vecchia generazione antifascista turatiana e da tutti quelli uomini che erano stati educati alla fine dell’800 in un clima positivistico, fortemente intriso di fatalismo. La nuova generazione di Matteotti era tutta preda dell’ansia di agire, opporre violenza a violenza se necessario, di non rimanere con le mani in mano ad attendere passivamente di venir colpita. Il fatalismo antifascista aveva quindi lasciato il posto all’interventismo antifascista. Tutti questi giovani, che rifiutarono con decisione ogni fatalismo passivo, furono i rappresentanti di quella prima generazione perduta, in quanto quasi tutti vittime della dura lotta contro la nascente dittatura mussoliniana. La c.d. vecchia generazione dei Turati, non avrebbe certamente concepito la resistenza volitiva di un Matteotti quando quest’ultimo chiese la invalidazione, da parte della giunta delle elezioni, di tutti gli eletti fascisti, quando denunciò con stile scarno, secco ma diretto, concreto e preciso, le violenze che erano state compiute dagli squadristi in occasione delle elezioni. Il fatalismo del socialismo italiano aveva, con Matteotti, lasciato il posto alla coraggiosa e impavida opposizione.
Molte, inevitabilmente, le interpretazioni date ai motivi per cui sono avvenuti certi fatti e per comprendere le cause di un simile delitto che colpì di commozione tutta la nazione. Una spiegazione può essere anche rintracciata in una rapida ma compendiosa analisi fatta da Antonio Gramsci, con estrema acutezza in un articolo nell’ottobre del 1924 de l’Unità e connessa alle condizioni di ripresa economica del periodo 1923-1924. Gramsci vi sostiene che, dopo la fine della crisi economico-produttiva del ’20-22, era ripresa l’espansione produttiva ma, anche e con estrema virulenza, il crescere dell’inflazione, che era arrivata nel ’24 ad essere molto grave e pesante, non solo per i proletari ma anche per il ceto medio. Poteva quindi esserci, di conseguenza, il pericolo di una ripresa degli scioperi che, in effetti, ci fu all’inizio del 1925 con il grande sciopero degli operai metallurgici nell’Italia del nord: i salari erano bloccati mentre i prezzi salivano alle stelle, gli operai non riuscivano più materialmente a condurre un’esistenza dignitosa. Ma questo punto inerente la classe operaia era solo la parte minore, secondo Gramsci, del pericolo che il fascismo temeva e che portò, secondo l’autore, al delitto del 10 giugno.
Secondo Gramsci, il pericolo per il fascismo proveniva soprattutto dal fatto che il ceto medio, il quale a sua volta aveva dato il proprio appoggio al fascismo, essendo in maggioranza nazionalista e interventista, proprio per il malessere generato dalla crisi tendeva a distaccarsi dal neonato regime. Scrive l’autore “Il regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L’aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda: il numero di fallimenti si è rapidamente moltiplicato in soli due anni(1922 – 1924). Il monopolio del credito, il regime fiscale e la legislazione degli affitti hanno stritolato la piccola impresa industriale e commerciale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia, senza sviluppo dell’apparato di produzione. Il piccolo produttore non è nemmeno divenuto proletario, è solo un affamato in permanenza, un disperato senza previsioni per l’avvenire”.
Dalle parole di Gramsci si potrebbe dedurre che il delitto Matteotti venne concepito e attuato come un grande monito per tutti: voluto dagli elementi più estremisti del fascismo(tipo Farinacci), ebbe lo scopo di dimostrare al ceto medio assillato dal rincaro dei vari prodotti, che i veri padroni continuavano e avrebbero continuato ad essere sempre loro, i fascisti, che non avevano paura di nessuna opposizione perché nessuna opposizione avrebbe mai potuto scalzarli dal potere.
Questa è un’ipotesi avvalorata dall’articolo appena citato di Gramsci, e può essere senz’altro un’ipotesi tutt’altro che inverosimile ma abbastanza fondata.
L’articolo citato segue di due mesi uno dei più celebri articoli di Gramsci sempre sul deputato socialista ucciso nel giugno del 1924, pubblicato su “Lo Stato operaio” il 28 agosto 1924, dopo l’avvenuto omicidio, ma in questo articolo Gramsci, pur riconoscendo la gravità del delitto, criticò duramente il defunto Matteotti, definendolo un leader capace di mobilitare le masse ma incapace di compiere un’autentica rivoluzione socialista. L’articolo del 28 agosto è un aggiornamento del pensiero gramsciano su questi punti e sulla figura del deputato socialista, pensiero che si intensificò in seguito al tragico evento.