Il Delta del Niger, tra sfruttamento delle risorse, povertà e degrado ambientale

di Viviana D’Onofrio

“Le compagnie petrolifere, in particolar modo la Shell Petroleum, hanno operato per più di 30 anni senza che un controllo serio o delle regole ambientali guidassero le loro attività”. Questo è quanto emergeva dal Niger Delta Human Development Report realizzato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) nel 2006.
Il Delta del Niger, vastissima area fluviale che si estende per circa 70mila km quadrati, è la più ricca regione petrolifera del continente africano. Qui si trova infatti il 90 per cento delle riserve di petrolio (e di gas) della Nigeria. Secondo un rapporto pubblicato dalla Oil and Gas Review nel 2011, la produzione quotidiana di petrolio nel paese africano ammonta a 2.591 migliaia di barili.
Nonostante tale ricchezza di risorse, la maggioranza della popolazione di quest’area, all’incirca 31 milioni di persone, vive in condizioni di estrema povertà. Il rapporto UNDP sullo sviluppo umano del 2011 ha evidenziato infatti come la popolazione nigeriana sia tra le più povere al mondo; il 64.4% di quest‘ultima vive con meno di 1.25 dollari al giorno.
Il Delta del Niger era un tempo un’area incontaminata, nella quale la popolazione viveva grazie alle risorse della terra.
Le cose cambiarono drasticamente nel 1956, quando vi vennero scoperti i primi giacimenti petroliferi. La prima scoperta di un giacimento petrolifero di rilevanza commerciale avvenne ad Oloibiri, nello Stato del Delta, ad opera della Shell-BP.
E‘ in quel momento che ha avuto inizio uno sfruttamento sistematico della regione, con gravissime conseguenze di natura ambientale, socio-politica ed economica. Qui è venuto a crearsi un intreccio tra le grandi multinazionali del settore petrolifero ed i vari governi militari deboli e corrotti, che hanno letteralmente svenduto le risorse naturali del loro Paese in cambio di profitti illeciti.
L’industria petrolifera nel Delta del Niger vede il coinvolgimento del governo della Nigeria e delle compagnie consociate di multinazionali, insieme ad alcune società nazionali. La Shell Petroleum Development Company of Nigeria, controllata di Royal Dutch Shell, è la principale compagnia operante sul territorio. Essa, da sola, opera su un‘area di circa 31mila km quadrati. Qui sono presenti circa 50 campi di petrolio e 5mila chilometri di oleodotti, molti dei quali sarebbero vetusti e soggetti ad una non adeguata manutenzione.
L’attività delle multinazionali del petrolio ha avuto un impatto devastante sull’ambiente naturale del Delta del Niger nel corso degli anni. Secondo i dati della stessa Shell, dal 2007 vi sono state 1693 fuoriuscite di petrolio, anche se si teme che il numero reale sia ben più elevato.
L’attività di estrazione del greggio ha provocato un grave inquinamento del bacino idrico e dei terreni, ha distrutto le coltivazioni ed ha condotto all’espropriazione dei terreni alla popolazione nigeriana, che è stata costretta ad abbandonare il proprio habitat per far posto agli impianti delle multinazionali senza essere preventivamente consultata. Tale situazione era, e continua ad essere, assolutamente “legale“ per il semplice fatto che il governo della Nigeria, secondo quanto previsto da una legge costituzionale dello stato, è l’unico proprietario e titolare dei diritti sull‘intero territorio nigeriano. La legge in questione prevede un obbligo di indennizzo in favore delle popolazioni espropriate, ma si tratta di un obbligo puramente simbolico.
L’Undp ha evidenziato le devastanti conseguenze dell’estrazione petrolifera nel Delta del Niger, stimando che nel solo periodo compreso tra il 1976 ed il 2001 si siano verificati versamenti di petrolio per oltre tre milioni di barili. Il 70% di questi non è stato recuperato, con oltre seimila tra esplosioni, sabotaggi o malfunzionamenti degli oleodotti.
Il petrolio ha invaso oltre 36mila km di foresta vergine e corsi d’acqua, devastando l’ambiente naturale e rendendo impossibili attività essenziali per la sussistenza delle popolazioni locali, quali agricoltura, pesca ed allevamento. A ciò si aggiunga il fenomeno del cosiddetto gas flaring, termine che indica la combustione del gas naturale derivato dall’estrazione del petrolio. Il gas flaring provoca piogge acide che, insieme ai sedimenti di petrolio, vanno a compromettere seriamente la fertilità dei terreni, oltre ad avere effetti molto dannosi sulla salute della popolazione.
L’inquinamento derivante dall’estrazione petrolifera ha, dunque, danneggiato gravemente risorse assolutamente fondamentali per il sostentamento della popolazione, incrementando ulteriormente il livello di povertà della popolazione della regione del Delta del fiume Niger.
Secondo Amnesty International, “Più del 60 per cento delle persone che vivono nella regione dipendono dall’ambiente naturale per il loro sostentamento ma l’impatto delle attività dell’industria petrolifera sta distruggendo la risorsa vitale dalla quale dipendono. L’inquinamento del petrolio nel Delta del Niger uccide i pesci e ne compromette la riproduzione, causando danni immediati e a lungo termine alle riserve; inoltre danneggia gli equipaggiamenti da pesca. Le fuoriuscite e i rifiuti delle discariche hanno seriamente danneggiato la terra agricola. Gli effetti a lungo termine includono danni alla fertilità del suolo ed alla produttività del terreno, che in alcuni casi possono prolungarsi per decenni. In numerosi casi, le conseguenze delle perdite di petrolio sul suolo hanno minato l’unica fonte di sopravvivenza delle famiglie“.
Amnesty International ha puntato il dito contro il governo nigeriano e contro le società petrolifere, sostenendo che “Il Delta del Niger è un nitido esempio di come un governo venga meno agli obblighi nei confronti dei propri cittadini e della totale mancanza di responsabilità di quasi tutte le compagnie multinazionali per l’impatto delle loro attività sui diritti umani“.
Pesanti sono infatti, secondo Amnesty, le responsabilità del governo della Nigeria; perl‘organizzazione il sistema normativo nel Delta del Niger è molto lacunoso. La Nigeria dispone di normative che obbligano le imprese al rispetto di determinati standard riconosciuti a livello internazionale e concernenti l’adozione di buone pratiche nel campo del petrolio nonchè di leggi e regolamenti finalizzati a salvaguardare l’ambiente, ma questi strumenti vengono scarsamente implementati.
Il 28 agosto 2008 si è verificata l’ennesima fuoriuscita di petrolio a causa dell’incendio di una conduttura dell’oleodotto del Trans Niger nella baia di Bodo in Ogoniland. Il petrolio riversatosi nella palude e nella baia ha provocato la morte della fauna ittica, da cui la gente dipendeva per la propria sopravvivenza, compromettendo, in questo modo, l’accesso al cibo nell’area e minando il diritto al cibo della popolazione.
Nel 2012, una sentenza della Corte di giustizia della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) relativa al caso SERAP v. Nigeria ha dichiarato il governo nigeriano responsabile per i ripetuti, gravi abusi perpetrati dalle compagnie petrolifere, a testimonanzia della situazione di pesante degrado ambientale in cui si trova il Delta del Niger.
L’area del Delta del Niger è stata teatro di violenti conflitti a partire dagli anni novanta del secolo scorso. Per il controllo delle risorse della regione si è sviluppata una vera e propria battaglia che, nel corso degli anni, ha visto protagonisti il governo centrale, i potentati locali e diverse bande armate.
Le cause scatenanti dei conflitti possono essere variegate; molto spesso, però, all‘origine della conflittualità troviamo la volontà di controllo delle risorse naturali. Le vicende del Delta del Niger forniscono proprio un chiaro esempio del legame esistente tra controllo delle risorse naturali ed emergere della conflittualità. Questa regione della Nigeria è da anni sconvolta da un violento conflitto intorno al controllo delle risorse petrolifere del territorio, conflitto che vede protagonisti l’esercito governativo e le forze di polizia, da un lato, e varie milizie armate, tra cui il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend), responsabile di numerosi attacchi contro società multinazionali straniere come la Shell, dall‘altro. Le milizie combattono in difesa dei diritti delle comunità locali le quali, secondo i guerriglieri, riceverebbero soltanto una minima parte dei proventi provenienti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere del Delta del Niger. Le comunità della regione hanno tentato, nel corso degli anni, di ribellarsi alla devastazione cui il proprio territorio viene sottoposto ed alle espropriazioni che le stanno privando del proprio ambiente naturale, ma le proteste sono state sistematicamente represse dall’apparato militare dello Stato e dalle forze di sicurezza private delle multinazionali. Secondo Human Rights Watch, le repressioni in questione hanno causato migliaia di morti.
Le vicende del Delta del Niger sono un chiaro esempio di come attività economiche condotte in maniera indiscriminata possano contribuire non soltanto a deteriorare l’ambiente naturale ma anche a destabilizzare profondamente aree già vulnerabili del pianeta, impattando sul tessuto sociale, politico ed economico di queste ultime, con conseguenze negative per il mantenimento della pace, per la sicurezza e per il rispetto dei diritti umani fondamentali.