di Giuseppe gagliano –
Sebbene la Francia sia presente anche a livello militare in Niger, in Chad e in Burkina Faso, non c’è dubbio che l’epicentro dell’impegno di contrasto al jihadismo della Francia in Mali dal 2013 abbia avuto fino a questo momento un epilogo fallimentare: 59 soldati uccisi, 8 miliardi di euro spalmati in 10 anni, collaboratori accusati di tradimento dalle autorità locali. Non pochi analisti francesi avevano sottolineato le virtù taumaturgiche della operazione Serval del gennaio del 2013 e dell’operazione Barkhane del 2014. Tuttavia queste virtù taumaturgiche si sono in realtà rivelate soltanto un’illusione. La presenza francese ha determinato invece un forte risentimento tra la popolazione, ma va detto che in generale in Africa c’è un sentimento antifrancese sviluppatosi rapidamente a vantaggio della presenza cinese.
Ma se la Francia non ride che dire del G5 Sahel? Questo gruppo non doveva forse coordinare la politica antiterrorismo? Anche questo è stato un fallimento. Stesso discorso con la presenza dei 12mila caschi blu dell’ONU, di fatto oggi in uno stato di paralisi, mentre i gruppi terroristici hanno incremento la loro attività rendendola più pericolosa e più efficace.
A posteriori non pochi analisti francesi hanno, obtorto collo, dovuto riconoscere che le decisioni strategiche si sono rivelate sbagliate. Ma le responsabilità naturalmente non sono solo della Francia, bensì anche dell’ONU e dell’Unione Europea. Cosa infatti è stato concretamente fatto per migliorare la gestione politica locale, per rendere migliore l’amministrazione e cioè più efficiente e meno corrotta? Nulla. La politica ha fallito. E come poteva allora la dimensione militare avere successo di fronte alla diffusione della miseria e della corruzione?