“Il giorno della liberazione”: Trump fa piovere dazi

di Riccardo Renzi * –

Su molte testate giornalistiche quasi tutti i giorni si sente parlare dei “famigerati dazi di Trump”, senza troppi giri di parole possiamo dire anche un po’ a sproposito, perciò è opportuno tracciare un quadro generale che faccia un po’ di chiarezza. Il 2 aprile 2025 segnerà un nuovo capitolo nella politica commerciale degli Stati Uniti, un evento che il presidente Donald Trump ha definito come il “Giorno della Liberazione”. In questa data il leader americano intende implementare una serie di dazi sui prodotti importati da diversi Paesi, una mossa che, pur allineandosi con la sua politica di “America First”, appare più strategica e meno drastica rispetto alle minacce iniziali. Sebbene le intenzioni di Trump siano ancora parzialmente avvolte nell’incertezza, le conseguenze geopolitiche di queste tariffe potrebbero avere un impatto significativo sulle relazioni internazionali, sull’economia globale e sulle politiche interne degli Stati Uniti.
Il presidente Trump ha ribadito con forza la sua posizione, affermando che gli Stati Uniti sono stati “derubati” da molti Paesi e che i dazi imposti porteranno miliardi di dollari nelle casse federali, contribuendo a proteggere i posti di lavoro americani. In un’intervista alla Casa Bianca, Trump ha enfatizzato che l’obiettivo è non solo difendere l’industria statunitense, ma anche mantenere basse le imposte, permettendo agli americani di beneficiare di un sistema economico più competitivo.
I settori coinvolti includono l’alluminio, i farmaci e l’industria automobilistica. In particolare, Trump ha imposto un dazio del 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio, che è entrato in vigore il 12 marzo 2025. La misura, che inizialmente non prevedeva eccezioni per Paesi come Canada, Messico e Unione Europea, ha suscitato reazioni internazionali, tra cui la minaccia di contromisure da parte dell’Unione Europea, pronta a imporre tariffe per 26 miliardi di euro a partire dal 1 aprile 2025.
Nel settore farmaceutico, Trump ha annunciato l’intenzione di introdurre dazi del 25% sulle importazioni di farmaci, con l’obiettivo di incentivare la produzione interna negli Stati Uniti. Tuttavia, gli economisti avvertono che questa politica potrebbe aumentare significativamente i costi per i consumatori e gravare sul sistema sanitario statunitense, con una stima di un incremento di circa 40-50 miliardi di dollari all’anno.
Una delle misure più controverse riguarda il Venezuela, un Paese già sotto pesanti sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti. Trump ha minacciato di imporre dazi “secondari” del 25% su tutte le importazioni commerciali da Paesi che acquistano petrolio o gas dal Venezuela. Tra i Paesi più coinvolti ci sono la Cina, che acquista circa il 68% del petrolio venezuelano, e altre nazioni come Russia, India e Spagna. L’obiettivo dichiarato di Washington è ridurre il potere economico del regime di Nicolás Maduro, che Trump considera ostile agli interessi americani.
Tuttavia, questa politica potrebbe rivelarsi problematico per gli Stati Uniti stessi. Nonostante le sanzioni, gli Stati Uniti continuano ad acquistare petrolio dal Venezuela, e le aziende come Chevron sono state esentate da alcune delle restrizioni, potendo continuare a operare nel Paese grazie a proroghe temporanee. Il rischio, quindi, è che un’ulteriore escalation delle tariffe possa danneggiare anche le stesse imprese americane coinvolte in queste transazioni, senza ottenere un cambiamento sostanziale nella politica venezuelana.
La mossa dei dazi del 2 aprile non si limita al Venezuela e ai suoi alleati. Gli Stati Uniti stanno guardando con attenzione anche ad altri Paesi che, secondo la Casa Bianca, presentano squilibri commerciali con gli Stati Uniti. In particolare, si prevede che alcuni Paesi, come Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Canada, Australia e diversi membri dell’Unione Europea, siano colpiti da tariffe aggiuntive. La “sporca quindicina”, come li ha definiti il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, rappresenta il 15% dei principali partner commerciali degli Stati Uniti, nei confronti dei quali l’amministrazione Trump sta pianificando misure sempre più dure.
Le conseguenze di questi dazi potrebbero aggravare le tensioni internazionali, specialmente con la Cina, che già è stata oggetto di numerose misure punitive negli ultimi anni. La guerra commerciale con Pechino, che ha visto l’introduzione di tariffe universali del 20% su una vasta gamma di prodotti, potrebbe ora intensificarsi ulteriormente, con una nuova imposta del 25% sulle importazioni, peggiorando la crescita economica globale e alimentando le preoccupazioni per l’inflazione.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. L’Unione Europea, ad esempio, ha già annunciato la sua intenzione di adottare misure di ritorsione contro gli Stati Uniti, con una lista di prodotti americani su cui applicare dazi. Anche la Cina ha minacciato di rispondere con proprie tariffe, mentre il Messico e il Canada potrebbero essere colpiti da nuove misure che metterebbero sotto pressione i loro già delicati legami commerciali con gli Stati Uniti.
Le reazioni interne agli Stati Uniti sono contrastanti. Se da un lato Trump afferma che i dazi contribuiranno a riportare i posti di lavoro nelle manifatture americane, come dimostrato dall’investimento di Hyundai in un impianto siderurgico in Louisiana, molti economisti temono che l’effetto netto possa essere inflazionistico. Le aziende americane, in particolare quelle che dipendono dalle importazioni di materie prime come alluminio, potrebbero vedere aumentare i costi, con un impatto diretto sui consumatori.
Il “Giorno della Liberazione” di Trump, il 2 aprile, potrebbe rappresentare un punto di svolta nelle politiche commerciali globali. Sebbene le intenzioni siano chiare, cioè proteggere l’economia e l’industria statunitense, le mosse dell’amministrazione potrebbero isolare ulteriormente gli Stati Uniti dalla comunità internazionale, intensificando la guerra commerciale con la Cina, la Russia, l’Europa e molti altri partner chiave. Se il presidente riuscirà a mantenere la sua visione di una “America First”, potrebbe però sacrificare una parte significativa dei vantaggi economici derivanti dalla cooperazione globale, con ripercussioni potenzialmente devastanti sul lungo termine. La domanda rimane: l’America riuscirà a bilanciare la protezione dei suoi interessi con la necessità di una crescita economica sostenibile e di un ordine mondiale stabilito sulla cooperazione piuttosto che sulla conflittualità?

* Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Scholia, Notizie Geopolitiche e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.