di Antonio Carbonelli * –
Nel luglio del 1932 in Germania quattordici milioni di elettori, il 40% dell’elettorato, votavano il partito nazionalsocialista di Hitler, dopo quattordici anni di governi socialdemocratici che non avevano saputo affrontare la situazione economica fiaccata dalla prima guerra mondiale, dall’iperinflazione degli anni Venti, dalle condizioni di pace imposte dal trattato di Versailles e dagli effetti della crisi economica del 1929, ingannati dalla sua volontà di azione e dalle sue dichiarazioni elettorali di voler porre rimedio alla miseria economica.
Ora in Grecia, dopo che il governo Alexis Tsipras ha tradito la fiducia che gli elettori gli avevano dato per ben tre volte nel corso del 2015, dapprima con le elezioni politiche, poi con un referendum sui rapporti con l’Europa, poi ancora con delle elezioni politiche anticipate, il nuovo presidente del consiglio dei ministri Kyriakos Mitsotakis, descritto dagli organi di stampa come un convinto liberista, formatosi a Harvard e Stanford, ha vinto le elezioni politiche dopo aver promesso di rilanciare l’economia attraverso il taglio delle tasse e lo snellimento della burocrazia, secondo un modello che potrebbe impattare su sanità, scuola e pubblica amministrazione.
Il parallelismo ovviamente è forzato: Hitler aveva ben altre mire. Ma le due situazioni presentano un tratto comune: il fatto che gli elettori, dopo anni di vessazioni economiche, e di governi che non hanno saputo porvi mano in maniera efficace, sono pronti a dare fiducia a chi prometta loro un cambiamento e un progresso.
Quali sono tuttavia le insidie di un programma politico liberista? Proviamo a porci alcune semplici domande. Come si fa a far arricchire chi ha di più? Il famoso 1%, di contro al 99%? Molto semplice: il programma si sviluppa in tre sottodomande.
a) come salvaguardare, e anzi incrementare il potere d’acquisto dei patrimoni maggiori? Basta bloccare l’inflazione, in modo che i capitali non si svalutino di anno in anno. Creare delle aree valutarie bloccate, come oggi l’euro, in modo che gli squilibri commerciali internazionali si riflettano sull’economia reale, cioè sulle famiglie e sulle imprese, invece che sul valore delle monete. E liberalizzare i flussi internazionali di capitali speculativi, in modo da poterli spostare via via dove rende di più.
b) come pagare meno salari e compensi possibile, cioè come comprimere i salari e incrementare i profitti, trasferendo la quota maggiore possibile dei ricavi al profitto d’impresa? Molto semplice: basta creare disoccupazione, in modo da provocare una concorrenza al ribasso sul livello dei salari e dei compensi. E per ottenere questo basta smantellare il diritto del lavoro, liberalizzare ogni professione e distruggere il sindacato, riducendolo a un’agenzia di viaggi o poco più.
c) e soprattutto, come pagare meno tasse possibile, come viene promesso oggi in Grecia? Molto semplice: quali sono le voci maggiori di spesa degli stati? Scuola, sanità e pensioni pubbliche. Basta dunque attuare una distruzione graduale e progressiva di scuola, sanità e pensioni pubbliche. A scuola impari chi se lo può permettere; la sanità curi chi si può permettere una polizza assicurativa; e quanto alle pensioni, se uno è imprevidente, spende tutto il suo magro salario per arrivare al trenta del mese, invece di risparmiare una cifra sufficiente per potersi mantenere per un numero di anni che nessuno è in grado di prevedere, peggio per lui. Chi ci guadagna? Chi avrebbe più tasse da pagare. E chi ci perde? Chi avrebbe più bisogno di servizi pubblici.
Ovviamente, un simile programma va spacciato con il nome di “riforme”, “progresso”, “crescita”: illudendo che tale crescita riguarderebbe tutti.
Ma chi lo ha teorizzato? Molto semplice anche questo. Ai nostri giorni manca una filosofia economica. O meglio, nel XX secolo degli economisti si sono messi a fare i filosofi, approfittando della mancanza di una filosofia economica, mentre i filosofi si occupavano, e francamente continuano tuttora ad occuparsi, di tutt’altro. E questi economisti hanno teorizzato il liberismo.
E come si fa a scoprirlo? Basta leggere l’integrale delle opere di Popper. Chi erano questi economisti? Erano due austriaci, come Popper, che si chiamavano Mises e Hayek. Nel 1922 Mises pubblica un saggio intitolato Socialismo, nel quale al capitolo 34 delinea il programma filosofico del liberismo. Nel 1960 Hayek pubblica La società libera, ossia liberista (in inglese: The constitution of liberty, ossia del liberismo), nella quale ai capitoli 17 e seguenti ripropone il disegno di Mises, con alcune finezze aggiuntive, come lo smantellamento del sistema pensionistico retributivo in favore di quello contributivo. Tra il 1973 e il 1979 poi Hayek pubblica Legge, legislazione e libertà, ossia legge, legislazione e liberismo, ove sostiene l’inesistenza di un concetto di giustizia sociale e teorizza la vanificazione della democrazia, da lasciare in vigore solo formalmente, ma priva della possibilità di rappresentare gli interessi reali della maggioranza.
Come viene attuato un programma di questo genere? a) Hayek dal 1950 al 1961 insegna all’università di Chicago, e dal 1961 al 1969 all’università di Friburgo; e fonda le scuole economiche delle università di Chicago e di Friburgo – b) Hayek e i suoi allievi, primo e più noto fra tutti Milton Friedman, diventano i consulenti economici del candidato repubblicano alla Casa bianca del 1964, uscito sconfitto; ma poi anche di Nixon, di Carter, di Reagan, e praticamente di tutti i presidenti USA da allora in poi; altra seguace di Hayek è stata la Thatcher in Inghilterra; inoltre sono ispirate al liberismo di Mises e Hayek le politiche portate avanti negli ultimi 50 anni dalla FED, dal FMI, e dal momento della sua istituzione anche dalla BCE – c) nel 1947 Mises e Hayek, con l’allora giovane Milton Friedman e con il filosofo Popper fondano la MPS, un’accademia internazionale di filosofia della politica, oggi di circa 700 membri, “che si radunano periodicamente al fine di scambiarsi idee sulla natura di una società libera (cioè liberista) e sui mezzi per rafforzare la sua difesa intellettuale”. Di questa accademia si legge soltanto nei libri di Popper e in alcuni testi di storia della filosofia. Ma ne hanno fatto parte 8 premi Nobel per l’economia e 1 premio Nobel per la letteratura. E continua a riunirsi anche oggi. Nello scorso mese di maggio si è riunita a Dallas, e nel prossimo mese di gennaio si riunirà a Stanford, negli USA, con il titolo: dal passato al futuro: idee e azioni per una società libera, cioè liberista. Quelli che propongo di denominare dei veri e propri fondamenti teoretici della “crisi” che attanaglia le economie del nostro tempo dunque hanno nomi e cognomi, anche se hanno avuto l’accortezza di non esporsi sul grande palcoscenico dell’opinione pubblica.
* Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia.