Il pensiero critico sulla questione afgana

Per tutelare la popolazione, nei negoziati con i Talebani sul nuovo assetto in Afghanistan è necessario assicurare subito corridoi umanitari e l'attivazione di un ufficio permanente della Corte Penale Internazionale.

di Maurizio Delli Santi * –

La premessa è necessaria: piuttosto che unirsi al coro delle accuse di irresponsabilità e miopia strategica contro gli Stati Uniti per il ritiro dall’Afghanistan, sarebbe meglio che la comunità internazionale ricorra ai ripari. Forse peccano di coordinamento, ma le varie iniziative che si vanno registrando, non ultime quelle delle Nazioni Unite, di Cina e Russia, come anche le posizioni dell’Unione Europea, specie con le voci concordi di Italia, Francia e Germania, potrebbero attenuare almeno il propagarsi delle violenze e delle possibili repressioni dei talebani, cui comunque dovrà riconoscersi una rappresentanza nel nuovo assetto dell’Afghanistan. Rimangono le incognite di una deriva integralista, di una fuga di massa degli afghani che hanno collaborato con gli occidentali o che non si riconoscono nella ideologia dei talebani, nonché il rischio di una nuova minaccia dei gruppi terroristi.
Un dato appare comunque emergere: i talebani certamente non hanno sinora offerto garanzie per il sistema dei diritti, le sorti delle donne afghane e di quanti hanno dovuto subire i loro abusi, ma gli studenti coranici, pur nella loro ideologia profondamente integralista e violenta, non possono essere liquidati come gruppi terroristi alla pari di al-Qaeda o dell’ISIS, che hanno dichiarato la Jihad ad oltranza contro l’occidente. Se pure in passato anche a questi gruppi i talebani hanno offerto sostegno e rifugio, secondo alcuni osservatori lo hanno fatto soprattutto per esigenze funzionali alla loro causa interna contro gli occidentali “invasori”. Questa prospettiva si evince anche in questi giorni nelle dichiarazioni dei leaders talebani, che sembrano fortemente interessati ad una loro riconoscibilità internazionale e ad un negoziato che porti ad una loro adeguata rappresentanza nel nuovo Afghanistan. E per questo fine, nonostante l’avanzata con le armi, si dichiarano orientati a perseguire la pace e la stabilità per il bene della popolazione.
È tutto da verificare quanto questi intendimenti siano concreti e non piuttosto strumentali per altri fini non del tutto reconditi, come il voler perseguire un vantaggio strategico sul controllo governativo. Ma la comunità internazionale ha gli strumenti per richiedere rassicurazioni e ottenere sul campo ciò che è necessario, a cominciare subito dall’apertura di un corridoio umanitario e ad esempio dall’attivazione di un ufficio permanente della Corte Penale Internazionale. Quest’ultimo in particolare potrebbe fare da deterrente per i crimini contro l’umanità, ed avere un mandato esteso sulla persecuzione femminile e degli oppositori, nonché su ogni azione terrorista o anche di sostegno indiretto ai gruppi terroristi.
Occorrerà in altri termini non ripetere gli errori che sono stati fatti non solo in Afghanistan, ma anche in altri scenari come ad esempio in Libia. Con il negoziato sul nuovo assetto afghano, se da un lato sarà inevitabile riconoscere ai talebani una loro rappresentanza, adeguata, dall’altro dovrà essere quindi prioritario garantire la tutela delle genti che in essi non si riconoscono e scongiurarsi violenze e persecuzioni.
Se la comunità internazionale riuscisse in tutto questo, anche sfruttando le importanti leve del sostegno economico, sarebbe molto meglio che accodarsi a quell’insulsa narrazione che vuole accollare solo agli Stati Uniti di Biden responsabilità che sono anche di molti altri attori dello scenario internazionale. Ora che sono in molti anche negli Usa ad attaccare Biden, è forse il caso di ricordare cosa propagandavano analisti del livello di Foreign Affairs, che in un articolo del 22 aprile così si esprimevano:
1) la ricerca di una nuova leadership statunitense sul piano internazionale mal si adatta alle esigenze della middle class americana molto provata dalla crisi economica e sociale;
2) gli Stati Uniti devono ridurre il loro impegno non solo in Afghanistan, ma anche in Iraq, e in Europa, e nel più ampio Medio Oriente;
3) va posta fine alla “guerra mondiale al terrore” e cessare gli sforzi mondiali “per inseguire oscuri gruppi terroristici in Medio Oriente e in Africa che non hanno la capacità di attaccare gli Stati Uniti. E dovrebbe chiedersi se il Paese ha davvero interesse a promuovere la democrazia in regioni di scarsa importanza strategica come l’Etiopia e il Myanmar” (J. Sapiro, The mantle of global leadership doesn’t fit a foreign policy for the middle class, Foreign Affairs, 22 aprile 2021).
Insomma, quando ha iniziato a diffondersi il mantra del ritiro in Afghanistan nessuno, nemmeno tra i diversi Paesi che hanno concorso alla missione, ha sollevato qualche efficace opposizione e allora vale quello che si è detto in premessa: piuttosto che accusare gli Stati Uniti, è meglio che la comunità internazionale si assuma almeno ora le proprie responsabilità, con fatti concludenti che sarà necessario perseguire con i negoziati sul nuovo Afghanistan.

* Membro dell’International Law Association.