Il sogno proibito dell’indipendenza europea

di Giovanni Caruselli –

Si dice che Giorgio Almirante e Enrico Berlinguer, cioè i leader dell’estrema destra parlamentare e della sinistra, si incontrassero segretamente il venerdì sera all’ultimo piano del palazzo del Parlamento negli anni oscuri del terrorismo delle Brigate Rosse. Aldo Moro era appena stato ucciso dopo essere stato sequestrato dai terroristi e si intrecciavano le ipotesi più disparate su chi avesse voluto la sua eliminazione dalla scena politica italiana. Ovvero se la responsabilità del mortale attentato fosse tutta delle Brigate Rosse o ci fossero oscuri mandanti, i burattinai che venivano e vengono evocati spesso nella storia italiana degli ultimi decenni del Novecento. Benchè avversari in Parlamento sia Berlinguer che Almirante condividevano l’idea che i tempi erano cambiati. Berlinguer diceva di sentirsi più tranquillo sotto l’ombrello della NATO, tentava di lanciare l’eurocomunismo, insieme a Moro proponeva con forza un “compromesso storico” che, se vincente, avrebbe dato all’Italia una stabilità governativa che mai aveva avuto dal 1945. Almirante in maniera abbastanza riservata tentava di chiudere con il passato repubblichino, isolare i nostalgici, modernizzare il suo Partito. Sia a destra che a sinistra questa operazione inevitabilmente provocava l’opposizione dei più estremisti, convinti di dover mantenere posizioni di virulenta opposizione nei confronti dei rossi o dei neri, a seconda della prospettiva. Ci chiediamo chi poteva approvare queste scelte dei due uomini politici e chi, invece, le avrebbe volentieri combattute con ogni mezzo.
Il compromesso storico fra DC e PCI sarebbe stata un’esperienza politica assolutamente inedita. Non si trattava di mettere d’accordo Peppone e don Camillo, perché le forze realmente popolari in Italia che avevano condiviso la Resistenza potevano essere disponibili a un cammino comune, pur nelle scelte divergenti che le ideologie imponevano. Il problema era un altro. L’Italia non viveva in uno spazio politico pacificato, era un Paese anomalo, unico in un certo senso, con il più forte Partito Comunista d’occidente e con un’adesione di massa alla Chiesa cattolica che le dure prove della guerra e della resistenza avevano consolidato. Segnava il confine lungo l’Adriatico fra i due protagonisti della guerra fredda, Usa e Urss, secondo le scelte fatte da altri al termine della seconda guerra mondiale. Indiscutibilmente faceva parte della NATO e del blocco occidentale e in questo blocco era impensabile per chi lo pilotava che il comunismo, per quanto non fosse più quello staliniano, andasse a governare con la DC. E lo era altrettanto per l’Urss, che avrebbe visto violati quell’internazionalismo proletario cui era fedele e la funzione di guida in ambito internazionale che essa aveva sempre avuto. Tutto questo, probabilmente, stava alle spalle di quegli incontri più o meno segreti. Non lo sapremo perché i protagonisti sono morti e chi ne parla lo fa de relato. Ad Antonio Padellaro va il merito di avere narrato questo aspetto di una fase molto discussa della vita politica italiana, ormai superata dai fatti che portarono all’estinzione sia della DC che del Pci.
Perché riparlarne oggi?
C’è una parola che raramente ricorre nelle discussioni di geopolitica in sede europea e, in maggiore misura, in quella italiana. Si tratta della parola indipendenza. L’Europa salvata dal nazismo dai russi e dagli americani dopo aver scatenato due guerre mondiali in trent’anni non poteva certamente avanzare troppe pretese. Solo gli inglesi non si erano mai arresi a Hitler e la comune tradizione culturale con gli Usa permise loro di ottenere un trattamento amichevole. Gli altri Paesi dell’Europa Occidentale furono aiutati a riprendersi con il Piano Marshall e furono anche autorizzati a darsi istituzioni libere purché non facessero scelte contrarie agli interessi degli Usa. Nell’Europa orientale i russi si attestarono stabilmente e repressero con la forza le spinte indipendentiste degli Stati che avevano occupato.
I politici e gli intellettuali che si impegnarono nella costruzione dell’Unione Europea, De Gasperi, Monnet, Adenauer, Schumann, Spinelli, Spaak, sapevano bene di muoversi in uno spazio ristretto, sapevano di essere sorvegliati a vista da est e da ovest e preferirono non toccare mai il tema dell’indipendenza dell’Europa. Si diede la priorità alla ricostruzione, allo sviluppo economico, allo stato sociale ma nulla si disse della libertà di movimento che la nuova realtà politica avrebbe avuto. Il tentativo di De Gasperi di far passare l’idea della costituzione di un esercito europeo, la CED, Comunità Europea di Difesa, a salvaguardia della pace riconquistata, naufragò subito. Ma non solo, esso rese evidenti gli ostacoli che la futura Europa Federale avrebbe incontrato e che abbiamo di fronte. I parlamenti che non ratificarono la nascita della CED furono soprattutto quello francese e quello italiano. I francesi temevano che ancora una volta si lasciasse spazio al riarmo della Germania, in Italia comunisti, socialisti e la Sinistra democristiana accettavano la sfida di un’Europa pacificata senza eserciti. In Germania si temeva che qualunque manifestazione di ostilità contro l’URSS avrebbe reso difficile la riunificazione del Paese. La morte di Stalin nel 1953 faceva pensare ad un ammorbidimento delle relazioni fra Est e Ovest e, infine, l’elefante nella stanza era costituito dalla mancanza di un’istituzione comunitaria che avesse l’autorità necessaria per comandare un esercito continentale. Oggi, inizio terzo millennio, il problema della mancanza di una forza militare europea si ripresenta in tutta la sua gravità. E ciò non soltanto per l’aggressione di Putin all’Ucraina e per le sue rivendicazioni su zone dell’est europeo più o meno russofone. Il vero problema è che essendo falliti vari tentativi di disarmo globale dalla Grande Guerra in poi, non è realistico pretendere di giocare un ruolo significativo al livello planetario senza poter contare su vere e proprie forze armate. Il presidente Trump ha richiamato gli europei a un maggiore contributo economico al mantenimento della Nato, ma, a parte le difficoltà pratiche di tale operazione, a un contributo maggiore dovrebbe corrispondere una proporzionale maggiore condivisione nelle scelte strategiche dell’organizzazione. Dato l’enorme arsenale di armi atomiche degli Usa, di cui difficilmente l’Unione Europea potrebbe dotarsi e che dovrebbe mantenere, è difficile pensare che Washington ceda ad altri parte del suo potere decisionale in caso di conflitti. A questo punto si può dire soltanto che l’indipendenza di un’Europa poco unita e disarmata è quasi inesistente. Quando la logica delle armi prevale sulle armi della logica, solamente la forza di dettare le regole della convivenza può prevalere. E, nel caso sciagurato di un conflitto di grandi dimensioni, i vincitori non saranno necessariamente “i buoni”, ma saranno i più preparati alla guerra.