Ilari, ‘Petraeus, il generale Disastro’

'Sopravvalutata la sua azione in Iraq, poi un fallimento dopo l’altro'.

a cura di Gianluca Vivacqua

Al culmine del successo e della popolarità il generale David Petraeus, la “Volpe del Golfo”, venne inserito da Time nella lista dei 100 leader più influenti del mondo. Non solo: arrivò a sfiorare il titolo di “persona dell’anno”. Era il 2007, aureus annus per il militare di Cornwall-on-Hudson, diplomatosi a West Point nel 1974. In quello stesso 2007 il presidente Usa Bush lo aveva nominato comandante in capo delle Forze armate in Iraq, la giusta consacrazione di quella linea operativa fondata sul contenimento del terrorismo con il supporto attivo delle popolazioni locali che Petraeus portava avanti sul suolo mesopotamico dal 2003, da quando cioè era alla guida delle truppe americane nell’Iraq settentrionale. Non un sistema Petraeus: una dottrina Petraeus, con tanto di testo teorico di riferimento, il manuale ufficiale per le attività contro-insurrezionali delle Forze Armate Statunitensi scritto dal generale in persona (importante tappa di preparazione a tale Bibbia può certamente considerarsi il saggio Lessons of Vietnam apparso sul numero di Parameters dell’aprile 1986). Gli elogi di Bush, l’ammirazione di Obama, un orizzonte temporale che faceva presagire una candidatura da repubblicano alla Casa Bianca, da contendere proprio a Obama. Ma la sorte kamikaze e ria aveva in serbo la più imprevedibile delle imboscate: nel 2012 il biography gate con al centro Paula Broadwell spazzò via tutto. Come un’autobomba a Tripoli. L’uomo che poteva entrare nella stanza ovale fu congedato da quello che poteva essere il suo predecessore con un contentino: “Durante tutta la sua vita al servizio del paese, ha reso l’America più sicura e più forte”. Sopravvive però il Petraeus teorico.

– Sic transit gloria Martis, professor Ilari?
“La invito a leggere la pagina di Wikipedia in inglese dedicata al generale: stampata riempirebbe l’equivalente di 62 pagine. La voce riporta correttamente luci e ombre della carriera politico-militare di Petraeus e la sua trasformazione in personaggio mediatico grazie al sostegno degli ambienti neocon che lo preferivano a Hillary Clinton come successore di Obama. Effetto di questa campagna fu che uno dei massimi esponenti del vertice militare giunse a paragonarlo non solo al generale Pershing, comandante delle forze americane in Europa nel 1917-18, ma addirittura a Grant e ad Eisenhower, i condottieri della guerra civile e della Seconda guerra mondiale poi divenuti presidenti degli Stati Uniti. L’ascesa militare di Petraeus, proveniente dalle forze d’assalto aereo, si è svolta tutta in Iraq, fino a ricevere da Obama l’incarico di congegnare l’uscita nel modo più dignitoso da quel disgraziato Paese delle truppe americane, proprio quando il numero di quelle dislocate sul suolo iracheno aveva raggiunto l’aumento massimo dall’inizio della guerra. Poi ecco la poltrona di direttore della Cia: sulla sua scrivania, tra un dossier e l’altro, incluso lo sciagurato intervento in Libia, si è visto arrivare anche quello che lo ha costretto alle dimissioni. Ciò non gli ha tuttavia alienato il sostegno dei media mainstream e del deep state, come dimostrano i vasti incarichi e riconoscimenti accademici e sociali, con cattedre prestigiose e presidenze di importanti associazioni”.

– Ma sulla sua esperienza come comandante in Iraq non c’è proprio null’altro da dire?
“Petraeus non ha ovviamente alcuna responsabilità politica del disastro iraqeno, prevedibile e invano previsto da tutti i vecchi “guerrieri della guerra fredda” che hanno sempre dissentito dalle decisioni strategiche prese dagli Stati Uniti nel primo quarto del XXI secolo. La missione di cui era stato investito da Obama (il ritiro dando l’impressione della vittoria) era praticamente impossibile. Gli errori iniziali dell’amministrazione Bremer e soprattutto le condizioni politiche e sociali dell’Iraq, profondamente diviso fra sciiti, sunniti e curdi, non consentivano a Petraeus di adottare la formula inventata novant’anni prima in Marocco dal generale francese Lyautey, e cioè rendere sicuro il confine e trasferire gradualmente il potere agli ex-nemici, promuovendo il dialogo fra tutte le componenti per giungere alla pacificazione e all’autogoverno. Di fatto il ritiro dall’Iraq ha offerto alla resistenza sunnita l’occasione di dare vita allo stato islamico (Isis) e allargare il conflitto alla Siria provocando l’intervento turco, iraniano e russo che hanno fatto crollare il settore centrale del vecchio “containment” occidentale. La critica più seria che uno storico può fare a Petraeus è di aver accettato di avallare la cosmesi mediatica con cui i neocon sono riusciti a mascherare il loro primo disastro, e che ha consentito loro di proseguire con Siria, Libano e Ucraina”.

– Parliamo anche del Petraeus scrittore: spropositato il paragone con Clausewitz che è stato azzardato per L’arte della guerra contemporanea?
“Un libro molto pompato, ma sostanzialmente non è nulla più che una memoria autodifensiva con apertura elogiativa nei confronti della linea americana in Ucraina. Non va dimenticato che è stato scritto nella prima metà del 2023, nel clima di euforia per la prima controffensiva di Kiev. Anche se ammette alcuni errori di valutazione (nel Donbass i russi sono tutt’altro che mal sopportati) in generale Petraeus accetta senza discussioni l’approccio americano al conflitto russo-ucraino”.

Per finire, qualcosa da aggiungere sul Petraeus politico: Ilari osserva che il generale è stato repubblicano fino al 2002, per poi diventare indipendente.

Virgilio Ilari è un’autorità nel campo della storia militare. Professore di storia delle istituzioni militari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dal 1988 al 2010, è stato tra i fondatori, nel dicembre 1984, della Società Italiana di Storia Militare, che ha presieduto dal 2004 al 2008 ed è tornato a presiedere dal 2010. Dal 1980 collaborato con la «Rivista Militare» e con l’Ufficio Storico dello SME, è stato direttore di ricerca del CeMiSS, Centro Militare di Studi Strategici, e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi. Membro del comitato scientifico della rivista «Limes», dal 2022 dirige la rivista Nuova Antologia Militare.