Intelligence economica e attualità geopolitica

di Massimo Ortolani

L’augurabile passaggio ai periodi post-covid si prospetta notoriamente ancora incerto, relativamente alla scelta dei criteri di ottimalità degli interventi di politica economica. E ciò anche a motivo dell’incombenza di fattori geostrategici, di origine tanto interna che esterna al nostro paese, tutti però riconducibili all’alveo della diplomazia politica e della geopolitica economica. A cominciare dai rischi sotto la cenere dell’economia reale del nostro paese, associabili al rialzo dei volumi dei crediti in sofferenza al netto degli accantonamenti. Indizio che, assieme ad altri, giustificherebbe la richiesta alla Commissione UE di un prolungamento del Temporary Framework per gli aiuti di Stato, per allungare la durata dei prestiti garantiti e delle moratorie (1). E d’altra parte le proiezioni dei modelli della Banca d’Italia, come si legge nel Bollettino Economico n 1-2022, ancorchè prospettino un significativo recupero del PIL ai livelli prepandemici attorno alla metà di questo anno, ne prefigurano un trend decrescente nei prossimi “In media d’anno il PIL aumenterebbe del 3,8 per cento nel 2022, del 2,5 nel 2023 e dell’1,7 nel 2024”. Mentre “I prezzi al consumo salirebbero del 3,5 per cento nella media dell’anno in corso, dell’1,6 nel 2023 e dell’1,7 nel 2024”. Questo, ed il prossimo anno, sono inoltre quelli nei quali è attesa anche l’iniziale riduzione degli acquisti da parte della BCE e un probabile innalzamento dei tassi di interesse, con modalità dipendenti da elevatezza e stabilità del tasso di inflazione. Dunque un lasso temporale caratterizzato in prospettiva da un tasso di crescita economica non così elevato come si vorrebbe, che potrebbe beneficiare solo dei primi, marginali, effetti espansivi del PNRR, e ancora fortemente sottoposto agli esiti degli accadimenti geopolitici attuali e prospettici. Tra questi, in primo luogo il rischio di negativi e distorsivi impatti di costo e prezzo su interi settori e filiere dell’economia reale, nella prevedibile ipotesi di non riuscire a stabilmente sterilizzare l’impatto inflazionistico dei prezzi dell’energia, pesantemente condizionato da quello del gas. A sua volta dipendente da conflitti di potenza la cui preventiva composizione si presenta molto spesso problematica per la UE. A questo contesto si associa quello della rimodulazione del patto di stabilità con l’incognita – sul piano macroeconomico – delle nuove modalità di graduale riduzione del debito pubblico, decisamente importanti per la definizione dei gradi di libertà per la politica economica nel nostro paese (2). Tale ultima circostanza, unitamente al comparativamente diverso grado di resilienza economico-sociale con il quale gli altri membri dell’Eurozona risulteranno in uscita dalla crisi sanitaria, alle incognite politiche da post-Quirinale, alla già accennata chiusura della politica monetaria espansiva non convenzionale, ai rischi su crescita del PIL e su aspettative di inflazione stabili – alimentati da tensioni geopolitiche che si ripercuotono sul lato dell’offerta – sono tutti fattori di incertezza che, in combinazione temporale tra loro, potrebbero in prospettiva “acuire sensibilità e atteggiamento” dei mercati finanziari verso il rischio Italia, con riflessi sullo spread. Questo insieme di tematiche di geopolitica economica è sinteticamente presentato nello schema grafico sottoriportato. Se si esclude la variabile pandemia, trattasi per il resto di fattori da governare prospetticamente anche avvalendosi dell’impiego di scenari predittivi di intelligence economica, per l’individuazione delle più idonee soluzioni di geopolitica economica attivabili al riguardo. E tenendo peraltro in attenta considerazione sia il timing temporale (breve-medio-lungo termine), sia il fatto che possono generare ciascuno impatto ambivalente sulla stabilità economica, indipendentemente dalla sua collocazione proposta nel grafico per ragioni di semplicità descrittiva.

Al fine di analizzare inoltre, a titolo esemplificativo, l’intreccio tra eventi di geopolitica di strategica rilevanza ed impatti economico-finanziari a livello nazionale, si può considerare il rovente caso del presumibile tentativo russo di invasione dell’Ucraina. Assumendone la realizzabilità pur tenendo conto dei pesantissimi costi economici e sociali per la stessa Russia, associabili al blocco (duraturo?) del Nord Stream 2 e alle possibili diversioni di acquisti di GLN da parte dei paesi UE. Ma soprattutto della reazione mediatica (volutamente amplificata?) di cui non beneficerebbe certamente il sistema finanziario russo. E forse anche quello ucraino, stando alle notizie sull’acquisto da parte cinese del 49% della sua borsa. Ma, anche se potrebbe sembrare prematuro, dal punto della geopolitica economica si renderebbe opportuna anche una profonda analisi dei diversi effetti economici che da ciò potrebbero conseguire nei principali Stati della UE, così da qualificarne l’impatto comparativamente all’Italia (3). Applicazioni di intelligence economica non meno complesse dovrebbero essere invece quelle di testare il grado di deterrenza potenziale delle sanzioni economico-finanziarie che ormai, notoriamente, USA e UE stanno finendo di mettere a punto al fine di fare desistere Mosca dal suo intento. Ma quanto efficaci ed innovative saranno tali sanzioni, anche se dovessero colpire la persona di Putin? Dato che sin dall’invasione della Crimea le autorità russe non hanno fatto altro che alzare difese per prepararsi a nuove sanzioni, anche al costo di penalizzare l’economia. Evidentemente Putin spera che patriottismo con il quale ammanta la sua azione in difesa dall’accerchiamento della NATO lo ripaghi sul piano del consenso politico, da parte di una popolazione afflitta in questo momento da una inflazione che ha superato l’8%. Da cui la necessità di calibrare oculatamente lo strumento sanzionatorio, con intensità crescente nel tempo e con selezione chirurgica dei target, in quanto possono rivelarsi anche uno strumento a doppio taglio, idoneo a rafforzare sentimenti nazionalistici. Come potrebbe risultare la fattispecie estrema di escludere la Russia dalla rete globale SWIFT, che avrebbe ripercussioni pesantissime sul business in generale e non coinvolgerebbe solo le imprese, ma anche i cittadini russi. Meglio sarebbe, da parte dei paesi membri dell’Unione, una iniziale sospensione delle varie forme di aiuti finanziari a Joint Ventures societarie nei territori russi. Senza considerare che l’esclusione dallo SWIFT motiverebbe una reazione accusatoria di sproporzionalità da parte di Mosca, spingendola con risolutezza all’utilizzo di sistemi finanziari sostitutivi. Ad esempio allargando oltre i propri confini l’operatività dell’SPFS, il sistema nazionale alternativo a SWIFT. Gli impatti indiretti sarebbero però pesanti anche per l’occidente; e quelli indotti spingerebbero la Cina ad accelerare lo sviluppo del proprio sistema CIPS, rivale di SWIFT. Insomma azioni di cui il dollaro non beneficerebbe. Oltre ad incoraggiare – a nostro discapito – una polarizzazione degli scambi commerciali e d’investimento russi con i paesi dell’Unione Euroasiatica e con la Cina in particolare. Paese con il quale condivide una politica di condizionamenti geopolitici proiettati verso l’Europa. Se le interferenze russe sono mirate a riportare sotto la sua ormai perduta zona di influenza numerosi paesi dell’est Europa, Pechino vi si è invece da tempo radicata sviluppando importanti progetti di natura infrastrutturale, nell’ambito della B&R. Anche se l’aspetto più ostico – per la UE e l’Italia – del ricorso alle sanzioni è notoriamente quello delle controsanzioni. E’ ancora vivo il ricordo di quelle attivate negli anni passati dalla Russia, che hanno colpito i nostri settori dell’agrofood. Ma questa volta Mosca potrebbe andare oltre se emanasse norme di difesa nazionale sulla falsariga di quelle applicabili da Pechino ai sensi della cosiddetta “Unreliable Entity List”. Ovverosia la possibilità di adottare misure ritorsive sul piano finanziario e commerciale, e con valenza di extraterritorialità, verso una società straniera che mettesse in pericolo la sicurezza, la sovranità nazionale e gli interessi di sviluppo della Russia. Viene in tal modo prefigurandosi un contesto di conflitti di geopolitica economica che imporrebbe di essere analizzato ricorrendo alle strategie tipiche dei giochi competitivi (incentrati su ritorsioni di diplomazia economica e non esclusivamente sanzioni). Un contesto nel quale – per nostra fortuna – vede da tempo attivandosi anche la Commissione UE, nell’intento di dare corpo alla sua politica di autonomia strategica in difesa dell’economia degli Stati membri, avvalendosi di nuovi strumenti tanto di indagine che di regolamentazione. Tra questi merita citare il recente paper: Tackling R&I foreign interference. Staff Working Document mirato in particolare ad ampliare anche lo spettro di sorveglianza delle manipolazioni informative; al fine di mitigarne il negativo impatto ricorrendo a sistematiche indagini OSINT capaci segnalare comportamenti anomali.
Ma soprattutto affidandosi all’applicazione di norme ad hoc, come quelle contenute nella proposta di regolamento: “On the protection of the Union and its Member States from economic coercion by third countries”. Che definisce la coercizione economica come una situazione in cui un paese terzo cerca di spingere l’Unione o uno Stato membro a fare una particolare scelta politica applicando, o minacciando di applicare, misure che incidono sul commercio o sugli investimenti contro l’Unione o uno Stato membro. E l’articolo 2 di tale proposta, individua come criterio identificativo dell’interferenza, anche la misura, l’intensità e la durata degli atti con i quali il paese interferisce nell’ambito della sovranità dell’Unione o degli Stati membri.
Dunque un puzzle di competizioni prospettiche di geopolitica economica che, se da una parte costituisce una tutela potenziale per le economie degli stati membri della UE, dall’altra rappresenta anche una sfida, che l’Unione dovrà dimostrare di sapere ben gestire nelle relazioni internazionali con le altre grandi potenze.

Note
1 – E senza accennare alle regole europee dell’EBA, che impongono una riclassificazione a NPL per il finanziamento che, uscito da una moratoria, poi vi rientra.
2 – E’ importante al riguardo considerare che tassi di crescita intertemporale dei prezzi al consumo mediamente concentrati attorno ad una data percentuale, previsivamente studiata dalla banca centrale, possono essere benefici sul piano economico nella misura in cui agevolino la crescita del PIL reale. Mentre è noto che un modesto aumento del tasso di interesse nel corso dei prossimi anni non inciderebbe sul costo medio del debito pubblico italiano, a motivo del venire a scadenza nel frattempo di passate emissioni incorporanti tassi ben superiori a quelli odierni
3 – Da tenere presente al riguardo che, a motivo delle buone relazioni diplomatiche da sempre intercorse tra Italia e Russia, il nostro governo avrebbe potuto chiedere di inserire anche nostri consulenti nel gruppo del cosiddetto “formato Normandia”. Che il 25 gennaio scorso ha visto a Parigi incontrasi consulenti politici di: Russia, Francia, Germania e Ucraina per discutere di tale spinoso problema.