Iran. Human Rights Watch documenta la repressione nel sangue delle proteste

di Shors Surme

Le autorità iraniane continuano nella spietata repressione delle diffuse proteste anti-governative, impiegando una forza eccessiva e spesso letale in tutto l’Iran. Lo ha riferito Human Rights Watch (Hrw), e sulla base dei video delle manifestazioni e delle testimonianze l’organizzazione ha potuto documentare numerosi incidenti in cui le forze di sicurezza hanno usato la forza brutale contro i manifestanti in almeno 13 città. I video mostrano le forze di sicurezza sparare con fucili da caccia, fucili d’assalto e pistole contro i manifestanti in ambienti perlopiù pacifici e spesso affollati, uccidendo e ferendo centinaia di persone. In alcuni casi hanno sparato a persone che stavano scappando.
“La brutale risposta delle autorità iraniane alle proteste in molte città indica un’azione concertata da parte del governo per reprimere il dissenso con crudele disprezzo per la vita”, ha affermato Tara Sepehri Far, ricercatrice iraniana senior di Human Rights Watch. “Le sparatorie contro i manifestanti da parte delle forze di sicurezza servono solo ad alimentare la rabbia contro un governo corrotto e autocratico”.
Le proteste sono iniziate il 16 settembre 2022 con la morte della 22enne Mahsa (Jina) Amini mentre si trovava sotto la custodia della “polizia morale” iraniana.
Secondo Hrw, la comunità internazionale dovrebbe cooperare per aumentare la pressione sull’Iran e intraprendere un’indagine indipendente guidata dalle Nazioni Unite sui gravi abusi commessi durante le proteste al fine di individuarne i responsabili.
Hrw ha verificato 16 video pubblicati sui social media che riportano le proteste dal 17 al 22 settembre. I video mostrano la polizia e altre forze di sicurezza agire in modo anche letale contro i manifestanti a Teheran e nelle città di Divandarreh, Garmsar, Hamedan, Kerman, Mashhad, Mehrshahr, Rasht e Shiraz. Vi sono casi di agenti che usano armi da fuoco, come pistole e fucili d’assalto Kalashnikov. Hrw ha anche intervistato cinque testimoni delle repressioni a Sanandaj, Marivan, Saghez e Mashhad, nel Kurdistan.
L’organizzazione ha anche analizzato foto e video che mostrano ferite gravi e talvolta letali ai manifestanti. Questa ricerca non includeva la repressione mortale da parte delle forze di sicurezza a Zahedan il 30 settembre, né i successivi attacchi contro i manifestanti come nel caso del campus della Sharif University a Teheran il 22 ottobre.
I video mostrano anche agenti di polizia e altri membri delle forze di sicurezza, inclusi agenti in borghese, che prendono a pugni, calci e picchiando manifestanti pacifici e passanti con i manganelli. Le forze di polizia hanno anche utilizzato armi meno letali, inclusi lanciatori di palle di pepe e pistole antisommossa.