Iran. Khamenei, ‘Trump? no grazie’

di Giuseppe Gagliano

L’ayatollah Ali Khamenei ha chiuso la porta in faccia a Trump, definendo i negoziati con gli Stati Uniti “né intelligenti, né saggi, né onorevoli”. Un messaggio chiaro: l’Iran non ha intenzione di farsi trascinare in un nuovo gioco di promesse americane puntualmente disattese. Nel frattempo, il presidente riformista Masoud Pezeshkian, che fino a poche settimane fa parlava di riavviare il dialogo con Washington e Bruxelles, si trova con le mani legate. Dopo mesi di segnali distensivi da Teheran, Trump ha pensato bene di rilanciare la “massima pressione” con un nuovo pacchetto di sanzioni contro l’industria petrolifera iraniana. La reazione era prevedibile: il regime ha serrato i ranghi e ha rigettato ogni possibilità di trattativa.
Trump dice di non voler essere “duro” con l’Iran, salvo poi minacciare di “ridurlo in frantumi” insieme a Israele, per poi correggersi dicendo che “preferirebbe” un accordo. Insomma, la solita strategia del bastone e della carota, che però con Teheran non ha mai funzionato.
Khamenei non dimentica: l’ultimo grande accordo con gli USA, il JCPOA del 2015, è stato distrutto unilateralmente da Trump nel 2018, dopo che l’Iran aveva rispettato le condizioni. Poi è arrivata l’uccisione di Qassem Soleimani nel 2020 e la politica delle sanzioni a tappeto, che non hanno piegato il regime ma hanno solo esasperato le tensioni.
Oggi l’Iran arricchisce uranio al 60%, tecnicamente a un passo dal livello necessario per una testata nucleare, ma insiste che il suo programma ha scopi pacifici. Gli Stati Uniti, pur senza prove di un programma militare in atto, non si fidano. Pezeshkian ha persino aperto alla possibilità di maggiori ispezioni dell’AIEA, ma con le nuove sanzioni la sua posizione si indebolisce ulteriormente.
La strategia di Trump è chiara: strangolare economicamente Teheran e poi offrirle un accordo a condizioni inaccettabili, nella speranza che il regime crolli sotto il peso delle pressioni interne. Ma è una tattica che non ha mai funzionato. Più Washington alza il tiro, più Khamenei si radicalizza. Il rischio è che la finestra per un accordo si chiuda definitivamente e che l’Iran decida di rispondere non con la diplomazia, ma con le minacce e con azioni concrete sullo scacchiere mediorientale.