di Ehsan Soltani –
Mohsen Fakhrizadeh, lo scienziato che ha guidato il programma nucleare iraniano, è stato assassinato vicino a Absard, a circa 70-80 chilometri a est della capitale iraniana Teheran.
Il New York Times, citando tre funzionari dell’intelligence coperti dall’anonimato, ha riferito dietro al barbaro omicidio vi sarebbe la mano di Israele.
E’ quasi certo che sia il Mossad il responsabile dell’accaduto, e se fosse vero va notato che questo attacco arriva a quasi 40 giorni prima dell’insediamento ufficiale di Joe Biden alla Casa Bianca e a 4 mesi prima delle elezioni presenziali dell’Iran, un vero e proprio un regalo ai conservatori che respingono qualsiasi negoziato con la comunità internazionale. Difatti subito dopo l’eliminazione di Fakhrizadeh un gruppo di radicali si è radunato davanti al palazzo del Consiglio nazionale di sicurezza invocando “vemndetta” per l’attacco e affermando il “no” fermo ai negoziati con l’occidente, i quali rappresentano a loro dire “un tradimento al sangue dei scienziati”.
E noto che i conservatori iraniani fin dall’inizio si sono opposti all’accordo sul nucleare (Jpcoa) che il governo del presidente Hassan Rohani ha raggiunto nel 2015 con il “5+1”.
Le sanzioni introdotte dagli Usa anche obbligando i paesi alleati a fare altrettanto, hanno portato enormi danni economici, ma hanno anche aumentato la corruzione all’interno dell’paese, dove maggior parte dei conservatori, con scusa di aggirare le sanzioni ed importare nel paese le merci necessarie, hanno creato i gruppi mafiosi e hanno guadagnato miliardi di dollari: è sufficiente vedere quanti casi di corruzione relativi al periodo delle sanzioni sono stati sottoposti a processo giudiziario.
Già nel 2017, quando Trump aveva manifestato l’intenzione di uscire dall’accordo sul nucleare di Barak Obama, il direttore del quotidiano radicale Keyhan aveva scritto di sperare “che Trump ci salvi da questo maledetto accordo, che ha solo creato danni per noi; speriamo che Trump dica la verità ed esca da questo accordo”. Perché ben sapevano i conservatori che con quell’accordo e con la conseguente apertura delle porte economiche e politiche del paese verso l’occidente, i riformisti avrebbero vinto le elezioni, come pure che la delocalizzazione di aziende straniere nel paese avrebbe comportato una concorrenza concreta alle aziende dei servizi militari (Pasdaran) che dominano in Iran, a cominciare dagli appalti pubblici.
È importante ricordare che i conservatori iraniani speravano che vincesse Donald Trump alle elezioni, e dicevano in modo esplicito che “con Biden i riformisti prenderanno di nuovo il potere, perché una delle prime cose che farà sarà il ritorno all’accordo inutile di Obama”; affermavano inoltre che nel caso di una vittoria di Biden si sarebbe dovuti puntare alle prossime elezioni iraniane ad un “governo rivoluzionario”, che non tornasse all’accordo e a nuovi negoziati con “5+1”.
I conservatori vedono la loro vita politica in costante tensione con l’occidente. Basti confrontare le elezioni parlamentari del 2016, avvenute un anno dopo l’accordo sul nucleare, con elezioni parlamentari del febbraio 2020, quando Trump era uscito dall’accordo: il popolo iraniano, che nutriva speranza nei cambiamenti, ha partecipato alla tornata elettorale del 2016 con il 70 per cento degli aventi diritto, ed i riformisti hanno avuto maggioranza assoluta nel parlamento; dopo l’uscita di Trump dall’accordo, nel febbraio 2020, il popolo senza speranza e costretto alle pressioni dovute alle sanzioni e alle difficoltà economiche ha praticamente ignorato le elezioni parlamentari con solo il 49 per cento di votanti, una situazione che ha portato i conservatori a vincere contro i riformisti.
Come i conservatori anche l’Israele di Benjamin Netanyahu era contrariato quando Obama aveva raggiunto l’accordo con l’Iran, e subito il premier aveva detto che “se il mondo mi lascerà da solo, resisterò da solo davanti al questo accordo e farò di tutto per smontarlo”. Dopo la vittoria di Biden, Netanyahu ha affermato in modo netto che “faremo di tutto perché il nuovo presidente non torni all’accordo di Obama”.
Ieri Ben Rhodes, vice consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, del quale l’ex presidente si fidava ciecamente, ha twittato dopo l’omicidio di Fakhrizadeh che “Questa è un’azione oltraggiosa volta a minare la diplomazia tra un’amministrazione statunitense in arrivo e l’Iran”.
Anche John O. Brennan, ex capo della Cia, ha asserito che “Questo è stato un atto criminale e altamente sconsiderato. C’è il rischio di ritorsioni letali e di un nuovo conflitto regionale. I leader iraniani farebbero bene ad aspettare il ritorno di una leadership americana responsabile sulla scena globale, e a resistere all’impulso di rispondere contro i presunti colpevoli”.
Ci sono tanti altri analisti, ex funzionari e diplomatici che da ieri continuano a sottolineare quanto tale assassinio sia finalizzato ad agitare l’Iran per provocare una risposta dura contro Israele e chiudere le porte alle opportunità che possono venire da un nuovo governo degli Stati Uniti.
Visti da fuori Israele e i conservatori iraniani appaiono come due lati della stessa medaglia nello scacchiere del Medio Oriente. Ad esempio, quando Ahmadinejad arrivò al potere con l’aiuto dei Pasdaran tramite un’elezione con evidenti brogli elettorali, Meir Dagan, ex capo del Mossad, disse a un comitato della Kenesst che “il ritorno di Ahmadinejad è una buona cosa per Israele, perché Ahmadinejad è un nemico facile da spiegare al mondo, e se il candidato riformista (Mir Hossein Mousavi, ndr) avesse vinto, Israele avrebbe avuto un problema serio nello spiegare al mondo il pericolo della minaccia iraniana”.
Ora, dopo l’uccisione di Fakhrizadeh, i conservatori hanno preso la mano in vista delle elezioni e alimentano il malcontento contro qualsiasi negoziato con l’occidente.
Sì, i conservatori hanno ricevuto un bel regalo da Netanyahu!